Governo e prezzo: due ostacoli sulla strada verso la rete unica
“L’offerta arriverà, non saranno disattesi i contenuti del memorandum già firmato, e sarà un’offerta a valori di mercato“. Pur essendo cambiato il contesto, citando le dichiarazioni di diverse fonti, l’agenzia Adnkronos conferma che stanno proseguendo i lavori inerenti al dossier per la creazione di una rete unica per la connettività a banda larga, in mano a un soggetto indipendente dai gestori telefonici e internet provider, come stabilito nella lettera d’intenti firmata lo scorso maggio tra Tim, Cassa Depositi e Prestiti, Open Fiber e i fondi Kkr e Macquarie.
Rimarrebbe quindi confermata la data del 31 ottobre per la presentazione di una proposta in esclusiva ma senza vincoli. Tuttavia, da qui alla fine del prossimo mese di ottobre ci sarebbero ancora due problemi non di poco conto da risolvere: il primo riguarda la posizione del futuro Governo nei confronti del dossier rete unica; il secondo invece è il prezzo, che Cdp (che ha investito in Tim circa 1 miliardo di euro) stima nell’ordine dei 15-18 miliardi di euro, mentre Vivendi (primo azionista di Tim con il 23,9% del capitale e con diritto di veto in assemblea) quantifica in una cifra attorno ai 31 miliardi di euro.
Se da una parte anche con il nuovo Governo non dovrebbero esserci ostacoli al proseguimento dell’operazione, dall’altra invece la questione del prezzo potrebbe rappresentare un problema. La stessa Giorgia Meloni, tra i principali candidati a succedere a Mario Draghi alla guida del Governo, si è detta favorevole alla creazione di un’infrastruttura unica di rete, ma ha precisato che ritiene il prezzo una variabile discriminante.
L’impazienza di TIM
Secondo Adnkronos, TIM starebbe attendendo un segnale formale sulla volontà di procedere verso un’offerta economica. Starebbe addirittura valutando di sollecitarlo attraverso con una lettera firmata direttamente dal Ceo, Pietro Labriola.
Quest’ultimo, per altro, per dare un segnale di fiducia nell’azienda e nell’operazione, nei giorni scorsi ha comprato azioni Tim. È la terza volta in un mese e l’investimento complessivo supererebbe così i 360 mila euro. Una mossa particolarmente apprezzata da Bestinver, uno dei maggiori gruppi finanziari spagnoli, che in un suo report ridimensiona gli effetti finanziari che potrebbero avere il caro energia e la disponibilità di liquidità di TIM. Con la liquidità attuale, sostiene Bestinver, “Tim è in grado di coprire i suoi obblighi finanziari fino al 2024”.
La strategia nazionale e l’importanza per le aziende
La creazione di Open Fiber fu fondata da Enel nel 2015 su impulso del Governo Renzi per favorire il passaggio alle reti in fibra ottica nei grandi centri abitati ma soprattutto per arrivare a cablare con connessioni a banda larga le cosiddette zone bianche: aree rurali in cui gli operatori di telecomunicazioni – ex monopolista TIM su tutti – non vedevano una convenienza economica per ingenti investimenti necessari alla creazione dell’infrastruttura.
La mossa è servita anche a dare “una sveglia” a TIM, che ha ampliato in questi anni sia la copertura, sia la velocità delle sue connessioni, ma avere due reti infrastrutturali in competizione tra loro non è certo favorevole a uno sviluppo organico né al contenimento dei costi complessivi.
Come avviene in molti altri paesi, quindi, l’intento è quello di creare una rete broadband nazionale unica, indipendente dal controllo di un operatore di telecomunicazioni, che possa offrire i suoi servizi in modo paritario a qualsiasi gestore che si occupa poi della commercializzazione degli abbonamenti internet al pubblico. La copertura a larga banda della popolazione è strettamente correlata all’aumento dell’efficienza dei servizi e quindi del prodotto interno lordo, ed è anche indispensabile per abilitare le nuove modalità di lavoro remoto e ibrido che le aziende stanno sempre più sperimentando con successo.