Professionisti ICT, richieste in ripresa in Italia dopo la flessione del lockdown

osservatorio delle competenze digitali
Le figure a più forte domanda sono quality assurance manager, digital transformation manager, cloud specialist e solution designer: i dati dell’Osservatorio Competenze Digitali

L’emergenza sanitaria ha fatto calare del 26% la domanda di figure professionali legate a ICT e tecnologie digitali nei primi 9 mesi del 2020, ma la ripresa nel terzo trimestre (+13% sul trimestre precedente) fa capire che queste figure sono fortemente richieste, e che la flessione è da considerarsi temporanea.

Sono dati presentati ieri dall’Osservatorio delle Competenze Digitali, e basati su rilevazioni delle ricerche di personale ICT effettuate via Web dalle aziende di tutti i settori. I dati sono stati spiegati da Mario Mezzanzanica, direttore del dipartimento di Statistica dell’Università Bicocca di Milano, durante un evento organizzato dalle maggiori associazioni italiane dell’ICT – AICA, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia – insieme appunto all’Università Bicocca.

Buone crescite anche per account manager, service manager, scrum master, e CIO

“Tutte le famiglie professionali dell’ICT nel terzo trimestre hanno mostrato segnali di ripresa, ma con crescita più marcata per quelle nelle aree Business, Design, Emerging, Support e Technical, e più attenuata per quelle più “tradizionali”, come Development, Process improvement, Service & Support – ha spiegato Mezzanzanica -. Le figure a più forte domanda sono quality assurance manager, digital transformation manager, cloud computing specialist, solution designer, tutte più o meno raddoppiate dal secondo al terzo trimestre, ma buone crescite hanno registrato anche account manager, service manager, scrum master e CIO”.

Più in dettaglio, le figure più richieste sono per l’area Design: Solution Designer (+90% sul trimestre precedente), System Analyst (+41%) e Data Specialist (+37%). Per l’area Business il CIO (+53%). Per l’area Emerging: Cloud Specialist (+106%), Robotics Specialist (+27%), IoT Specialist (+19%). Per l’area Support: Quality Assurance Manager (+117%), Information Security Manager (+29%), Project Manager (+44%), Technical (+55%) e Account Manager (+77%).

Nelle aree Process Improvement e Development, in cui si sono registrate crescite più moderate, i maggiori incrementi di domanda riguardano Digital Transformation Manager (+114%) e Scrum Master (+68%).

La maggior crescita di domanda viene dal settore Trasporti e Logistica

A livello territoriale, nella ricerca di figure professionali ICT in tutti i settori si conferma un forte gap tra Nord, Centro e Sud del Paese. Il Nord-Ovest infatti conta il 43% delle nuove ricerche di figure ICT, il 34% nella sola Lombardia. Segue il Nord-Est con il 29%, con Veneto ed Emilia Romagna rispettivamente al 15% e al 10% circa. Il Centro si attesta al 19%, (Lazio 11%), mentre il Sud e le Isole esprimono solo il 9,4%, della domanda.

A livello di settore, come ovvio è il settore ICT a guidare la ricerca di personale ICT (38,6% delle nuove ricerche). Seguono i servizi professionali e consulenziali (20,6%), i servizi di amministrazione e supporto (13,5%), e l’industria (12,8%). “Il maggiore aumento tra secondo e terzo trimestre però si è avuto nel settore Trasporti e Logistica, fortemente coinvolto dalla crescita dell’e-commerce collegata alla pandemia”, ha sottolineato Mezzanzanica.

La ricerca poi ha approfondito la composizione del “Digital Skill Rate”, cioè le componenti di competenze digitali, soft skills, e skill “non digital” (competenze sui processi di business). Ne emerge che in media, nelle professioni legate all’ICT la componente di competenze digitali richieste è del 43% (Digital Skill Rate), mentre le soft skills pesano per circa il 38%, e le competenze non digital per il 19%. Fatte salve le differenze legate ai diversi profili, a livello generale emerge una crescita continua della rilevanza delle soft skills anche per i profili più tecnici, e non solo in quelli manageriali.

Parallelamente si assiste alla crescita della domanda di nuovi profili tecnici, in particolare di quelli legati alle tecnologie Big Data, AI, IoT, robotica, cloud computing e blockchain.

