Istat: 3 imprese italiane su 4 investono nel digitale, ma meno del 4% è maturo
Più di 3 imprese italiane su 4 investono in tecnologie digitali, ma solo il 3,8% – anche se è un 3,8% piuttosto rappresentativo, che impiega quasi il 17% del totale addetti e produce il 23% del valore aggiunto – è già nella fase di maturità digitale. Una percentuale che sale al 4,7% al Nord-ovest, al 23% per le imprese con oltre 500 addetti, e al 5,2% nei settori industriali/manifatturieri.
Sono alcuni dei principali concetti di un ricco rapporto sullo stato di digitalizzazione delle imprese italiane emesso in questi giorni da Istat, e nato come approfondimento della prima edizione del Censimento permanente delle imprese, conclusa a fine 2019 e basata su dati del periodo 2016-2018.
11 tipologie di tecnologie digitali: cinque infrastrutturali e sei applicative
Il rapporto si basa su un campione di 285mila imprese con almeno 3 addetti – ma gran parte dei dati si riferisce alle circa 165mila che hanno almeno 10 addetti – e su una classificazione delle tecnologie digitali in 11 tipologie.
Di queste, cinque sono definite infrastrutturali – soluzioni cloud, connettività in fibra ottica, connettività in mobilità, software gestionali, cyber-security – e sei applicative: Internet of Things (IoT), realtà aumentata o virtuale, analisi dei Big Data, automazione avanzata/robotica, simulazione, e stampa 3D.
Come anticipato, nel triennio 2016-2018 oltre tre quarti (77,5%) delle imprese italiane con almeno 10 addetti hanno investito in almeno una delle 11 tecnologie sopra elencate, con forti differenziazioni dimensionali (la percentuale è del 73,2% nella fascia 10-19 addetti, ma sale al 97,1% in quella oltre i 500 addetti) e differenze territoriali meno significative.
A livello settoriale emerge il ruolo trainante dei servizi: telecomunicazioni (94,2%), ricerca e sviluppo, informatica, finanza, editoria e assicurazioni hanno percentuali superiori al 90%, ma anche il manifatturiero vede alcune eccellenze, come farmaceutico (94%) e chimico (86,6%).
Digitalizzazione in Italia, un processo in (almeno) due fasi
La maggior parte delle imprese comunque utilizza un numero limitato di tecnologie (4 o 5), e inizia il percorso di digitalizzazione investendo in quelle infrastrutturali. L’adozione di quelle applicative, se avviene, avviene in una seconda fase: solo il 16,6% delle imprese ha adottato almeno una delle 6 tecnologie applicative definite da Istat.
Il processo di digitalizzazione si divide quindi in almeno due fasi, e il passaggio dall’una all’altra è spesso ostacolato da fattori economici, tecnici (le tecnologie infrastrutturali sono spesso adottate con modalità standard mentre quelle applicative vanno personalizzate sulla singola impresa), e organizzativo/culturali.
Nel report si fa l’esempio della pandemia Covid-19 come fattore esterno di sblocco del passaggio tra le due fasi in molte aziende con infrastrutture digitali già adeguate allo Smart Working, ma che mai lo avevano implementato pienamente a causa soprattutto di resistenze organizzative. Secondo le rilevazioni Istat, il personale in remote working in Italia è salito dall’1,2% nel febbraio 2020 all’8,8% di maggio 2020 in generale, dal 2,2% al 21,6% nelle medie imprese, e dal 4,4% al 31,4% nelle grandi imprese.
Maturità digitale, la definizione di Istat
Il concetto portante di questo rapporto è la sua definizione di “maturità digitale”. Secondo Istat molte analisi sulla trasformazione digitale in Italia si basano su un errore: quello di misurare il grado di digitalizzazione solo con dati di diffusione delle tecnologie (accesso alla banda larga, numero di macchine o sistemi acquistati, ecc.), che però danno solo una misura delle potenzialità di trasformazione digitale. Questa infatti si concretizza solo quando le tecnologie vengono effettivamente usate per migliorare flussi informativi e processi aziendali, e impattano così sull’efficienza e sulla competitività dell’impresa.
Istat ha quindi correlato gli investimenti in tecnologie digitali infrastrutturali e quelli in tecnologie applicative mirati a sfruttare pienamente le prime. E propone un indice di maturità digitale basato appunto sull’utilizzo di combinazioni tra infrastrutture digitali e tecnologie applicative, dove un mix tecnologico ideale in assoluto non esiste, e quello ottimale dipende dal settore, e in molti casi dalla singola azienda.
I quattro stadi di maturità digitale delle imprese italiane
Sulla base di questi criteri, l’Istat individua quattro gruppi di imprese italiane in funzione della loro crescente maturità digitale.
Il primo comprende le imprese definite “asistematiche”, accomunate dall’adozione di un software gestionale tra 2016 e 2018, e da investimenti limitati in tecnologie infrastrutturali cloud o di connessione in fibra ottica. Queste imprese percepiscono le potenzialità del digitale ma, per la loro dimensione o collocazione settoriale, hanno difficoltà a definire una strategia sistematica di trasformazione digitale.
Nel secondo gruppo, il più numeroso (circa il 45% del totale, che assorbe il 28% degli addetti e il 22% di valore aggiunto) vi sono le imprese definite “costruttive” per il loro sforzo di definire una chiara strategia digitale. Imprese che per esempio comprendono le opportunità offerte dalla connessione a Internet in mobilità, ma anche la sua integrazione con tecnologie più avanzate e correlate, come l’IoT. Non solo: già questo gruppo reputa essenziale l’investimento in cybersecurity. In generale, al crescere del livello di maturità digitale cresce nelle imprese anche l’esigenza di mettere in sicurezza le proprie reti e sistemi.
Il terzo gruppo è quello delle imprese “sperimentatrici”: arrivate alla soglia della maturità digitale, stanno sperimentando diverse soluzioni, anche combinate, per ottenere i maggiori vantaggi di efficienza e produttività. In questo gruppo compaiono i primi significativi investimenti nella valorizzazione dei flussi informativi (Big data) e in simulazione e robotica. È anche il gruppo più numeroso tra le imprese con oltre 100 addetti e quello più importante in termini di addetti, valore aggiunto totale (rispettivamente, 35% e 38%), e capacità finanziarie e tecniche.
Infine, il quarto gruppo è formato da imprese digitalmente “mature”, caratterizzate da un utilizzo integrato delle tecnologie disponibili, che sono un punto di riferimento per l’intero sistema delle imprese pur rappresentando – come anticipato – solo il 3,8% del totale. Un dato che intuitivamente sale con la dimensione delle imprese (è il 23% nella fascia oltre 500 addetti) ed è nettamente sopra la media (5,2%) nei settori industriali, probabilmente per effetto degli incentivi Industria 4.0 disponibili da anni in varie formulazioni.
I piani per il 2019-2021 (prima del Covid)
A fronte di questo scenario, sono interessanti anche le intenzioni di investimento espresse per il triennio 2019-2021, tenendo conto che l’indagine è precedente alla pandemia Covid-19, che poi ha stravolto tutti i piani. Una quota significativa di imprese avrebbe mantenuto elevati gli investimenti infrastrutturali (connessione a Internet, cyber-security) mentre per tutte le tecnologie applicative tranne l’IoT la percentuale di imprese che avrebbero investito è sempre sotto il 10%.
In generale, quindi, le imprese italiane prima del Covid sembravano orientate verso aggiustamenti limitati dei propri progetti di sviluppo, e non mostravano di essere pronte a un cambio di passo nella trasformazione digitale, con alcune eccezioni.
Una, a livello settoriale, riguarda le imprese manifatturiere, il 16-17% delle quali pianificava di investire in automazione/robotica e simulazione nel 2019-2021. L’altra, a livello dimensionale, riguarda le imprese da 250 addetti in su, il 50% delle quali intendeva mantenere alti livelli di incremento degli investimenti in tre aree applicative: IoT, automazione e robotica, e analisi dei Big Data.
Il rapporto Istat contiene poi approfondimenti ricchi di spunti e dati su diversi temi su cui torneremo, come l’impatto delle tecnologie Cloud e dei Software Gestionali sulla digitalizzazione, e l’impatto di questa sulla formazione, selezione e gestione del personale. Qui per ragioni di spazio concludiamo con la percezione degli effetti della digitalizzazione nelle stesse imprese.
I 7 effetti della digitalizzazione percepiti nelle imprese
Il rapporto come detto si riferisce alla situazione a fine 2018, quando le imprese, spiega Istat, avevano già una percezione di come gli investimenti digitali stanno influenzando le loro attività, percezione che è stata rilevata nel censimento.
Sono stati considerati sette effetti principali della digitalizzazione sulla produttività d’impresa. Cinque positivi: agevolazione della condivisione di informazioni in azienda, dell’acquisizione di informazioni dall’esterno, e dell’esternalizzazione di funzioni aziendali, incremento dell’efficienza dei processi, ottenimento di servizi e componenti di miglior qualità. E due negativi: perdita di efficienza/produttività per le difficoltà della trasformazione digitale, o per investimenti eccessivi nelle tecnologie.
Come era prevedibile, la percezione positiva della digitalizzazione aumenta con il numero di tecnologie digitali adottate, e all’aumentare del grado di maturità digitale. In merito agli effetti positivi, il 65,6% delle imprese con 10 addetti e oltre (e l’86% delle grandi imprese), che hanno adottato almeno una tecnologia digitale nel triennio 2016-2018 ritiene che il digitale agevoli la condivisione di informazioni e conoscenze nell’organizzazione. Il 41% invece rileva una relazione tra digitalizzazione e incremento dell’efficienza dei processi produttivi (imprese manifatturiere 52,3%). Inoltre il 17,3% delle imprese pensa che la digitalizzazione faciliti l’acquisizione di conoscenze dall’esterno e il 10,4% che renda possibile ottenere dall’esterno servizi, materie prime e semi-lavorati di miglior qualità. Irrilevante (3,8%) è infine la quota di imprese che ritengono la digitalizzazione utile per incrementare le opportunità di esternalizzare funzioni produttive.
Riguardo ai due fattori negativi, le imprese italiane li considerano irrilevanti: solo l’1,7% delle rispondenti considera un rischio la perdita di efficienza o produttività dovuta alle criticità della transizione, e lo 0,6% ritiene rischiosa la perdita di efficienza o produttività determinata da investimenti eccessivi in digitale.