Le imprese italiane in questa fase di emergenza stanno facendo un grande sforzo per garantire il prosieguo della propria attività anche a distanza, dove questo è possibile, attraverso l’uso dello smart working. Ma non tutte sono attrezzate sotto il profilo tecnologico per assicurare una connessione ai dati aziendali da remoto e un’adeguata protezione dagli attacchi informatici.

Solo il 35% delle imprese italiane infatti è dotato di sistemi cloud, una tecnologia fondamentale per garantire una più agile transizione delle attività svolte all’interno degli uffici in modalità “smart”. E solo 3 imprese su 10 sono equipaggiate per proteggere le connessioni da remoto con strumenti di cybersecurity necessari per garantire sicurezza nella gestione dei dati.

smart working

È quanto emerge dalla fotografia scattata da Unioncamere sulle 18.000 imprese che hanno svolto online il test di maturità digitale attraverso i Punti impresa digitali (Pid). Anche mediante questa rete il Sistema camerale resta al fianco delle imprese per aiutarle a riguadagnare terreno e recuperare il ritardo tecnologico con l’adozione di strumenti digitali, nell’ultimo triennio ha già aiutato oltre 100.000 imprese ad avvicinarsi alle tecnologie 4.0.

Sono in particolare le imprese del Sud le meno attrezzate tecnologicamente ad accogliere i nuovi modelli organizzativi di lavoro agile: soltanto il 27% ha un cloud e il 17% possiede strumenti per l’utilizzo a distanza dei dati in sicurezza. Mentre le più equipaggiate appaiono le aziende del Nord-Ovest per l’uso di sistemi cloud (40%) e quelle del Nord est per l’adozione di strumenti di cybersecurity (37%).

A livello regionale, le imprese del Trentino Alto Adige sono le più strutturate a raccogliere la sfida del lavoro “smart”: 1 su 2 dichiara di avere sistemi di cloud e di protezione dei dati per le connessioni da remoto. Più in affanno sembrano invece le aziende del Molise per la presenza di cloud, solo il 22% dispone di questi sistemi, e le imprese siciliane per l’uso di sistemi anti hacker, appena il 13% dichiara di utilizzarli.