Tavola rotonda VMware: i motivi che frenano l’adozione del cloud
Il cloud è tra gli strumenti che hanno consentito ad aziende e organizzazioni di adattarsi rapidamente ai cambiamenti imposti dalla crisi pandemica, ma in Europa solo un’azienda su tre utilizza attualmente il cloud: una penetrazione che è in ritardo di anni rispetto agli Stati Uniti. Perché così tante aziende ancora non usano il cloud? E sarà poi davvero, il cloud, la soluzione giusta per ogni azienda?
Sono queste alcune delle domande a cui si è provato a dare una risposta durante la tavola rotonda dello scorso 15 aprile organizzata da VMware e che ha visto la partecipazione di Joe Baguley, VP e CTO EMEA di VMware, Salvatore Cassara, CIO del gruppo SGB-SMIT, Gavin Joliffe, CEO di Xtravirt e Sylvain Rouri, Chief Sales Director di OVHcloud. Si sono, quindi, confrontate diverse figure coinvolte nella discussione sul cloud: l’esperto di tecnologia, il partner e il cliente.
Nell’ultimo anno, sempre più persone hanno sperimentato i vantaggi del digitale, dagli acquisti e l’intrattenimento all’istruzione. Allo stesso modo le aziende, un po’ per spinta imprenditoriale e un po’ per necessità, hanno rivoluzionato il proprio modo di operare. La trasformazione digitale le rende in grado di offrire esperienze migliori ai clienti e un ottimale ambiente di lavoro. Proprio grazie al digitale, alcune aziende come SGB-SMIT hanno addirittura notato un incremento della produttività rispetto al 2019. I partecipanti hanno comunque voluto soffermarsi su alcuni dei motivi che possono frenare l’adozione del cloud, eccoli di seguito.
Paura dell’ignoto
Salvatore Cassara, CIO del gruppo SGB-SMIT ha affermato che spesso le resistenze non arrivano tanto dal management, quanto dallo staff IT di formazione tradizionale, che è titubante di fronte a un ambiente nuovo che non conosce e su cui può esercitare un minor controllo, e teme che le sue competenze consolidate saranno sempre meno necessarie all’azienda. Se il reparto IT crea questo tipo di frizioni, l’innovazione aziendale è rallentata.
Cassara dice che sono stati necessari tre anni per convincere lo staff che, con i giusti processi di formazione e aggiornamento, il posto di lavoro non era affatto a rischio, e che anzi l’adozione del cloud era una valida opportunità per far evolvere le loro conoscenze e competenze.
Paura di rimanere incastrati
Un’altra causa della resistenza al passaggio al cloud è la paura di rimanere legati a un fornitore o una tecnologia, senza poter più uscire se ci si rende conto che l’azienda ha necessità diverse.
Qui, però, c’è da fare una premessa: non è detto che tutti i cloud siano la scelta migliore per tutte le aziende e tutti i carichi di lavoro. Di conseguenza, è più che normale utilizzare un cloud e rendersi poi conto che non soddisfa le aspettative o che si ha bisogno di altro, che sia un altro cloud o una diversa architettura.
È quindi possibile e spesso funzionale utilizzare contemporaneamente più architetture in base alle proprie necessità e a seconda del tipo di dati con cui si lavora, architetture che offrono servizi specifici di cui si ha bisogno. Alcuni early adopter, infatti, stano facendo un passo indietro, almeno su alcune specifiche applicazioni, perché non tutte le applicazioni e tutti i tipi di dato trattato sono adatti al cloud (alcuni sono tornati a infrastrutture on premises in seguito all’entrata in vigore del GDPR o cambiamenti nelle regole di compliance di alcuni settori).
Gli insuccessi delle adozioni frettolose
Alcune delle motivazioni che frenano l’adozione del cloud hanno origine dai racconti di alcune aziende che – sotto la pressione del management o delle linee di business che si sentivano in ritardo rispetto alla concorrenza – hanno cercato di migrare al cloud nel modo più veloce possibile, replicando in cloud le stesse infrastrutture e applicazioni utilizzate fino a qual momento su hardware proprietario nel data center.
Raramente però una migrazione “lift and shift” verso il cloud si rivela una soluzione efficace o conveniente. Per i partecipanti, il metodo migliore consiste nel valutare quali carichi di lavoro hanno necessità di essere eseguiti in cloud, e approfittare della migrazione per modernizzare e riprogettare le applicazioni legacy in modo che possano sfruttare caratteristiche e tecnologie del cloud per trarne un vero vantaggio.
Fatta questa valutazione, la seconda domanda è “di quale mix di architetture ho bisogno?”. Solo allora si è veramente pronti per fare questo passo verso la trasformazione digitale, che alla fin fine potrebbe anche non coinvolgere il cloud.
Il valore dei dati, lo spazio e il tempo
La trasformazione digitale vede i dati come protagonisti, in particolare grazie a due elementi distintivi: la velocità con la quale il digitale entra nelle nostre vite privata e professionale e la tracciabilità. Nell’attuale scenario di business è sui dati che si fonda il valore di un’azienda.
È importante sottolineare, però, che il dato non conserva il suo valore all’infinito, ma ce l’ha in un determinato tempo e posizione. Deve essere disponibile nel momento e nel luogo in cui serve al business. Se il dato non è disponibile con la latenza o la larghezza di banda necessaria, perché si trova in una location remota, il suo valore viene sprecato.
Altri dati hanno un valore che decade rapidamente nel tempo, ma rimangono archiviati per anni generando costi ma non ricavi (il fenomeno chiamato “Write once, read never”).
Altri ancora hanno bisogno della massima protezione, in accordo alle regolamentazioni di settore, mentre altri possono vivere in cloud pubblici senza lo stesso tipo di protezione e garanzie.
Solo da un’attenta valutazione di questi parametri può avvenire una migrazione dei dati verso il cloud che porti benefici e non svantaggi.
La decisione di affidarsi al cloud spesso non è una scelta semplice, ma se affiancata ad una strategia definita e al supporto e la formazione dello staff IT, la strada è in discesa.