Formazione ICT in Italia: i trend, le competenze più richieste e l’impatto Covid
Cisco Platinum Learning Partner, Microsoft Gold Learning Partner, unico NetApp Learning Partner in Italia. E poi partner autorizzato e certificato per la formazione di VMware, Red Hat, AWS, Google Cloud, Aruba Networks, Veeam, IBM, SUSE. Queste le credenziali di Fast Lane Italia, che ne fanno una delle principali realtà della formazione ICT in Italia, e un osservatorio privilegiato per capire le tendenze in quest’ambito, le competenze IT più ricercate in Italia, e gli impatti della Covid-19 sulla formazione IT. Di tutto questo abbiamo parlato con Francesco Dell’Apa, amministratore delegato di Fast Lane Italia.
Quali sono oggi i principali numeri e caratteristiche di Fast Lane Italia?
Nel 2019 abbiamo fatturato 4,7 milioni di euro, formando quasi 4400 studenti ed erogando circa 500 corsi – di cui 200 a calendario e 300 dedicati, cioè commissionati dai clienti – e circa 2500 certificazioni. Abbiamo scelto da sempre di fare formazione ICT ufficiale, autorizzata e certificata dai vendor. Questo ci permette di stringere forti rapporti di collaborazione con loro, il che è fondamentale perché il 70% della nostra attività è formazione dei partner di canale dei vendor IT.
Abbiamo due sedi a Milano e Roma, con 20 dipendenti e un centinaio di collaboratori esterni, consulenti tecnici e docenti. Grazie all’alto numero di aziende clienti, riusciamo a garantire un calendario di corsi pubblici su tutte le tecnologie, raggiungendo il numero minimo di iscrizioni per renderli sostenibili, accogliendo a volte anche studenti di altri paesi, in aula o collegati in remoto.
Altra caratteristica differenziante è che facciamo principalmente formazione IT. Al momento l’attività di consulenza è marginale, e quasi sempre di supporto ai System Integrator nei progetti in cui sono coinvolti: sono i nostri principali clienti, e non vogliamo entrare in concorrenza con loro. Comunque, in un mercato sempre più orientato alla personalizzazione delle soluzioni, anche in ambito di formazione, la consulenza può rappresentare per noi un’opportunità sempre maggiore, pur salvaguardando il rapporto di fiducia e collaborazione con i System Integrator.
Quali sono le vostre principali linee di business?
Fast Lane Italia è il leader di mercato nella formazione ICT ufficiale in Italia: lo dico basandomi su dati oggettivi. Come Learning Partner Autorizzato, per ogni corso erogato dobbiamo fornire a ogni studente la documentazione ufficiale (Student Kit), acquistandola dal vendor: è il modo in cui paghiamo le fee per erogare i corsi, ma anche per avere dai vendor a fine anno dei dati oggettivi sulle quote di mercato dei vari Learning Partner.
In base a questi dati, Fast Lane risulta essere il principale Cisco Learning Partner, e l’unico di livello Platinum, con una quota di mercato del 60-70%; il primo AWS APN Training Partner con quota intorno al 60%; l’unico ATP (Authorized Training Partner) di Google Cloud e NetApp in Italia; il principale Red Hat Alliance Training Partner, con quota intorno al 40%; uno dei principali VMware VATC, con quota intorno al 30%; uno dei principali Microsoft Gold Learning Partner con quota in forte crescita.
Abbiamo inoltre un portfolio di corsi proprietari su networking e cybersecurity ed eroghiamo corsi, rivendendo formazione per conto di nostri partner, su tecnologie di altri vendor tra cui Citrix, CheckPoint, F5, Palo Alto Networks.
Oltre che ai partner dei vendor, fate formazione anche alle aziende utenti?
Si, specialmente quando i vendor lanciano sul mercato nuove soluzioni. I nostri corsi hanno prezzi di listino tra 400 e 700 euro a persona al giorno, difficilmente alla portata di piccole aziende. Quindi le aziende utenti nostre clienti sono di medie dimensioni, o più tipicamente grandi realtà che vogliono avere un team interno di specialisti in grado di interagire con i system integrator ingaggiati per i loro progetti ICT. Non abbiamo date pubbliche di formazione sui prodotti end user: eroghiamo solo corsi dedicati per clienti che fanno migrazioni o grandi upgrade, con un numero significativo di studenti.
Quali sono le aree di competenza IT più richieste in questo momento in Italia?
Per le competenze sulle tecnologie di un certo vendor c’è un picco di domanda quando quel vendor lancia una nuova soluzione, perché per abilitare i partner di canale a proporla sul mercato, impone loro di acquisire un numero minimo di certificazioni.
