Negli ultimi 10 anni l’ascesa del Software-as-a-Service (SaaS) ha trasformato l’industria del software, ma i prossimi 10 anni saranno altrettanto movimentati. Le aspettative degli utenti sulla facilità d’uso e di gestione del business con il SaaS continueranno a crescere. I servizi PaaS (Platform-as-a-Service) sono in forte crescita, soprattutto quelli dei tre colossi del cloud AWS, Google Cloud, e Microsoft Azure, e questo ha forti impatti sulle possibilità di differenziazione dell’offerta. E nel post Covid gli investitori saranno più esigenti sulla solidità finanziaria degli operatori.

Questa la tesi di McKinsey in un recente articolo (“The next software disruption: How vendors must adapt to a new era”) secondo il quale per rispondere a queste tre sfide i software vendor e i loro ecosistemi di partner dovranno cambiare sostanzialmente la loro strategia, con tre nuove priorità:

espandere la proposizione “as-a-service” dalla sola soluzione all’intero “customer journey”.

– cercare proposizioni di valore uniche, tipicamente basate su competenze specifiche, cloud neutrality, o partnership strategiche che creino unicità.

aumentare l’attenzione alla marginalità: la crescita del fatturato sarà apprezzata dal mercato solo se affiancata dalla crescita dei profitti.

Non solo prodotti SaaS: occorrono “esperienze SaaS”

In pochi anni il SaaS è diventato il modello di delivery standard del software. Nel 2010 rappresentava solo il 6% delle vendite di software enterprise. Nel 2018 la quota è salita al 29%, che corrisponde a 150 miliardi di dollari a livello mondiale, e persino nei settori più regolamentati, come sanità e pubblica amministrazione, ha superato il 20%. Ma il dato più significativo è che ormai solo un software vendor su 4 non ha un’offerta SaaS sul mercato.

E per di più le dinamiche dell’era post Covid – boom del remote working, necessità di tempi di avvio sempre più bassi delle soluzioni digitali e di investimenti iniziali minimi – secondo McKinsey favoriranno ulteriormente il modello SaaS rispetto a quello tradizionale.

Al momento per molte aziende utenti la customer experience rispetto al SaaS è divisa in due. Mentre l’avvio e l’uso della soluzione sono molto semplici, la parte burocratica (contratti, ordini, fatture) spesso è confusa e poco chiara, ed è difficile capire cosa esattamente si sta ordinando o pagando.

Il prossimo passo per i software vendor quindi è estendere la semplicità dell’esperienza di adozione (delivery) della soluzione a tutto il ciclo di vita del cliente. E per farlo, devono integrare la cultura “as-a-service” in tutte le funzioni aziendali, dal product management ai servizi post-vendita.

McKinsey fa l’esempio di un software vendor che ha abbinato il lancio di un prodotto in SaaS all’adozione di una strategia “customer-first” integrata su tutte le funzioni, con ridisegno completo del processo quote-to-pay per semplificare gli acquisti e rinnovi dei clienti. Risultato: due anni dopo il valore del titolo in Borsa è quasi raddoppiato.

“Da quanto ci risulta, i software vendor che adottano sistematicamente questo focus “as-a-service” ottengono aumenti anche del 25% del total customer lifetime value, grazie alla diminuzione del “churn” e all’aumento di upselling e cross-selling.

Specializzarsi sullo strato più alto dello stack software

Nel prossimo decennio, l’elemento più dirompente per l’industria del software sarà la crescita del Platform-as-a-Service (PaaS). Tra il 2016 e il 2018 il mercato PaaS è cresciuto a velocità quasi doppia rispetto al SaaS (44% contro 26%), con due dinamiche principali.

La prima è che la crescita più forte è stata negli strati più bassi dello stack software, che secondo McKinsey si compone di quattro strati: dal basso verso l’alto System Infrastructure Software (SIS), Application Development & Delivery (AD&D), Horizontal Applications, e Vertical Applications. La seconda è che appunto nei segmenti a più alta crescita – SIS e AD&D – i Big 3 del Cloud sono cresciuti a un tasso medio annuo del 49% tra 2014 e 2018, contro il 4-5% dei fornitori SaaS.

