Scope 3 sta arrivando: come devono prepararsi i CIO?

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Di fronte all'arrivo di Scope 3 i CIO di tutto il mondo saranno presto chiamati ad assumere un ruolo di primo piano. La definizione di tale ruolo, tuttavia, sta ancora prendendo forma.

Anche se la sostenibilità può essere un’attività organizzativa amorfa, sta diventando sempre più una priorità urgente che tutte le industrie devono definire chiaramente. Che si tratti di sforzi ESG motivati internamente o di normative imposte, i CIO, in particolare, si ritrovano a essere figure sempre più centrali nelle iniziative di sostenibilità. Su questo versante, Scope 3, un indicatore comprende tutte le emissioni connesse all’attività dell’azienda che non rientrano nello Scope 1 e nello Scope 2 (emissioni relative alla mobilità dei dipendenti, alla catena di fornitura, all’utilizzo dei beni prodotti, ecc,), è il requisito più rigoroso e impegnativo. Se è vero che Scope 3 non sarà obbligatorio prima del 2024, il duro lavoro di preparazione è già iniziato in alcune organizzazioni, anche se il progetto non è ancora finalizzato.

“Scope 3 sarà uno shock per molti leader tecnologici” afferma Niklas Sundberg, CIO delle soluzioni globali presso il conglomerato svedese Assa Abloy. “Penso che sarà qualcosa di ancor più grande e importante del GDPR. Le aziende saranno tenute a pubblicare numeri reali sulla sostenibilità lungo tutta la supply chain e gran parte di questi dati proverrà dall’IT”.

Nel 1998 è stata costituita la Greenhouse Gas (GHG) Protocol Initiative, una partnership multilaterale di imprese, ONG, governi e altri attori per definire nuovi standard, tra cui tre diversi ambiti per la rendicontazione. Scope 1 riguarda le emissioni dirette da fonti possedute o controllate da un’organizzazione, comprese le emissioni provenienti da generatori di energia di proprietà dell’azienda. Lo Scope 2 riguarda invece tutte le emissioni indirette derivanti dal consumo energetico di un’organizzazione, comprese quelle del fornitore di energia dell’azienda.

In Europa, in particolare, la tassonomia dell’UE per le attività sostenibili è in vigore dal luglio 2020. L’obiettivo è raggiungere un’economia climaticamente neutra nell’UE entro il 2050, con un traguardo intermedio di riduzione del 55% delle emissioni entro il 2030. Le aziende in Europa sono tenute a iniziare la rendicontazione di Scope 3 nel 2024 con i dati del 2023 e quindi la raccolta di tali dati inizia ora. Negli Stati Uniti, la Securities and Exchange Commission (SEC) ha pubblicato una proposta di regolamento nel marzo 2022 chiedendo alle aziende di iniziare a raccogliere dati sulle emissioni Scope 3 già nel 2024 per poi inviare i report nel 2025.

Indipendentemente dalla tempistica delle autorità di regolamentazione nazionali, le aziende statunitensi che operano in Europa devono già aderire alle stesse regole delle loro controparti europee. E alcune organizzazioni hanno già iniziato a fare reporting  su Scope 3 indipendentemente dai mandati nazionali. E lo stanno facendo perché sanno che molti investitori e clienti vogliono limitare la loro attività alle aziende che si impegnano negli sforzi di sostenibilità.

Scope 3 pone in particolare un pesante onere su molti CIO perché l’IT è una parte importante dell’approvvigionamento per molte aziende al di fuori della produzione, dove il business riguarda l’acquisto di materie prime e componenti dalla supply chain e la loro conversione in prodotti. Inoltre, l’IT rappresenta la maggior parte del dispendio energetico per molte organizzazioni e la situazione sta “peggiorando”. Con ogni nuova generazione di applicazioni sofisticate da cui le aziende dipendono (si pensi solo al machine learning e agli analytics), i requisiti di elaborazione sono infatti sempre più elevati e ciò significa anche consumi energetici in netta salita.

