Coinvolgimento dei collaboratori, turnover, dimissioni: cosa può e cosa non può fare l’AI
I dipendenti stanno lasciando il lavoro a tassi record e le aziende hanno difficoltà a trattenerli o riconquistarli. Il lavoro da remoto ha reso più difficile per i manager identificare i dipendenti insoddisfatti. Inoltre, formare i nuovi assunti è più difficile quando non possono partecipare a sessioni di formazione di persona o avere vicino colleghi esperti.
Per risolvere tutti questi problemi, le aziende si rivolgono sempre più all’intelligenza artificiale, che permette di “misurare” il coinvolgimento dei dipendenti o la loro perdita di interesse, intercettare il malcontento e le opportunità di supporto da parte dell’azienda. Ma c’è un limite a quanto l’AI può fare: qui esaminiamo le aree in cui può essere utile l’intelligenza artificiale e le situazioni in cui, se manca la giusta strategia, può essere addirittura dannosa.
Utilizzo dell’IA per misurare il coinvolgimento dei dipendenti
Le “Grandi Dimissioni” non sono state un’esagerazione. Nel 2020 hanno lasciato il lavoro 48 milioni di persone, un numero senza precedenti che ha battuto anche il record di 42 milioni del 2019.
Secondo un recente sondaggio di McKinsey i principali motivi che portano alle dimissioni sono le aspettative insostenibili sulle prestazioni lavorative, la mancanza di opportunità di sviluppo e avanzamento di carriera e la mancanza di uno scopo significativo nel proprio lavoro. La retribuzione è un fattore che si colloca solo al sesto posto nella classifica di McKinsey. Il primo motivo per cui le persone lasciano il lavoro? Leader indifferenti.
Il problema è che può essere difficile notare che i dipendenti sono in difficoltà quando quasi lavorano tutti da remoto.
“Sono una persona della vecchia scuola e credo che niente possa sostituire il fatto di lavorare insieme per capire l’umore di qualcuno”, afferma Bill Nowacki, responsabile della scienza delle decisioni presso KPMG. “Il lavoro a distanza e il lavoro ibrido sono interessanti e molte aziende li abbracciano. Ma questo, per definizione, toglie ai manager la capacità lavorare a contatto con i propri collaboratori. Quando ho un team sparso in tutto il mondo, non posso comprendere fino in fondo l’umore dei singoli membri, se sono stanchi o meno”.
Per colmare questa lacuna, alcune aziende si stanno rivolgendo a sondaggi tra i dipendenti volti a valutare il loro stato d’animo e, più recentemente, hanno esplorato l’uso di chatbot interattivi.
KPMG, per esempio, ha creato il suo primo chatbot interattivo nel 2016. All’inizio l’adozione è stata limitata, ma nel tempo l’interesse è cresciuto.
Nowacki afferma che la tecnologia è cresciuta da allora e, oggi, è possibile raccogliere molte informazioni su cosa stanno facendo i dipendenti, per esempio quando accedono ai loro sistemi di lavoro, quando effettuano le telefonate e quanto tempo hanno tra le riunioni.
“Tutti questi dati sono lì disponibili”, dice Nowacki. “L’importante è che i lavoratori non percepiscano intrusione, ma un’attenzione utile da parte dell’azienda, che si sta prendendo cura della loro salute”.
KPMG calcola un punteggio per il “rischio di logoramento” di un dipendente, cerca di identificarne le ragioni e quindi suggerisce una soluzione. “Con i test retrospettivi e la convalida incrociata, abbiamo scoperto che siamo stati in grado di prevedere le dimissioni di due terzi delle persone. Tra questi, siamo riusciti a trattenere dal 10% al 20% di di chi stava per andarsene.
Impiegare l’IA per combattere il logoramento delle persone
Un’azienda che ha investito in chatbot basati sull’intelligenza artificiale e altri strumenti per ridurre il logoramento dei lavoratori è la società globale di servizi professionali Genpact, che ha oltre 100.000 dipendenti. Il suo chatbot Amber pone ai dipendenti domande rilevanti in momenti cruciali per l’azienda.