Tutto questo genera due principali impatti per i software vendor e i loro ecosistemi. Il primo è che l’ascesa del PaaS sta cambiando la proposizione commerciale ottimale del software enterprise. Il margine per differenziare le soluzioni è sempre più sottile, man mano che la “commoditizzazione” si estende nello stack software, e i tool PaaS danno la possibilità a nuovi operatori e agli stessi utenti di sviluppare velocemente anche in modo autonomo.

Il secondo è che i tre colossi del Cloud ora hanno un’offerta di servizi PaaS in concorrenza diretta con quella dei principali software vendor, ma la loro maggiore massa critica permette loro di innovare più in fretta e di proporre i servizi a tariffe più basse.

In questo scenario, i software vendor per conservare i loro margini di profitto non possono mettersi in contrapposizione diretta con i Big 3. McKinsey quindi suggerisce tre opzioni strategiche.

Primo: investire su elementi di differenziazione, per esempio specializzandosi su soluzioni “su misura” per specifici settori verticali e casi d’uso. Questa strategia ha funzionato nel decennio scorso, quando i primi specialisti SaaS si sono affacciati sul mercato. I vendor “tradizionali” hanno conservato le loro quote di mercato e multipli valore d’impresa/fatturato avvicinandosi ancora di più al cliente, e mantenendo alti livelli di expertise verticale. Chi invece ha puntato solo sull’innovazione tecnologica è risultato più vulnerabile.

Secondo: proporre soluzioni totalmente cloud-agnostic, cioè indipendenti dalla piattaforma di cloud infrastructure che il cliente sceglie. Le aziende utenti per evitare di vincolarsi a un solo fornitore cloud cercano soluzioni AD&D e SIS che possono lavorare su più piattaforme, e i software vendor che vanno incontro a questa esigenza guadagnano un vantaggio competitivo non influenzabile dai Big 3, che però va mantenuto nel tempo investendo continuamente.

Terzo: fare leva sulle partnership strategiche. McKinsey fa l’esempio di Nuance Communications, specialista di soluzioni di riconoscimento vocale e AI, che per il lancio della sua Dragon Ambient eXperience (DAX), Nuance ha scelto di allearsi con Microsoft. L’articolo cita le considerazioni del CEO di Nuance: “Il nostro grande potenziale nei “core market” healthcare ed enterprise attrae i nostri grandi e ricchi concorrenti, perciò abbiamo cercato uno di loro e, definendo in modo accorto i termini contrattuali, abbiamo fatto di un concorrente un partner.

La crescita del fatturato non serve se non aumentano anche i margini

Nel mercato software per molto tempo la crescita è stata considerata una priorità più importante della profittabilità, spiega McKinsey, ma ora non è più così. Analizzando l’andamento del multiplo valore d’impresa/fatturato rispetto al free cash flow (indice di profittabilità) di 211 imprese software di tutto il mondo dal 2013 al 2018, si deduce che la crescita del fatturato ora premia solo se è legata all’aumento del margine di profitto. E questo trend sarà ulteriormente accentuato nell’era post Covid.

La raccomandazione quindi è di fare un’analisi funzione per funzione per individuare aree in cui anche modesti cambiamenti possono migliorare l’efficienza e la customer experience.

Nella funzione vendite, per esempio, molti clienti tradizionalmente seguiti da risorse sul campo (field sales) possono invece essere seguiti da persone in remote working. Secondo McKinsey, l’80% di chi oggi acquista software in azienda (software buyer) preferisce l’interazione online a quella di persona, e il passaggio a un modello di vendita “inside-sales” può ridurre i costi di vendita dal 60% all’80%.

Altra area sui cui lavorare è il portafoglio prodotti: occorre andare oltre i dati di fatturato e farsi un’idea completa della marginalità delle singole soluzioni tenendo conto anche dei costi amministrativi, di vendita, di mantenimento e aggiornamento tecnico, di assistenza e supporto. “I software vendor che gestiscono attivamente il proprio portafoglio di offerta, eliminando regolarmente le soluzioni meno performanti, raggiungono valori doppi del multiplo valore d’impresa/fatturato rispetto a quelli che non lo gestiscono”.