I due principali effetti dell’emergenza sanitaria sulla domanda di specialisti ICT

Complessivamente quindi per effetto della pandemia i primi tre trimestri 2020 presentano circa 21 mila annunci di lavoro in meno di professionisti ICT in Italia rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma con la riapertura delle attività economiche si è registrata un’immediata ripresa nel terzo trimestre, che è stata notevole perché nel terzo trimestre c’è agosto, mese in cui di solito le attività rallentano, e perché la crescita è stata del 13% contro quella di poco più del 2% registrata tra secondo e terzo trimestre 2019, ha spiegato Mezzanzanica.

“Le analisi del terzo trimestre 2020 mostrano due principali macro-effetti delle restrizioni imposte dalla pandemia sulle richieste di professioni ICT . Da una parte hanno favorito la domanda di professioni ICT che facilitano la progettazione e realizzazione di soluzioni per l’interazione in rete di aziende, amministrazioni, clienti e cittadini, e di professioni emergenti, focalizzate all’incremento di conoscenza dei fenomeni e all’innovazione di prodotti e servizi. Dall’altra hanno rallentato la domanda di profili legati ad attività più tradizionali e/o interne all’organizzazione (es. Test Specialist e Developer)”.

Condividi:
 

Le PMI italiane si promuovono: voto 8 e mezzo alla gestione dell’emergenza

medie imprese meridionali
Il 77% ha adottato soluzioni digitali per affrontare gli impatti della pandemia, spiega un’indagine SAP-Pepe Research. Le testimonianze di Gruppo Pittini e Cellularline

L’impatto dell’emergenza sanitaria sull’economia italiana è certamente durissimo, ma un contributo di ottimismo viene dalle piccole e medie imprese (PMI) che danno un ottimo voto, oltre otto e mezzo su 10, sulla propria capacità di reagire alla crisi e affrontarla. Questo il responso di un’indagine di SAP Italia e Pepe Research su 40 imprese tra 30 e 500 milioni di euro di fatturato, di tutti i principali settori – industria, hi-tech, chimica, logistica, finance, retail – di cui sono stati intervistati i vertici aziendali.

Il 43% riferisce di aver perso business e fatturato durante il lockdown, mentre il restante 57% ha subito pochi o nessun danno. Il 60% è riuscito a continuare a lavorare, totalmente (53%) o parzialmente (7%), mentre il 40% ha chiuso del tutto”, ha spiegato in una conferenza stampa Arianna Della Beffa, ricercatrice di Pepe Research.

Agli intervistati sono state chieste delle parole per definire quello che hanno vissuto nel lockdown, sia come azienda che individualmente. Nel primo caso le parole più citate sono flessibilità e reattività (53%), nel secondo caso crisi, difficoltà e superlavoro (57%).

Il 57% ha dovuto riorganizzarsi: area più impattata l’HR

Le criticità principali sono nate da carenza di infrastrutture (hardware per lo smart working, connettività della zona geografica, connessioni domestiche, sistemi sottodimensionati), deficit culturali (dipendenti inesperti), e complessità della messa in sicurezza rispetto alle regole di distanziamento.

Il 57% ha dovuto riorganizzarsi molto o abbastanza per reagire all’emergenza. “Un aspetto importante è stato la gestione dell’emotività: è stato difficile gestire lo sconforto dei dipendenti ma è anche emersa forte solidarietà e spirito unitario”, spiega Della Beffa. Il lockdown è stato per la maggior parte un’occasione per ripensare le attività a livello organizzativo (consegne, ricevimenti, comunicazione, ecc.) o addirittura il core business (prodotti, servizi).

L’area più interessata dalla riorganizzazione è stata l’HR, la gestione dei dipendenti (77%), a causa soprattutto di cassa integrazione, smart working, turnazioni. Seguono marketing, comunicazione, e supply chain.

L’80% convinto che la pandemia abbia dato la giusta spinta alla digitalizzazione

“Il ruolo della digitalizzazione emerge in modo innegabile: il 77% dice di aver fatto ricorso a soluzioni digitali per far fronte all’emergenza, il 64% di aver accelerato progetti già in corso, e il 18% di aver introdotto metodi e soluzioni non preventivati”. Le tipologie di progetti digitali più diffusi durante il lockdown sono stati piattaforme di collaboration, digital marketing ed ecommerce, smart working, firma digitale, e virtualizzazione di attività prima fatte in presenza.

“In gran parte le aziende sono convinte che la pandemia abbia dato la giusta spinta alla digitalizzazione (80%), e a intraprendere innovazioni che saranno mantenute e sviluppate (69%): la sensazione nettamente prevalente è che quasi tutti i cambiamenti rimarranno anche dopo la fine dell’emergenza”.

