Nel 2020 in Italia gli enti pubblici hanno avviato 14.142 procedure di gara di importo pari o superiore a 40 mila euro per acquistare beni e servizi ICT, per un valore complessivo di 9,2 miliardi. Il numero di gare è aumentato dell’1,4% rispetto al 2019, confermando un trend di crescita che dura dal 2019, mentre il valore totale ha avuto un picco nel 2018 (quasi 10 miliardi), un calo nel 2019 e una netta ripresa appunto nell’anno della pandemia.

Sono i dati principali del primo rapporto “Il Procurement Pubblico del Digitale: dal Planning all’Execution” di Anitec-Assinform e Promo PA, Fondazione per la riforma e l’innovazione della Pubblica Amministrazione, presentato ieri.

Lo studio ha due obiettivi. Il primo è quantificare in modo dettagliato lo stato dell’arte e le dinamiche degli acquisti di prodotti e servizi ICT nella pubblica amministrazione italiana, analizzandone le principali criticità attraverso testimonianze raccolte tra luglio e settembre 2021 sia lato domanda che lato offerta.

Il secondo è contribuire con proposte concrete al dibattito in corso sulla digitalizzazione del procurement nella PA, a partire dai 5 pilastri di intervento individuati da Anitec-Assinform: semplificazione, regolazione, governance, appalti innovativi e competenze digitali.

In sintesi le sfide cruciali che occorre risolvere nella PA secondo ii report, cogliendo anche l’occasione della riforma della PA prevista dal PNRR, sono la qualificazione delle stazioni appaltanti e la professionalizzazione del procurement

Vediamo in breve qualche altro dato del report “Il procurement pubblico del digitale”:

– Circa il 55% del procurement ICT in valore si concentra sulle grandi gare (5+ milioni di euro).

– Il numero di accordi quadro è passato da 649 nel 2016, per un valore di appena 1,6 miliardi, a 852 nel 2020 (importo totale: 3,8 miliardi), passando per il picco del 2019 (1033 bandi e oltre 6 miliardi di spesa).

– L’andamento degli accordi quadro Consip è altalenante (anche per la durata pluriennale dei contratti), ma in crescita esponenziale nell’ultimo biennio. Nel 2020, probabilmente per l’eccezionalità di alcuni acquisti legati alla pandemia, si toccano i 2,2 miliardi, valore quasi doppio di quello già alto del 2019, a fronte di un numero di gare sostanzialmente immutato dal 2016.

– I tempi medi di appalto sono stati ridotti puntando sulle procedure di scelta del contraente più veloci: gli affidamenti diretti (+14,2%) per oltre 3,6 miliardi di euro (+20,1%) e le procedure negoziate per gli affidamenti sottosoglia: +73,9% in numero, per oltre 1,5 miliardi di euro (+540,2%).

. I Servizi informatici (consulenza, sviluppo di software, Internet e supporto), con oltre 21 miliardi  e in particolare i servizi di programmazione e consulenza software (13,5 mld) sono il comparto ICT per cui la PA ha speso di più nel quinquennio 2016-2020;

– per le procedure aperte i tempi medi di espletamento della gara sfiorano i 6 mesi (e li superano per le procedure ristrette); si superano comunque i 5 mesi per gli appalti oltre il milione di euro.

– il ribasso mediamente praticato dalle imprese per aggiudicarsi le gare cresce dal 7,4% del 2016 all’11,0% del 2019 mantenuto anche nel 2020 per effetto di una maggiore competizione fra le imprese, trainata dalla maggiore appetibilità degli appalti.

– A parte le Società in Conto Economico Consolidato e SpA che generano quasi 3 miliardi, i soggetti più attivi nel procurement ICT sono state le Aziende Sanitarie per maggior numero di procedure di gara avviate (2.389), e i Comuni per valore complessivo attivato (1,6 miliardi). A livello centrale i volumi maggiori di procurement ICT sono registrati dall’ Archivio di stato con 0,9 miliardi e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministeri e Avvocatura dello Stato e Organi Costituzionali con 0,7 miliardi.

I principali problemi del procurement ICT nella PA

Dall’analisi di Anitec-Assinform sono emerse alcune criticità e problematiche principali sul procurement pubblico di beni e servizi ICT analoghe a quelle dell’intero mercato dei contratti pubblici.

