7 domande che i CIO devono porsi sull’ufficio del futuro
Il futurista Bob Johansen è un illustre collega del think tank Institute for the Future (IFTF) con sede nella Silicon Valley e autore o coautore di 12 libri, tra cui Leaders Make the Future, The New Leadership Literacies: Thriving in a Future of Extreme Disruption e Full-Spectrum Thinking. Il suo prossimo libro, Office Shock: Creating Better Futures for Living and Working, affronta un argomento con cui ogni CIO con cui parlo è alle prese oggi: lo sconvolgimento degli uffici creato dal COVID-19.
Come sottolinea Johansen, il rovesciamento dell’ufficio tradizionale ha creato opportunità per reimmaginare come e dove il lavoro d’ufficio può e deve essere svolto. Apre anche nuove possibilità di connessione umana in modi più significativi. Anche in un futuro altamente incerto, possiamo fare scelte intelligenti per creare modi migliori di vivere e lavorare. Ma prima, dovremo rinnovare le nostre aspettative su dove, come e perché lavoriamo.
Abbiamo intervistato Johansen per svelare le implicazioni del futuro del lavoro e per capire come i CIO possono prendere decisioni migliori. Abbiamo anche discusso delle capacità e delle qualità che definiranno quelle aziende in grado di innovare rapidamente e ottenere il vantaggio di chi fa la prima mossa.
La grande domanda che i CIO si stanno ponendo in questo momento è quando dovremmo tornare in ufficio. Ma lei sostiene che non sia la prima domanda a cui dovrebbero pensare.
È una domanda ragionevole, ma per noi è la numero sei su sette delle domande che stiamo ponendo. La prima domanda è: perché volete andare in ufficio? Qual è lo scopo dell’ufficio? Penso che sia da lì che si debba iniziare. E quando pensate al futuro, potete iniziare a vedere come gli uffici possono essere luoghi con uno scopo e resi possibili da nuovi modi di lavorare, potenziati dalle nuove tecnologie per ottenere un impatto reale.
Ma la domanda numero uno è: perché andate in ufficio? Lo scopo è estremamente importante, in particolare in un periodo volatile, incerto, complesso e ambiguo come questo. C’è una nuova ricerca secondo cui le persone con uno scopo sono più felici, più sane e vivono fino a sette anni in più. Le persone con uno scopo che lavorano per organizzazioni anch’esse con uno scopo sono più felici, più sane e vivono fino a 14 anni in più e le aziende hanno prestazioni migliori. Lo scopo è fondamentale per tutti noi e l’ufficio gioca certamente un ruolo in questa ricerca.
La seconda domanda è: quali sono i risultati che mirate a raggiungere tramite l’ufficio? Il valore per gli stakeholder è il primo risultato che viene in mente, ma sempre più spesso alle aziende viene chiesto il valore sociale o il valore della comunità. Bisogna poi chiedersi come si pensa di estendere e potenziare l’intelligenza del proprio ufficio. Perché se guardiamo a cosa succederà tra dieci anni, saremo tutti potenziati da ausili digitali in qualche modo. Le risorse umane non saranno in grado di isolare l’essere umano dalle risorse digitali. Quindi, nel prossimo decennio, dovremo rispondere alle domande su cosa gli esseri umani sanno fare meglio e cosa i computer sanno fare meglio.
La domanda successiva è: con chi volete lavorare? Qual è il giusto mix di persone? Potete pensare a questo come al futuro della diversità e dell’inclusione. È ovvio, pensando al futuro, che tra dieci anni saremo estremamente diversi nei nostri uffici. La domanda è: come possiamo essere volutamente diversi sapendo che team diversi sono più produttivi e innovativi? La diversità è qui per restare, ma esattamente come dobbiamo gestirla? Inclusività e appartenenza sono la parte difficile.