A questo punto le priorità aziendali sono di recuperare fatturato, saper rispondere alle nuove necessità del mercato, e mantenere una forte attenzione alla sicurezza dei lavoratori. Ma il bilancio da parte delle PMI è tutto sommato positivo: il 97% è convinto di essere ora attrezzato per affrontare una crisi di questo genere (contro l’82% che lo era anche a marzo), e il voto medio che si attribuiscono nella gestione dell’emergenza è 8,6 su una scala da 1 a 10.

“Coerentemente con i risultati dell’indagine, abbiamo riscontrato una forte domanda di digitalizzazione durante la pandemia, con tre obiettivi: primo aumentare la reattività dell’azienda, la capacità di adattarsi e affrontare situazioni impreviste; secondo mantenere forte focalizzazione su efficienza e profittabilità; terzo rendere più sostenibile il proprio impatto su economia, ambiente e società”, ha commentato Adriano Ceccherini, Direttore Mercato Piccola e Media Impresa di SAP Italia. “Nella prima parte dell’anno la richiesta era di soluzioni puntuali in queste tre aree per far fronte all’emergenza, nella seconda c’è stata più attenzione a collegarle in un quadro più strutturato”.

I casi Pittini e Cellularline

Nella conferenza stampa hanno raccontato la propria esperienza anche due PMI: Gruppo Pittini e Cellularline.

Pittini Micaela Di Giusto

Micaela Di Giusto, Responsabile Gestione e Sviluppo Risorse Umane, Pittini

Gruppo Pittini è una realtà siderurgica friulana con 18 strutture produttive e 1800 dipendenti: “Mi ritrovo molto nei risultati della ricerca, in particolare per l’area HR che anche da noi è stata fortemente impattata – ha spiegato Micaela Di Giusto, responsabile risorse umane del Gruppo -. All’inizio del lockdown la priorità era capire come gestire le persone e far sì che tutto continuasse a funzionare. Tutte le attività HR sono cambiate, a partire dallo smart working. Un anno fa non l’avrei mai pensato, ma è stata un’opportunità. Non abbiamo fatto analisi o preparazioni preliminari. L’IT ha avuto un ruolo fondamentale per far lavorare da casa più di 300 persone da un giorno all’altro. Abbiamo formato i manager per dare loro le basi per gestire i collaboratori a distanza, rassicurarli e mantenerli motivati”.

Sono cambiate anche la formazione (“abbiamo lanciato la nuova piattaforma digitale myOPF”) e la selezione del personale, continua Di Giusto. “Prima di febbraio facevamo forse l’1% di colloqui online, ci tenevamo a farli di presenza per far conoscere la nostra realtà, eliminando i pregiudizi sul mondo siderurgico, oggi molto innovativo. Ora utilizziamo piattaforme di e-recruitment e un nuovo approccio di selezione per trasmettere i nostri valori attraverso lo schermo. In questo periodo abbiamo fatto diverse assunzioni, in un caso senza aver mai visto la persona fisicamente”.

E poi c’è la sfida di valutare i collaboratori a distanza: “Per questo abbiamo avviato il progetto Inside, al cui pilota ha aderito oltre il 70% del personale. Ora stiamo valutando se rendere lo smart working definitivo, anche dopo l’emergenza: le persone ci chiedono di farlo, 1-2 giorni alla settimana”.

Cellularline Massimo Marabese

Massimo Marabese, Group CIO di Cellularline

Cellularline è un gruppo italiano (sede a Reggio Emilia) specializzato in accessori per smartphone e tablet, nata 30 anni fa e ora presente in 60 paesi e quotata in Borsa, ha spiegato Massimo Marabese, Group CIO. Fattura circa 140 milioni di euro con oltre 200 dipendenti.

“Durante la pandemia l’azienda non si è fermata, ha continuato a sviluppare nuovi prodotti, fare acquisizioni, e lanciare nuove iniziative come Revolution, un progetto strategico di riposizionamento del marchio Cellularline. Abbiamo subito implementato lo smart working, che c’era già per la forza commerciale ma è stato esteso a tutti, rafforzato le VPN, e dotato tutti di laptop, dispositivi ufficiali aziendali certificati e protetti. Abbiamo rivisto alcune strategie, tutta quella di marketing è stata riorientata sul canale digitale dato che i negozi erano chiusi, abbiamo lanciato prodotti specifici per questa situazione, supportato i nostri clienti – le insegne – nella loro transizione verso il digitale, con un intensificato lavoro di co-marketing”.

Condividi: