Secondo una recente indagine condotta da IDC a livello mondiale, il 37% delle aziende ha adottato una strategia “cloud first” rivolta al cloud pubblico per il lancio di nuovi servizi digitali. Se sommiamo a queste realtà anche quelle organizzazioni che hanno optato per un approccio più morbido (cloud also), raggiungiamo il 75% della totalità. Tre aziende su quattro in pratica si servono del cloud pubblico per gestire processi e iniziative digitali.

Queste percentuali sono cresciute velocemente negli ultimi anni perché l’industria cloud ha saputo progredire in qualità e quantità dei servizi offerti in maniera altrettanto rapida. Le imprese con in piano di adottare servizi di cloud pubblico possono oggi beneficiare di soluzioni su misura in grado di soddisfare esigenze specifiche e contestualmente garantire il massimo livello di flessibilità, scalabilità e time-to-market; inoltre, grazie all’esperienza acquisita dall’industria e alla maggiore automazione garantita da tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning, la migrazione al cloud non è più un salto nel buio, ma un processo più prevedibile, governabile e con minori rischi.

Il vero rischio è oggi semmai quello di vedere il proprio business contrarsi perché basato su infrastrutture obsolete, troppo rigide e lente. Per molti versi il cloud è ormai la nuova normalità. La questione non è più quando migrare, ma perché non è già stato fatto. L’obiettivo delle imprese deve essere oggi quello di raggiungere il più alto livello di maturità nel suo utilizzo, così da poter beneficiare del massimo ritorno possibile. Più agilità aziendale, più semplificazione attraverso una maggiore standardizzazione, più sicurezza e un flusso continuo di nuove funzionalità per generare vera innovazione sono alcuni dei vantaggi che possono essere sfruttati dalle aziende che hanno maturato più esperienza sul campo.

cloud ibrido

Secondo una survey condotta da IDC nel 2018 su 1.857 aziende in tutto il mondo, al primo posto tra i risultati conseguiti dalle imprese in avanzato livello di maturità nell’utilizzo del cloud non c’è la riduzione dei costi. Magari si può partire con questo obiettivo, all’inizio del percorso di migrazione, ma i benefici maggiori poi diventano altri. Al primissimo posto, per il 70% circa degli intervistati, c’è la maggiore sicurezza IT; al secondo posto, per il 65%, la maggiore agilità di business, mentre al terzo, per poco più del 60%, una semplificazione e standardizzazione delle infrastrutture IT e piattaforme applicative.

Chiudono la Top 5 dei benefici la maggiore produttività dello staff IT e l’accesso più veloce a nuove funzionalità. Questa nuova consapevolezza si sta chiaramente ripercuotendo sulla richiesta da parte delle imprese di servizi e infrastrutture in cloud pubblico. Secondo le previsioni di IDC, la spesa mondiale in public cloud crescerà del 23,8% nel 2019, raggiungendo i 210 miliardi di dollari di valore. Nel 2022, questa spesa salirà a 370 miliardi, con un CAGR 2017-2022 pari al 22,5%.

Più della metà della spesa 2019 in cloud pubblico sarà appannaggio delle soluzioni software (SaaS); i servizi di Infrastructure-as-a-Service (IaaS) saranno la seconda voce di spesa, davanti al Platform-as-a-Service (PaaS). In termini di velocità di crescita, sarà invece lo IaaS a far segnare il CAGR 2017-2022 più alto nel periodo di osservazione con un +33,7%, seguito dal PaaS al secondo posto con un CAGR del 29,8%.