E ora arriviamo alla domanda sul dove e il quando. Lo spettro di risposte qui va dagli uffici fisici al metaverso. Questo sarà una rete di reti con un potenziale crescente di realtà mista e i più giovani saranno molto più bravi di noi a utilizzarlo e sfruttarlo. L’ultima domanda invece è: come si progetta un ufficio agile e resiliente in modo da poter essere flessibili nel mondo odierno?.
Ha scritto tre libri che approfondiscono le capacità di leadership, l’alfabetizzazione e la mentalità di cui i leader hanno bisogno per il futuro. Potrebbe parlare di ciò che l’ha ispirata ed evidenziare due o tre skill su cui i CXO dovrebbero concentrarsi particolarmente in questo momento?
In questo momento, penso che la chiarezza sia la skill più importante. In un mondo come questo dovete essere molto chiari sulla direzione, ma molto flessibili sull’esecuzione. Non potete più essere certi di nulla. Il futuro premierà la chiarezza ma punirà la certezza. La certezza è semplicemente troppo fragile.
Questo ci porta nella realtà del tempo presente, dove siamo così polarizzati nel pensare e ciò è molto pericoloso. Come leader, dobbiamo cercare un terreno comune senza rimanere bloccati in questa polarizzazione.
Stiamo attraversando enormi trasformazioni, con la pandemia in cima a tutto, ma ci saranno dei vincitori e saranno coloro che sapranno innovare e ottenere il vantaggio di chi fa le prime mosse. Cosa fanno di diverso?
È un gioco di prontezza. Non potete prevedere, ma potete esercitarvi per essere più o meno pronti. È qui che entrano in gioco la simulazione e il gaming. Dovete essere in grado di anticipare il futuro e quindi provare a creare ambienti sicuri in modo da poter esercitarvi con modalità a basso rischio.
Questo fa parte del problema di dove siamo ora. Non eravamo affatto preparati al Covid, anche se avremmo dovuto esserlo. Il rischio era evidente se si guarda al futuro. La sorpresa è stata quanto male abbiamo reagito. Le nostre menti sono mature per soluzioni semplicistiche e in un mondo volatile, incerto, complesso e ambiguo come questo queste soluzioni non esistono. Dovete essere in grado di affrontare quell’incertezza ed essere chiari su qualunque cosa sulla quale state investendo.
Quando pensa agli innovatori del futuro, che aspetto pensa che avranno i loro uffici reinventati?
La prima parola che mi viene in mente è flessibile. Tutto dovrà avere flessibilità. A tal proposito uso il termine “organizzazioni che cambiano forma”. Le gerarchie vanno e vengono, i confini sono più porosi, sono in parte fisici, in parte virtuali. Penso che più diventiamo digitali, più daremo valore alle esperienze di persona, in particolare per l’onboarding, il rinnovamento e la creazione di fiducia; ma non saremo in grado di farlo con la stessa disinvoltura di prima e ci saranno continue precauzioni. Ciò significa che dovrete diventare davvero abili con il virtuale e questa è una vera sfida per molti leader odierni.
La seconda cosa che mi viene in mente è profondamente digitale. Come ho già detto, ci stiamo già potenziando tutti digitalmente. In questo momento abbiamo risorse umane e tecnologia dell’informazione, ma tra dieci anni avremo risorse umane informatiche. Chi lavora nelle risorse umane dovrebbe essere profondamente digitale e davvero interessata al gaming, alla simulazione e al virtuale: questi saranno infatti i mezzi di apprendimento del futuro.
Non sono invece particolarmente preoccupato per l’intelligenza artificiale. Molti futuristi pensano che ci saranno casi in cui gli esseri umani saranno sostituiti dai computer, ma non è questo l’elemento principale su cui focalizzarsi. Lo è invece il fatto che umani e computer fanno cose insieme che non sono mai state fatte prima. Tom Malone del MIT le chiama “super menti” ed è quello che dovranno essere i leader. Quindi, se pensate all’ufficio del futuro, sarà qualcosa di flessibile e in continuo mutamento guidato da delle super menti.