La mano bionica e lo sviluppo delle protesi
Una protesi bionica I-Digits, applicata da Officina Ortopedica Maria Adelaide, ha restituito l’uso della mano destra a Daniel De Vincenzi, 18enne della provincia di La Spezia che l’anno scorso ha perso quattro dita in un incidente. Realizzata in fibra di carbonio e titanio, la protesi pesa meno di un chilo ha la capacità di fare dodici movimenti diversi, rispondendo agli impulsi cerebrali del giovane attraverso un elettrodo alimentato a batterie. “Lo scorso settembre portavo a casa un bovino legato con una corda avvolta alla mano destra, quando l’animale diede un forte strattone, strappandomi in modo quasi completo circa metà del palmo – racconta – sono stato trasportato d’urgenza al Policlinico di Modena, dove ho subito un tentativo di reimpianto dell’arto, che purtroppo non è andato a buon fine a causa di un’infezione”
La soluzione della Cleveland Clinic
Grazie a un video su Youtube, Daniel conosce l’Officina Ortopedica Maria Adelaide, una delle poche realtà accreditate in Italia per l’applicazione degli arti bionici. Decide di provare a tornare a recuperare le funzionalità utilizzando la protesi di ultima generazione, in grado di consentirgli di prendere piccoli oggetti come di indicare qualcosa, stringere la mano o utilizzare schermi touch con l’indice. La vicenda racconta i progressi in un campo dove la tecnologia corre veloce. Recentemente, un articolo su Science Reports ha descritto una nuova tecnologia sviluppata nel Laboratorio di Integrazione Bionica della Cleveland Clinic, che consente di realizzare le prime protesi degli arti superiori in grado di coniugare pensiero, controllo del movimento e percezione sensoriale, processi che avvengono in modo naturale e automatico in una persona senza amputazioni.
L’arto si inserisce nell’osso
Un’altra nuova frontiera della protesi è la gamba bionica. Non una gamba mobile, ma un arto che va a inserirsi direttamente nell’osso. La tecnica è stata presentata da Stefano Zaffagnini, direttore della 2° Clinica Ortopedica e Traumatologica, Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna e da Emanuele Guppioni, Direttore Tecnico Area Ricerca e Formazione Centro Inail Vigorso di Budrio.
Osteointegrazione è il termine che definisce la nuova strada per le protesi che hanno normalmente un’invasatura che le collega alla gamba. Una soluzione che crea problematiche come la sudorazione e la deambulazione. Attraverso l’osteointegrazione la protesi viene attaccata direttamente all’osso. Lo stelo viene inserito all’interno del femore e un supporto viene agganciato direttamente all’osso. Su questo supporto viene poi agganciata la protesi, che può essere rimossa in qualsiasi momento.
“Il contatto diretto – spiega Stefano Zaffagnini –permette al paziente di fare cose che con la normale invasatura non riesce a fare, come ad esempio accavallare la gamba. Si attacca e si sgancia in un minuto, una cosa rapida, con l’invasatura ci sarebbero invece difficoltà. C’è meno deambulazione e nella fase del passo si cammina in maniera più eretta e questa permette al paziente di avere una padronanza del passo”.
In poche parole è come un aggancio da sci: “É facilissimo da togliere e mettere, durante la giornata il paziente riesce a camminare molto di più. In Italia la soluzione è ancora sperimentale, abbiamo questo progetto che ha permesso di fare i primi tre casi e adesso sto cercando di avere un rimborso”. Il ginocchio, ha precisato Gruppioni è di tipo elettronico, con sensori che gli consentono di adattarsi all’attività che sta svolgendo il paziente. “Stiamo lavorando su componenti esterni, introducendo le protesi propulsive in grado di aggiungere energia alla camminata e altre attività. Stiamo guardando molto all’aspetto estetico. A me piace dire che l’estetica è funzionalità. Fino a qualche anno fa si nascondevano le amputazioni ora è diverso”.