In questo senso i picchi di domanda più intensi che riscontriamo sono per le competenze Cisco, perché Cisco in Italia ha un ecosistema molto numeroso e competitivo. Inoltre è in forte ascesa la domanda di competenze Red Hat e in generale open source, perché sempre più aziende private considerano il software open source una valida alternativa, e sempre più gare della Pubblica Amministrazione richiedono sistemi open source, condizionando la partecipazione al possesso di un certo numero di certificazioni.
Ma il trend di crescita della domanda più importante riguarda sicuramente le grandi piattaforme cloud: AWS – Amazon Web Services, Google Cloud, e Microsoft Azure.
Questa domanda di competenze cloud è direttamente legata alla forte crescita dei progetti cloud nelle aziende?
In parte sì, perché c’è una differenza fondamentale di tempistiche tra formazione di competenze “tradizionali” IT e formazione di competenze cloud. Nel primo caso noi agiamo quasi sempre dopo che la soluzione del vendor ha raggiunto un sufficiente livello di diffusione sul mercato, formando le aziende e i partner di canale.
Nel caso del cloud, anche le aziende utenti prima fanno la formazione, almeno per i corsi di base, e dopo adottano la soluzione. È un modo per preparare un team interno e metterlo in grado di valutare le diverse soluzioni prima di fare l’investimento. Questo comporta che per il cloud la domanda in termini formazione e competenze si muove in parallelo se non in anticipo rispetto all’adozione di soluzioni cloud da parte delle aziende. Però uno stimolo importante a questa forte domanda di competenze cloud viene anche da intelligenti strategie di incentivazione degli stessi cloud provider.
Può spiegare più in dettaglio queste strategie di incentivazione?
Noi abbiamo iniziato ad erogare corsi di formazione sulle piattaforme cloud nel 2016 con AWS. All’epoca la richiesta sul mercato italiano era di poche centinaia di esperti cloud all’anno. Da allora la crescita è stata vertiginosa e una spinta notevole viene sicuramente dalla decisione dei vendor di cofinanziare la formazione. Il trend è stato avviato da AWS con programmi di incentivazione per i partner di canale e le aziende del settore pubblico, contribuendo direttamente agli investimenti in formazione e certificazione cloud fatti dalle aziende. A seguire, nel 2019 anche Microsoft e Google hanno varato programmi simili, strutturati secondo le proprie strategie. I vendor hanno compreso prima di tutti gli altri che la creazione di un ampio bacino di competenze cloud sul territorio favorisce l’adozione dei servizi cloud nelle aziende e i relativi progetti di migrazione.
Il risultato è che nei primi 6 mesi del 2020 per Fast Lane la formazione sul cloud – sommando gli studenti AWS, Microsoft Azure e Google – ha costituito quasi il 50% di tutta l’attività. Nel 2018 era meno del 20%, nel 2019 circa il 35%, considerando anche OpenShift di Red Hat. Lo scorso anno solo su AWS abbiamo formato quasi 1300 persone, di cui gran parte ha poi conseguito anche la certificazione.
Come reclutate i docenti?
Riceviamo tantissime candidature di specialisti che magari in passato si sono certificati frequentando i nostri corsi, e a un certo punto decidono di dedicarsi almeno in parte all’insegnamento: si rivolgono a noi perché si diventa istruttori qualificati su un certo vendor solo se si è associati a un Learning Partner. E poi partecipiamo agli eventi dei vendor, a volte con un nostro stand nello spazio espositivo: questa è un’altra grande fonte di contatti.
Ovviamente c’è una scrematura iniziale sul curriculum della persona. Non sempre infatti uno specialista, anche se esperto e competente, ha tutte le caratteristiche per diventare un buon istruttore. Poi lo sottoponiamo al processo di qualificazione come istruttore. Ogni vendor ha il suo percorso. Occorre partecipare ad appositi corsi, ottenere le relative certificazioni, superare un esame di abilitazione tenuto direttamente dal vendor.
Inoltre ci appoggiamo a piccole società di consulenza con specialisti molto ricercati per la formazione, perché portano in aula anche l’esperienza accumulata sul campo. In generale preferiamo avere come docenti persone che si dedicano anche alla consulenza: questo permette loro di essere sempre aggiornati sull’utilizzo delle tecnologie, di raccontare in aula casi pratici, e di essere in grado di rispondere alle richieste di chiarimento degli studenti.