Nello specifico c’è una sostanziale condivisione sulle richieste di maggiore flessibilità in fase di ricognizione dei fabbisogni e programmazione degli acquisti, e di realizzazione di una banca dati unica delle pubbliche amministrazioni per la fase di affidamento. Quanto alla fase di esecuzione dei contratti, si evidenzia una mancanza nella PA della cultura e delle competenze di project management che servirebbero alle stazioni appaltanti per mantenere il controllo sui progetti e la gestione dei contenziosi, aggravata dai tempi della giustizia.

Nel Rapporto inoltre emerge la necessità di definire nella riforma del Codice dei contratti pubblici una disciplina specifica per l’ICT, e di creare una Centrale unica di committenza sull’ICT specializzata potenziando la struttura dedicata attualmente esistente in Consip o creando un nuovo soggetto.

L’innalzamento della soglia degli affidamenti diretti nel settore ICT prevista dall’art. 53 è apprezzato da tutti i partecipanti poiché per la prima volta riconosce le specificità e le peculiarità del settore ICT nel sistema degli appalti pubblici, anche se aspetti legati al triplo regime regolatorio e al rapporto tra regime derogatorio e ordinario destano ancora qualche preoccupazione.

Molto sentita è la necessita di valorizzare nel Codice le Startup e le PMI innovative ICT e di rafforzare la qualificazione delle stazioni appaltanti con specializzazione ICT. Infine, viene rilevata l’urgenza di qualificare gli operatori attraverso un sistema di rating dei fornitori.

Il punto di vista dei fornitori di tecnologie ICT

Il Rapporto riporta anche i pareri dei partner tecnologici (fornitori di tecnologie ICT), che evidenziano quattro priorità per il procurement pubblico di beni e servizi digitali:

  • più coordinamento tra le amministrazioni centrali e regioni/territori per i progetti di digitalizzazione;
  • inserimento di una voce di bilancio dedicata per l’ICT nei piani di spesa degli enti, sia per agevolare la programmazione che per monitorare i livelli di spesa;
  • necessità di rendere più “aperte al mercato” le procedure associate agli accordi quadro, per garantire la concorrenza e l’accesso alle tecnologie più aggiornate;
  • necessità di rafforzare la qualificazione delle stazioni appaltanti affinché siano in grado di formulare al meglio i fabbisogni e valutare più correttamente i benefici attesi dalle soluzioni tecnologiche proposte.

A livello più operativo, gli ostacoli principali segnalati dai partner tecnologici sono la complessità delle procedure di gara e pesantezza degli adempimenti amministrativi, seguiti dalle tempistiche di pagamento, dai cambiamenti imprevisti al piano di lavoro e dalle tempistiche per le verifiche di conformità, e dalla difficoltà di far capire la necessità di digitalizzare i processi e di non limitarsi a dematerializzare quelli attuali.

Sulla base di tutte queste evidenze, la ricerca si conclude con una serie di proposte per un procurement più “digital-driven” nella PA italiana:

  • Prevedere una normativa specifica per il procurement ICT e un contesto più favorevole per migliorare il dialogo tra gli attori del procurement ICT;
  • Adottare un nuovo modello di demand management negli enti pubblici per migliorare la pianificazione e la programmazione dei progetti ICT;
  • Realizzare banche dati e interoperabilità per velocizzare i processi dalla gara all’affidamento;
  • Creare una o più centrali di committenza con maggiori competenze specifiche per l’ICT sia in fase di planning che di execution;
  • Accompagnare e supportare le PMI e le startup innovative con azioni di capacity building di sistema.

“La digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni è una delle tre componenti della Missione 1 del PNRR”, commenta in un comunicato Marco Gay, Presidente di Anitec-Assinform. “In particolare agli interventi di digitalizzazione della PA è destinata la maggior parte delle risorse: 9,75 miliardi di euro. È un’opportunità storica. Dobbiamo puntare su una maggior collaborazione pubblico-privato sapendo che il mercato può supportare la PA nelle scelte di investimento e di progettazione. Intervenire sulle regole del public procurement ICT può essere determinante se vogliamo che il digitale entri a pieno titolo nella PA, cambiandone i processi, e migliorare così prestazioni e servizi a cittadini e imprese. Anche perché la domanda pubblica può giocare un ruolo chiave nello stimolare le imprese e il mercato a dare risposte sempre più innovative”.