Fake news: Google spiega come smascherarle in 5 mosse

fake news
Google propone cinque semplici consigli per aiutare le persone a porsi le domande giuste quando cercano online e per riconoscere più facilmente i casi di fake news.

Gli ultimi 12 mesi sono stati davvero impegnativi per i fact-checker, ovvero chi si accerta che un fatto sia realmente avvenuto e verifica le notizie e informazioni che circolano su quel fatto. Nell’ultimo anno, infatti, sono stati pubblicati oltre 50 mila fact check sulla Ricerca Google, che sono stati visualizzati in totale circa 2,4 miliardi di volte.

Secondo un numero crescente di analisi, i fact check possono aiutare a contrastare le fake news. In un nuovo rapporto pubblicato con il supporto della Google News Initiative, i ricercatori Ethan Porter, Thomas Wood e Yamil Velez sostengono che le correzioni apportate sotto forma di fact check eliminano gli effetti della disinformazione riguardo ai vaccini contro il COVID-19.

Il fact checking non riguarda solo una cerchia ristretta di professionisti. Ogni giorno, le persone cercano prove con cui confermare o confutare informazioni di cui hanno una conoscenza solo parziale. Nell’ultimo anno, le ricerche su Google del tipo “è vero che…” sono state più frequenti di ricerche del tipo “come fare il pane”, e non è poco se pensiamo all’interesse particolare che si era sviluppato l’anno scorso per il lievito. Google è impegnata per supportare tutti gli utenti che cercano online informazioni affidabili, anche grazie alla collaborazione con altre organizzazioni per rafforzare l’attività di fact checking.

Tenendo a mente questo obiettivo, Google ha realizzato insieme ad Altroconsumo e Fondazione Mondo Digitale un Decalogo della buona informazione e propone cinque semplici consigli per aiutare le persone a porsi le domande giuste quando cercano online e per riconoscere più facilmente i casi di disinformazione.

Fate una ricerca sulla fonte

Vi è mai capitato di imbattervi in una storia sorprendente su un sito di cui non avete mai sentito parlare? Innanzitutto, controllate se la fonte – cioè il sito stesso – ha effettuato le dovute verifiche. In questa simulazione, si può vedere come ottenere maggiori informazioni su un contenuto trovato online. Il sito internet immaginario “Mars Robot News” non contiene informazioni accurate sul pianeta Marte. Potete controllare come il sito si presenta nella sezione “Chi siamo” o “About”, ma potreste anche cercare ulteriori informazioni altrove per verifica.

Fake news blockchain

Oppure potete cercare il punto di vista di altre persone o organizzazioni su quella fonte, chiedendo a Google di non mostrare i risultati provenienti da quel sito: la ricerca potrebbe avere, per esempio nel caso di YouTube, questo aspetto: “chi è youtube? -youtube.com”.

Verificate che un’immagine sia affidabile

Come si dice sempre, un’immagine vale più di mille parole. Ma un’immagine può essere anche utilizzata fuori contesto, o potrebbe essere stata modificata con l’intento di distorcere gli avvenimenti. È possibile effettuare una ricerca sulle immagini facendo clic con il pulsante destro su una foto e selezionando “Cerca questa immagine su Google”. È possibile farlo anche da un dispositivo mobile toccando l’immagine e tenendola premuta. In questo modo si potrà verificare per esempio se l’immagine sia già apparsa online prima, e in quale contesto, e sarà possibile capire se ci sia stata qualche modifica per alterarne il significato originale.

Fate un controllo incrociato

Perché limitarsi a una sola fonte quando ce ne sono molte a disposizione? Controllate se (e come) diverse testate giornalistiche hanno parlato dello stesso evento, così da potervi farvi un’idea più completa. Passate alla modalità “Notizie” della Ricerca Google, oppure cercate un argomento su news.google.com. Assicuratevi di fare clic su “Copertura completa” quando l’opzione è disponibile.

