Cala il sipario sul MITD: l’innovazione digitale non è più al governo
Si è insediato domenica il nuovo governo Meloni; il primo a essere guidato da una donna; il primo con il numero di parlamentari ridotto dalla riforma costituzionale; il primo da molti anni a essere guidato da una coalizione uscita tal quale dalle urne e quindi in teoria in grado di governare secondo un programma già chiaro (fatte salve le dinamiche interne complicate negli ultimi giorni da Berlusconi); il primo a non includere un ministero dedicato all’innovazione tecnologica dopo che era stato istituito dal governo Conte II e confermato dal governo Draghi.
La cosa non stupisce più di tanto, viste le premesse che abbiamo già descritto in questo articolo, e le posizioni piuttosto tiepide sul tema da parte degli alleati della coalizione.
Ora, la mancanza di un ministero dedicato all’innovazione digitale potrebbe non rappresentare una carenza così grave. Del resto, i ministeri Pisano e Colao erano senza portafoglio e uno dei principali motori dell’innovazione del Paese è Agid, l’Agenzia per l’Italia Digitale che dipende dalla direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. In un mondo ideale, poi, un Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale non avrebbe motivo di esistere, perché la transizione è stata effettuata e il digitale permea trasversalmente ogni organizzazione pubblica e privata.
Aggiornamento del 26/10/2022: Nel dibattito seguito al discorso inaugurale alla Camera, Giorgia Meloni ha annunciato che “il dipartimento [per l’innovazione digitale] sarà affidato a un sottosegretario alla presidenza del Consiglio e non si perderà un minuto del lavoro fatto che anzi sarà rilanciato [perché] il tema chiama in causa importanti risorse del Pnrr”. La mancanza di un dicastero dedicato sta in ogni caso ricevendo critiche dalle diverse associazioni di categoria della filiera ICT.
Peccato che – come ben dimostra l’ultimo rapporto DESI sullo stato della digitalizzazione dell’economia e della società in Europa, siamo ben lontani da quella situazione, e far ereditare a strutture diverse, nuove e non integrate tra loro i tanti progetti precedentemente in capo al defunto Mitd, può provocare rallentamenti e intoppi dalle possibili conseguenze drammatiche per il rispetto delle scadenze del PNRR. Anche e soprattutto per questo Conte e Draghi avevano creato un punto di coordinamento e controllo per guidare la transizione digitale e cogliere le enormi opportunità che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e i corrispondenti fondi europei offrono in questo campo.
I principali progetti precedentemente in capo al Mitd rientrano in aree critiche come ci sono le reti di connettività, i servizi digitali della pubblica amministrazione, la sanità digitale, le competenze digitali e lo sviluppo del settore aerospaziale.
Da quanto possiamo ipotizzare oggi, le reti potrebbero passare sotto al ministero delle Infrastrutture e mobilità sostenibile di Salvini, che potrebbe ereditare anche lo sviluppo del settore spaziale, oppure all’ex Ministero per lo Sviluppo Economico, ora ribattezzato la digitalizzazione della PA al corrispondente ministero di Zangrillo, la sanità digitale al ministro della salute Schillaci e le competenze – vero punto debole dell’Italia – all’Istruzione (Valditara) e/o all’Università e Ricerca (Bernini).
Riusciranno queste diverse strutture a portare a termine in tempo utile i progetti del PNRR in materia di digitale? E riusciranno ad andare oltre alla conferma dell’assegnazione dei fondi per generare un vero cambiamento nel tessuto digitale del Paese? Molto dipenderà dai sottosegretari, quadri intermedi e consulenti di cui si doteranno per garantirsi competenze e specializzazioni che al momento in quei ministeri mancano. Non rimane che osservare da vicino le prossime nomine, sperando che siano effettuate in base a criteri di competenza e professionalità. Del resto, il governo Meloni è anche il primo ad aver intitolato un ministero al Merito (insieme all’Istruzione).