Un’altra cosa che chiediamo agli istruttori è di certificarsi su vari fronti. Un istruttore certificato su Cisco fa corsi su Cisco, ma lo facciamo certificare anche sulle piattaforme cloud, perché ormai a certi livelli gli ambienti IT aziendali sono complessi e multivendor. Se l’istruttore è preparato anche su tecnologie complementari alla sua specializzazione, sarà molto più facilmente in grado di rispondere alle domande degli studenti.
L’attività dei docenti è regolarmente sottoposta a verifiche di qualità. Usiamo il sistema di misurazione delle performance formative Metrics That Matter (MTM), e su una scala da 1 a 5 l’anno scorso la valutazione media dei nostri docenti è stata 4,75.
Abbiamo sistema di qualità certificato BSI ISO 9001:2015, con specifico riferimento al settore EA:37 – Istruzione e in generale non utilizziamo come leve di marketing gli sconti: puntiamo soprattutto sulla qualità dei nostri servizi, e alla lunga questo approccio paga. Anche in questo periodo così critico in cui molte aziende hanno problemi di liquidità e di risorse da dedicare alla formazione, abbiamo recuperato tutto il gap di fatturato rispetto allo scorso anno e ora stiamo crescendo del 5%.
A proposito di questo periodo, come avete affrontato il lockdown? E come è cambiata la domanda di formazione?
La domanda in termini di aree di competenze non è cambiata: i contributi delle nostre linee di business sono più o meno uguali all’anno scorso, con una crescita della parte cloud che era già in corso e non è legata al fattore Covid.
Quanto all’organizzazione dopo il lockdown, noi già da qualche anno eroghiamo corsi completamente online, o in modalità “mista”, con alcuni partecipanti in aula con l’istruttore e altri da remoto. L’anno scorso abbiamo erogato circa 60 classi in modalità virtuale, quasi il 15% del totale. Abbiamo anche fatto qualificare i nostri docenti per i corsi online, perché occorrono approcci diversi rispetto all’aula: per esempio la gestualità serve poco e va limitata.
Detto ciò, al momento del lockdown, all’inizio di marzo, hanno iniziato ad arrivare le cancellazioni dei clienti, e nelle prime settimane c’è stata grande incertezza sui tempi della fase 2. Appena si è capito che il lockdown sarebbe durato mesi, abbiamo convertito tutta l’attività su piattaforma digitale, e tutte le aziende che avevano sospeso i piani di formazione con noi li hanno ripresi.
C’è stato da risolvere qualche problema pratico. Per esempio una parte dei corsi delle grandi aziende è finanziato con i fondi interprofessionali, che impongono procedure molto dettagliate. Quando la formazione è andata completamente online si è presentato il problema della certificazione delle presenze, ma fortunatamente è stata trovata subito una soluzione tecnica accettata dai fondi, con registri elettronici estraibili dalle varie piattaforme.
Dai feedback di valutazione emerge che per la formazione online la qualità percepita è ai livelli dei corsi in aula, e in certi casi anche superiore, ma è chiaro che seguire un corso per 7 ore davanti a un monitor con le cuffie è più stancante che seguirlo in aula, la condivisione di materiali e contenuti non è la stessa, e manca in gran parte l’atmosfera di “community” che si crea in aula.
Al momento il piano è di riaprire le sedi fisiche a settembre, perché le condizioni attuali per fare formazione in aula sono poco praticabili. Non tanto per la parte di accesso col termoscanner, distanziamento, sanificazione, che si gestisce. Quanto per il fatto che docente e studenti devono stare in aula con le mascherine. Speriamo che entro settembre questa direttiva sarà stata in qualche modo allentata.
Il lockdown ha bloccato anche gli esami di certificazione: quando riprenderanno?
Le cose ora hanno ricominciato a muoversi. In Italia i vendor gestiscono le certificazioni ICT attraverso 4-5 provider specializzati, che si appoggiano a dei “testing center” con aule fisiche, e noi siamo un testing center: dobbiamo verificare l’identità delle persone, controllare che non introducano materiali o device non ammessi, sorvegliare l’aula durante l’esame perché si svolga secondo le linee guida del provider.
A marzo i testing center sono stati chiusi. Adesso da una parte alcuni vendor stanno definendo le procedure per fare anche gli esami di certificazione online. L’aspetto più complicato è verificare che il candidato sia solo in una stanza e non abbia documenti o dispositivi non ammessi. Occorre un sistema di telecamere, e un supervisore per ogni candidato, quindi la mole di esami che si riesce a gestire è molto ridotta.
Dall’altra parte stiamo studiando come organizzare gli esami alla riapertura delle sedi a settembre. Cercheremo di gestire 4-5 esami al giorno, con un solo candidato e un nostro operatore per volta, quantomeno per smaltire le code, perché abbiamo centinaia di persone in sospeso.