State cercando se il nostro pianeta è stato visitato dagli alieni? In questo esempio dimostrativo potete vedere come, cliccando su “Copertura completa”, è possibile scoprire quali altre testate stanno coprendo una notizia.

Consultate i fact-checker

I fact-checker potrebbero già aver preso in esame la strana storia che un vostro parente o amico ha inviato nella chat di gruppo; oppure una storia simile che vi può aiutare a capire cosa sia successo veramente. Provate a cercare l’argomento sul Fact Check Explorer, che raccoglie più di 100mila notizie verificate da editori autorevoli di tutto il mondo.

Usate Google Maps, Earth o Street View per verificare un luogo

Le false storie su fatti avvenuti molto lontano da noi possono diffondersi facilmente proprio a causa della nostra scarsa conoscenza di quei luoghi. Se la storia che state leggendo contiene immagini su un posto, provate a cercarlo su Google Earth oppure con Street View su Google Maps.

Supponiamo che un amico vi mandi una storia su una strana creatura rossa che si starebbe arrampicando sulla Torre Eiffel a Parigi. Cercando la Torre Eiffel su Street View potrete quanto meno verificare che la torre non abbia sulla cima un grande cappello rosso da cowboy (a differenza della torre di Paris, in Texas). Se quella parte della notizia è così poco attendibile, è probabile che anche il resto della storia lo sia.

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Filippo Poletti, LinkedIn Top Voice 2020: usiamo la rete per fare business

Filippo Poletti, LinkedIn Top Voice 2020: usiamo la rete per fare business
A cosa serve essere sul social media dedicato al lavoro? Cosa bisogna fare per accrescere la propria rete di influenza e cosa occorre evitare di fare? Lo abbiamo chiesto a uno dei professionisti più seguiti su LinkedIn.

La scorsa settimana LinkedIn ha pubblicato la sua lista delle “Top Voices 2020”, per la prima volta anche per il mercato Italiano.  Tra queste, figura Filippo Poletti, collega di Fiera Milano (Computerworld è pubblicata da Fiera Milano Media, ramo editoriale del gruppo), e abbiamo quindi avuto l’occasione per una intervista approfondita sull’evoluzione di LinkedIn, social network in cui la dimensione dei contenuti sta costantemente crescendo di importanza rispetto alla semplice “rete di contatti professionali”.

Quanto serve stare attivamente su LinkedIn per chi lavora o è in cerca di lavoro?

«Posso raccontarvi la mia storia. Mi sono iscritto a LinkedIn nel 2009. Allora era evidente che il cv europeo, introdotto nel 1999, non era più sufficiente per presentarsi nel mondo del lavoro. Se non si voleva essere tagliati fuori dall’universo professionale, bisognava cambiare passo e stile. Bisognava fare rete ed essere in rete. L’obiettivo della mia presenza oggi su LinkedIn è lo stesso del 2009: conoscere altri professionisti e, assieme a loro, scoprire nuovi modi di approcciare l’universo lavorativo. In una sola parola fare “link building”».

Quali sono i consigli più importanti per fare personal branding su LinkedIn?
Filippo Poletti, LinkedIn Top Voices Italia 2020.

Filippo Poletti, LinkedIn Top Voices Italia 2020.

«La prima regola è quella di non sovrapporre la vita privata a quella professionale. LinkedIn non è Facebook, né tanto meno Instagram o TikTok: LinkedIn è una community di persone che lavorano. Ci possono essere, ovviamente, delle eccezioni, ma tali, a mio avviso, devono restare. La seconda regola è quella di condividere contenuti e commenti che non impattino negativamente sul proprio “brand”. Dire “noi” per dire “io” non paga su LinkedIn, né tanto meno seminare sentimenti non positivi. La terza regola è quella di proporre contenuti sia sotto forma di post che di veri e propri articoli: dobbiamo diventare una “media company”».