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La situazione in Europa e negli Stati Uniti

Le grandi aziende, che per un motivo o per l’altro hanno iniziato a stillare report per Scope 3, dipendono dai numeri delle emissioni dei loro fornitori. Questo a sua volta mette sotto pressione tutti nella supply chain affinché facciano la propria segnalazione, anche se non sono ancora tenuti a farlo per legge. “Una delle sfide rappresentate da Scope 3 è che molti fornitori nella vostra supply chain non possono divulgare queste informazioni oggi” afferma Sundberg. Nessuno può dirvi quanta emissione di CO2 sia incorporata in alcuni dei software più popolari (ad esempio, quanto viene consumato da un utente per usare Office 365 per un anno). Se avete 50.000 utenti di Office 365, non ci sono metriche che vi aiutino a fare il calcolo a questo punto”.

I leader IT in genere devono ottenere numeri dai fornitori in quattro diverse categorie: fornitori di hardware, fornitori di software, fornitori di servizi professionali e fornitori di cloud. I grandi fornitori di hardware di solito hanno i numeri prontamente disponibili. I fornitori di software non sanno da dove cominciare, mentre quelli di servizi professionali possono ottenere numeri validi tenendo traccia di elementi come le emissioni sostenute durante i viaggi. Per quanto riguarda i servizi cloud, alcuni dei grandi fornitori in questo ambito hanno già i numeri pronti, mentre per quelli che se sono ancora privi una terza parte può calcolare le emissioni in base alla posizione geografica e al tipo di apparecchiatura utilizzata.

Organizzarsi per un IT sostenibile

Molte aziende in Europa hanno creato team per affrontare il tema della sostenibilità IT e. al tempo stesso, hanno nominato direttori per guidare tale sforzo. Gülay Stelzmüllner, CIO di Allianz Technology, ha recentemente assunto Rainer Karcher come responsabile della sostenibilità IT.

“Il mio compito è automatizzare il più possibile l’intero processo”, afferma Karcher, che in precedenza è stato direttore della sostenibilità IT di Siemens. Si tratta di ottenere dati di origine direttamente dai fornitori e inserirli in mesh di dati che vanno poi nel sistema di reporting sul front-end. Poiché è difficile ottenere misurazioni indipendenti e basate sulla scienza da parte dei fornitori IT, abbiamo iniziato a lavorare con partner esterni e startup che possono fare una stima per noi. Quindi, se non riesco a ottenere i dati sulle emissioni di carbonio direttamente da un fornitore di servizi cloud, prendo le mie fatture contenenti i dati di consumo, la posizione del data center e i tipi di apparecchiature utilizzate. Inserisco quindi queste informazioni in un’API REST fornita da una società con sede a Berlino e, utilizzando un algoritmo trasparente, ottengo i dati sulle emissioni di carbonio che mi interessano.”

Internamente parlando, il ruolo di responsabile della sostenibilità IT è diventato più comune in Europa e alcuni dei CIO statunitensi più lungimiranti stanno iniziando a vedere tale necessità nelle proprie organizzazioni. “L’Europa è un passo avanti” afferma Srini Koushik, CTO dell’azienda americana Rackspace Technology. “Siamo un’azienda globale, quindi abbiamo già iniziato i nostri preparativi per il reporting Scope 3. Sappiamo che se già oggi siamo in grado di soddisfare lo standard europeo, allora saremo un anno o due avanti rispetto al resto delle organizzazioni statunitensi”. Assumere responsabili della sostenibilità è la giusta strada da percorrere, ma rimane la domanda su come quella persona debba inserirsi nella gerarchia. “Dipenderà molto dal settore”, continua Koushik.

In molti settori, come quello finanziario, l’IT è una parte importante dell’approvvigionamento complessivo. Tuttavia, in altri settori come quello manifatturiero, in cui gran parte dell’approvvigionamento avviene al di fuori dell’IT, ha più senso avere un responsabile della sostenibilità separato dall’IT.

