Un’alleanza pubblico-privato per il digitale
Ruvido come suo solito Renato Brunetta, ministro per la Pubblica Amministrazione, non le manda a dire alle aziende tecnologiche. Riunite da Assinform per il convegno “Il procurement pubblico del digitale per la trasformazione del Paese”, il Ministro inizia piano e poi cambia decisamente il tono del suo intervento, perché le cose bisogna dirsele. “Serve un’autocritica nostra e vostra, molti errori sono stati commessi in passato da noi e da voi”.
Noi spendere budget voi fare budget
“Fin dagli anni Novanta – prosegue – non c’è stata programmazione degli investimenti in capitale e formazione del personale”. La Pubblica Amministrazione ha acquisito tecnologia ma “sembravamo i bambini che corrono tutti dietro al pallone”. Non c’erano schemi, strategia, programmazione. “Noi dovevamo spendere il budget e voi farlo”. Ma c’è dell’altro. “Vi siete rivolti alla Pa non come un partner, ma come un cliente da sfruttare”, afferma duro Brunetta. Che è esattamente l’opposto di quanto da sempre dichiara qualsiasi azienda.
Ma Brunetta non vuole insistere, fa solo capire alla platea che adesso bisogna cambiare strada anche perché siamo di fronte a “una straordinaria congiuntura astrale”. Oltre ai soldi del PNRR ci sono anche a disposizione 1,8 miliardi in cinque anni per la formazione del personale. “Ma dobbiamo giocare in due perché c’è bisogno di servizi di alta qualità”. Perché il problema non è vendere ma realizzare insieme l’obiettivo soprattutto se il partner è momentaneamente debole. “Per questo serve un’alleanza tra PA e imprese, bisogna essere efficienti, intelligenti e avere schemi di gioco”.
Una normativa per l’ICT
L’intervento di Brunetta, che sarà materia di riflessione in molte aziende, apre la strada ad Annalisa Giachi, responsabile ricerche Promo Pa Fondazione, che ha presentato un’indagine sul Procurement pubblico del digitale: dal planning all’execution.
Lo studio fotografa il mercato degli acquisti pubblici Ict nel periodo 2016-2020. “Il settore sta andando piuttosto bene, il trend in crescita – è l’esordio di Giachi -. Nel 2020 sono state attivate circa 14mila procedure, erano diecimila nel 2016, che corrispondono a una spesa attivata di 9,2 miliardi di euro con una crescita del 10% rispetto al 2019 spiegabile anche con gli acquisti per la gestione dell’emergenza Covid”.
I 9,2 miliardi riguardano le procedure attivate autonomamente dalle stazioni appaltanti ai quali vanno aggiunti gli accordi quadro, strumenti centralizzati di acquisto gestiti dalle stazioni di committenza. Si parla quindi di Consip a livello nazionale e delle centrali di committenza regionale. Anche l’andamento di queste intese è positivo, con il passaggio da 649 oltre 850 nel periodo considerato, per un valore aggiuntivo di 3,8 miliardi. Di questi, Consip ne gestisce più della metà e ha registrato una crescita esponenziale nel 2020.
Le procedure di gara si dividono in procedure negoziate, affidamenti diretti e procedure aperte. Questi ultimi sono circa 400mila per oltre 11 miliardi e le altre 19mila per otto miliardi. “La procedura aperta è invece residuale perché il mercato avendo necessità di spendere velocemente vuole strade più rapide”. Le procedure aperte sono sacrificate perché il 90% degli affidamenti diretti si conclude entro un mese mentre per le aperte il 35% si conclude in sei mesi ma la maggior parte va oltre questo lasso di tempo. Questo però comporta conseguenze in termini di apertura del mercato alle piccole imprese.
Le richieste delle imprese
Lo studio ha anche una parte qualitativa che ha indagato le richieste di stazioni appaltanti e imprese. Le prime dicono che l’ICT necessità di un quando normativo specifico perché non si possono gestire gli acquisti tecnologici come gli altri. In più non si guarda a ciò che c’è prima e dopo la gara, la programmazione è farraginosa o gestita in modo burocratico.
All’interno della Pubblica Amministrazione mancano le competenze e poi c’è il tema dell’e-procurement. “Finalmente abbiamo il Dpcm del 13 agosto che dà attuazione all’art. 44 del codice appalti ma mancano le linee guida dell’Agid, i criteri di adeguamento delle piattaforme non sono perfettamente adeguati e il percorso non è completo”.
Riguardo la programmazione c’è la necessità di inserire nel bilancio degli enti un capitolo per l’ICT che consentirebbe di agevolare il processo di programmazione. Per la preparazione della gara, invece, si chiede di utilizzare l’Intelligenza Artificiale per l’analisi dei requisiti delle imprese.
Da anni si parla di una banca dati degli operatori economici, in via di realizzazione dall’Anac per avere un luogo dove le stazioni appaltanti possono verificare i requisiti. Per quanto riguarda l’esecuzione mancano competenze informatiche e di project management. “Oggi i RUP (Responsabile Unico del Procedimento) non hanno queste competenze, non sanno gestire la complessità di un lavoro” sentenzia Giachi. E ancora, i capitolati, dicono le imprese, sono spesso scritti male e difficilmente comprensibili.
Spesso la PA chiede requisiti che non permettono di fotografare le specificità dell’azienda e i tempi di pagamento rimangono un problema non risolto. Tra le altre richieste che arrivano dal mondo delle aziende ci sono: track record delle precedenti esperienze, white list di fornitori certificati, rendere più dinamico il Mepa che funziona ma è troppo rigido e maggiore apertura alla partecipazione di startup e Pmi innovative. Che devono partire però dall’ammonimento di Brunetta.