“I risultati consentono ai leader delle risorse umane e ai dirigenti della C-suite di aiutare in modo proattivo i dipendenti insoddisfatti”, afferma Sanjay Srivastava, chief digital officer di Genpact. “In precedenza utilizzavamo i sondaggi, ma lo strumento AI è più efficace nel misurare gli stati d’animo dei dipendenti. Il punteggio dell’umore positivo è ora un indicatore chiave”.
La società agisce quando c’è un calo dell’umore positivo, garantendo ulteriore supporto alle persone quando ne hanno bisogno.
“Amber è stato particolarmente cruciale durante la pandemia, quando l’azienda è passata al lavoro da remoto”, afferma Srivastava. Secondo Genpact, il 66% dei propri dipendenti ha utilizzato il chatbot Amber nel 2021 e, tra coloro che l’hanno fatto, l’84% ha riportato un umore positivo.
“I dipendenti che non partecipano alle chat di Amber se ne vanno a una velocità due volte superiore a quelli che lo utilizzano“, osserva Srivastava. “I risultati sono stati ben oltre quello che ci si poteva aspettare”.
L’azienda utilizza l’AI anche per monitorare i messaggi dei dipendenti per rilevare potenziali dimissioni. “Analizzando i metadati dei messaggi, non i messaggi stessi”, spiega Srivastava, “possiamo provare statisticamente che determinati tipi di comportamento di comunicazione sono direttamente correlati alle prestazioni aziendali”.
L’analisi può aiutare a identificare anche i lavoratori molto intraprendenti in modo che l’azienda possa fare ulteriori passi per mantenerli motivati. E può identificare i rischi di logoramento, consentendo al management di discutere le strategie di coinvolgimento o mettere in atto piani di successione prima che i dipendenti se ne vadano effettivamente.
Integrazione più rapida dei nuovi assunti con l’intelligenza artificiale
Genpact sta utilizzando l’AI anche per accelerare il processo di onboarding dei nuovi assunti. L’azienda ha trasformato il percorso di assunzione digitalizzando l’intera esperienza di onboarding, che prevede percorsi esperienziali personalizzati, accompagnati da mappatura di esperienze ed emozioni ad ogni touchpoint.
Altre aziende stanno utilizzando l’intelligenza artificiale per formare i nuovi dipendenti in modo più efficace, un aspetto sempre più importante con il passaggio al lavoro da casa. “E offrendo ulteriori opportunità di formazione, le aziende rafforzano anche il coinvolgimento dei dipendenti”, afferma Jonathan Parnell, consulente senior per la trasformazione di cloud e data center presso la società di consulenza tecnologica Insight. “Le persone sentono che l’azienda ci tiene davvero e sta investendo nel tuo futuro. Molti dei problemi legati alla carenza di personale sono causati dal fatto che le aziende non investono nell’attuale forza lavoro”.
Le soluzioni di formazione basate sull’intelligenza artificiale offrono il massimo valore aziendale in situazioni in cui i dipendenti lavorano all’interno di parametri molto specifici e dove c’è molto turnover. I call center per i clienti sono un esempio perfetto.
Andy Thurai, vicepresidente e analista di Constellation Research, ha recentemente lavorato con un rivenditore globale di dimensioni medio-grandi che, all’inizio della pandemia, ha avuto difficoltà a gestire il fatturato nei propri call center.
Prima della pandemia, i nuovi assunti ricevevano documentazione e video per la formazione, che veniva completata in classe di persona. “Quando tutto è diventato virtuale, i manager assumevano e formavano le persone senza conoscerle veramente”, spiega Thurai. In genere, in un call center, i manager camminano tra le postazioni, osservano come stanno i dipendenti, sono pronti a intervenire e aiutare in caso di problemi. “In modalità remota tutto questo non può succedere”.