Parlando di contenuti, tu hai inventato la rubrica  “rassegna quotidiana del cambiamento”. Come nasce quotidianamente su LinkedIn?

«Dal 2017, ogni mattina, mi alzo all’alba, navigo sui portali di notizie e su quelli dedicati al lavoro e posto un contenuto che possa aiutare me stesso e altre persone a interpretare al meglio i mutamenti del mondo del lavoro. Giorno dopo giorno, dal 2017, la “rassegna del cambiamento” è cresciuta al punto da indurmi a farne un portale: la risposta calorosa di tantissime persone è stata ed è uno stimolo a continuare questa condivisione su LinkedIn e sul mio sito».

Quali sono stati i 3 post, dedicati al mondo del lavoro, che hanno generato più traffico, dal tuo punto di vista, negli ultimi mesi su LinkedIn?

«Ne cito tre: era il mese di marzo del 2020, eravamo in pieno lockdown. Angelo Gaja, patron dell’azienda vinicola piemontese, dichiara: «La mia famiglia e io prendiamo questo impegno: non licenzieremo nessuno dei 160 dipendenti. Anzi, ne assumeremo altri». Questo annuncio, ripreso da me su LinkedIn qualche settimana dopo, ha riscosso tanti consensi».

«All’inizio del mese di luglio invece, alla fine del lockdown: Ferrari ottiene la certificazione di “equal salary”. Nessuna differenza di stipendio, nell’azienda del Cavallino, tra uomini e donne se hanno la stessa mansione. È la prima azienda in Italia a ottenere questa certificazione. Anche qui tanti consensi su LinkedIn».

«Infine, una piccola e bella storia italiana: è l’annuncio di Andrea Franceschini, artigiano di Casalecchio in provincia di Bologna che ha deciso, andando in pensione e non avendo eredi, di non chiudere l’azienda ma di regalarla a 3 giovani. Questa storia d’impresa ha avuto tantissimi like su LinkedIn».

Tra i temi che tratti frequentemente c’è quello dello smart working. A questo hai dedicato anche una parte del tuo libro “Tempo di IoP: Intranet of People”. Qual è la percezione del lavoro agile da parte degli utenti di LinkedIn?

«Direi molto positiva. Ho iniziato a parlare su LinkedIn di smart working il 14 agosto 2017. Allora, sul Sole 24 Ore, fu pubblicato un articolo dedicato al progetto pilota di Tim, avviato nel 2016 e riservato a 9 mila lavoratori. Nell’estate del 2017 l’azienda rilanciò la proposta, estendendola a 11 mila professionisti con queste modalità:

  1. prestazioni in smart working fino al 20%;
  2. scelta tra tutti i giorni della settimana (non più solo, dunque, il mercoledì e il giovedì);
  3. massimo un giorno a settimana per un totale di 44 all’anno.

Allora i benefici per i collaboratori di Tim e per l’ambiente furono quantificati nel risparmio di almeno 302 mila ore di pendolarismo. Dal 2017, a seguito dell’approvazione della legge sullo smart working, il dibattito su questo tema è cresciuto: l’emergenza sanitaria legata al coronavirus ha fatto emergere alla luce del sole l’importanza di questa modalità di lavoro per tantissime realtà aziendale. Come scrive Marco Bentivogli nel libro “Indipendenti: guida allo smart working” è giunto il momento di archiviare la misurazione del risultato del lavoro unicamente in base all’aritmetica del cartellino. Questa visione del lavoro piace molto alla rete di LinkedIn».

Da ultimo, qual è lo strumento di LinkedIn a cui guardare con grande interesse da parte dei professionisti?

«Direi uno: la possibilità di fare dirette sia come membri che su pagine di LinkedIn. È il LinkedIn Live Broadcaster. Online possiamo trovare il modulo da compilare per fare richiesta di questo servizio, non a pagamento: il consiglio che posso dare è quello di richiederlo subito così da poter comunicare in diretta i nostri prodotti e i nostri servizi su LinkedIn».

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