Iniziare ora con il reporting Scope 3 significa agguantare in anticipo quella che probabilmente diventerà una parte importante della leadership IT in futuro. I CIO che rimangono indietro potrebbero dover fare affidamento su società di consulenza per riferire sulle emissioni di gas serra. Potrebbe essere la decisione giusta, ma esternalizzare un’attività così importante dovrebbe essere un atto deliberato, piuttosto che una semplice reazione istintiva e obbligata.

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Sostenibilità: ecco come i CIO possono diventare più eco-friendly

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Anche se la vostra organizzazione non sta cercando di salvare il pianeta, una strategia attenta alla sostenibilità porterà comunque benefici tangibili.

Le iniziative di sostenibilità stanno trovando sempre più diffusione nei data center, ma molti CIO che investono e implementano tecnologie all’avanguardia in ambito green non sono nemmeno consapevoli che stanno intraprendendo azioni per il clima. Stanno solo cercando di migliorare i profitti. Ciò mette i leader IT in una posizione invidiabile. Nella maggior parte degli ambiti aziendali, il processo decisionale ESG richiede infatti di far quadrare i potenziali benefici climatici con le spese aggiuntive e l’incertezza sui materiali e processi di prossima generazione.

Ma i responsabili delle decisioni IT hanno l’opportunità di aggirare questo problema nei data center, che sono responsabili di circa il 2% delle emissioni di gas serra degli Stati Uniti. Le innovazioni emergenti stanno contribuendo a convertire questi enormi complessi di server ad alta intensità di risorse in un fronte privo di compromessi nella guerra della sostenibilità, dove le riduzioni delle emissioni di carbonio spesso vanno di pari passo con costi inferiori.

Si tratta, per di più, di un fronte degno di investimenti. L’energia, infatti, è già la spesa più significativa quando si parla di data center. E il desiderio apparentemente insaziabile di raccogliere più informazioni da più dati sta portando a implementazioni sempre più dense di rack pieni di CPU e GPU affamate di energia. A peggiorare le cose, i data center stanno raggiungendo il punto in cui l’energia necessaria per raffreddare questi rack pieni di server sta aumentando a un ritmo al limite della sostenibilità.

Secondo alcune stime, fino al 40% del budget energetico di un data center è ora dedicato al raffreddamento. Per cercare di invertire la tendenza, molti gestori di strutture hanno optato per il raffreddamento evaporativo. Ciò può aiutare a ridurre le richieste di elettricità dalle unità HVAC e dalle ventole, ma di contro richiede enormi quantità di acqua (circa 661 milioni di litri all’anno nei soli Stati Uniti). Si tratta quindi di una strategia che di sostenibile ha davvero poco ed è per questo che i CIO attenti ai costi e alla sostenibilità stanno guardando oltre il raffreddamento evaporativo.

“Il modo in cui abbiamo raffreddato i data center dovrà cambiare” ha dichiarato Scott Tease, Vice President e General Manager of HPC and AI di Lenovo. “Il raffreddamento ad aria tradizionale non riesce a tenere il passo. E non abbiamo più l’acqua per fornire le enormi quantità richieste dal raffreddamento evaporativo. È un grande, grande problema”.

Sempre più aziende riconoscono che ridurre l’utilizzo di acqua nei data center stia diventando urgente quanto ridurre il consumo di combustibili fossili. Non a caso AWSil più grande fornitore di servizi cloud del mondo, all’evento re:Invent di fine novembre si è impegnato a essere “water positive” entro il 2030 e ciò significa che restituirà più acqua alle comunità e all’ambiente di quella che utilizza nei suoi data center. Inoltre, la società ha ribadito il suo impegno ad alimentare il 100% delle operazioni con energia rinnovabile entro il 2030. Durante il keynote di apertura dell’evento, i partecipanti hanno applaudito quando il CEO Adam Selipsky ha annunciato che AWS è già all’85% di questo percorso verso la sostenibilità.

IA per ridurre al minimo il costo dell’IA

Come per la maggior parte degli upgrade dei data center, le opzioni di efficienza energetica sono molto più varie e abbondanti se si parte da zero con una nuova struttura, sia che si tratti di on-premise o nel cloud. Detto questo, i CIO hanno diverse opzioni per ridurre le emissioni di carbonio e i costi energetici.