L’azienda ha deciso di creare una soluzione basata su componenti di diversi fornitori, tra cui elaborazione del linguaggio naturale, processo decisionale intelligente, sistemi di coaching e AI conversazionale. “Ci sono voluti da sei mesi a un anno prima che funzionasse abbastanza bene da soddisfare le sue esigenze”, dice Thurai. “E la sta ancora costruendo. Con i sistemi di intelligenza artificiale, le cose non sono mai perfette“.
L’azienda ha iniziato utilizzando vecchi casi di clienti per il programma di formazione, consentendo ai dipendenti di provare a trovare le proprie soluzioni, e poi si è evoluta simulando nuovi casi di supporto che non erano emersi in passato.
Entrare nell’era delle “risorse umane aumentate”
L’utilizzo dell’AI per la formazione, nonché per le assunzioni, il coinvolgimento e altre attività tipiche delle HR è ciò che IDC chiama “risorse umane aumentate“.
La spesa per le risorse umane aumentate è cresciuta di circa il 30% lo scorso anno a quasi 3 miliardi di dollari e dovrebbe raggiungere i 6,3 miliardi di dollari nel 2025.
E i dipendenti si stanno affezionando sempre più all’idea. Secondo un sondaggio del 2021 di Workplace Intelligence e Oracle, l’82% di oltre 14.000 dipendenti e manager di tutto il mondo ha affermato di ritenere che i robot possano supportare le loro carriere meglio degli esseri umani.
L’85% ha affermato di non essere soddisfatto del supporto professionale che attualmente riceve dalle proprie aziende e l’87% ritiene che le aziende dovrebbero fare di più per ascoltare le esigenze del l oro personale.
Inoltre, il 55% ha affermato che sarebbe più propenso a rimanere in un’azienda che utilizza l’AI per supportare la crescita professionale. Un esempio di questo è l’identificazione delle competenze che hanno bisogno di sviluppare e suggerimenti su come apprendere nuove abilità.
Secondo un report pubblicato da Eightfold AI lo scorso marzo, oltre il 50% delle aziende sta già utilizzando strumenti AI per migliorare le risorse umane, per esempio per valutare potenziali candidati e abbinarli ai ruoli migliori, o utilizzare chatbot per rispondere a domande comuni, mappare i percorsi di carriera, migliorare o riqualificare i dipendenti.
Inoltre, l’82% dei responsabili delle risorse umane intervistati per il sondaggio ha affermato che le loro aziende aumenteranno l’uso degli strumenti di intelligenza artificiale per la gestione dei talenti nei prossimi cinque anni.
I problemi che l’AI non può risolvere
Secondo una ricerca pubblicata da Harvard Business Review, una cultura aziendale tossica è il più grande fattore predittivo di frustrazione, seguita dalla sicurezza del lavoro e dalla riorganizzazione.
È improbabile che un chatbot delle risorse umane, non importa quanto intelligente, possa affrontare questi problemi. L’AI è un moltiplicatore di forza e, utilizzarla in un ambiente di lavoro tossico, potrebbe peggiorare ulteriormente la tossicità.
Per esempio, se la soluzione del management al problema del turnover è convincere i dipendenti a restare, allora un sistema di intelligenza artificiale che monitora le comunicazioni dei dipendenti per rilevare segnali di stress potrebbe concentrarsi su queste popolazioni vulnerabili, facendole sentire ancora più vittime di bullismo e sottovalutate.
Allo stesso modo, “alcune aziende cercano di utilizzare l’AI come parte del loro processo di onboarding per compensare la mancanza di strutture documentali disciplinate”, afferma Parnell di Insight. “Se il processo di inserimento è così complicato, significa che c’è qualcosa che non va. Perché è necessario un sistema di intelligenza artificiale per gestirlo? E’ davvero necessario un chabot solo per chiedere come sta qualcuno?”.
L’intelligenza artificiale può fare molto per risolvere i problemi aziendali fondamentali, ma non risolve i problemi da sola. “Sì, l’AI può aiutare, ma per avere successo cultura e strategie aziendali aziendali devono essere ben definite”, conclude Parnell.