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Ironia della sorte, un modo sempre più popolare ed efficace per invertire l’impatto della proliferazione dell’intelligenza artificiale e del machine learning sulla domanda di energia dei data center è con più IA e ML, ovvero software e servizi per aiutare l’IT a ottimizzare lo storage e i carichi di lavoro tra le risorse esistenti per garantire distribuzioni più convenienti e rispettose del clima.

Anthony Behan, Managing Director delle attività di telecomunicazioni, media e intrattenimento di Cloudera, ha affermato che la transizione al 5G ad alta potenza ha portato i suoi clienti a ridurre al minimo dei trasferimenti di dati per favorire il risparmio energetico e, di conseguenza, i costi, spingendo i carichi di lavoro dei dati più vicino a dove i dati vengono raccolti e archiviati. 

Raffreddamento a liquido

I responsabili delle decisioni IT possono ridurre notevolmente le richieste di energia con il raffreddamento a liquido, che sta rapidamente aumentando come alternativa principale. È infatti molto più efficiente del raffreddamento ad aria e persino del raffreddamento evaporativo, tanto che i fornitori affermano di poter risparmiare fino al 40% sulla bolletta energetica per il raffreddamento e di poter implementare server e rack a densità molto più elevata.

Questa tecnologia è stata utilizzata per raffreddare i supercomputer per anni. Solo di recente ha iniziato a diffondersi capillarmente anche nei data center “tradizionali”. I fornitori offrono ora implementazioni di raffreddamento a liquido per rack, server e persino singoli componenti. Nvidia, ad esempio, ha annunciato l’intenzione di iniziare a offrire GPU raffreddate a liquido questo inverno.

Anche Intel ha lavorato per diversi anni con lo scopo di contribuire a garantire opzioni di raffreddamento a liquido praticabili per il data center. Nel 2019, ad esempio, ha collaborato con Lenovo per unire la tecnologia di raffreddamento a liquido Lenovo Neptune e la piattaforma di infrastruttura TruScale con i server basati su piattaforma Xeon Scalable per applicazioni HPC e IA. Più recentemente, Intel ha annunciato su questo versante progetti con altri fornitori tra cui Submer e Green Revolution Computing, nonché un investimento di 700 milioni di dollari in un impianto di ricerca e sviluppo di raffreddamento a liquido in Oregon.

Partire da zero

I CIO che stanno cercando di implementare un nuovo sito on-premise, con un provider di colocation o un fornitore di cloud, possono trovare opportunità per riutilizzare il calore diffuso dalle implementazioni di raffreddamento a liquido. Cloud&Heat, ad esempio, offre data center autonomi in grado di riscaldare gli edifici vicini in inverno. Se state cercando altre applicazioni a calore diffuso, potete vedere cosa stanno facendo altri fornitori a livello globale su questa mappa.

Uno dei siti sulla mappa è una struttura di colocation di Montreal sviluppata da QScale, una startup che offre strutture di data center ad alta densità. La prima fase, che dovrebbe entrare in funzione all’inizio del 2023, risponde ad alcuni dei requisiti fondamentali di sostenibilità. Il sito infatti è situato in una zona climatica che richiede molto meno raffreddamento ed è alimentato quasi interamente da energia rinnovabile; fornisce inoltre calore a quella che potrebbe essere definita una colocation agricola, ovvero un complesso di serre costruite per coltivare frutta e verdura durante l’inverno.

“Siamo tutti abituati a pensare alla sostenibilità come a una strategia costosa” ha dichiarato Martin Bouchard, co-fondatore e CEO di QScale. “In realtà non siamo affatto più costosi di un data center vecchio stampo. In questo modo è possibile avere una produzione di carbonio sostenibile e pulita ed essere super-efficienti allo stesso tempo”. Questa dovrebbe essere musica per le orecchie dei CIO, indipendentemente dal fatto che stiano lavorando per rendere i loro data center più sostenibili o più semplicemente per tagliare i costi.

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