Istat, in aumento le PMI italiane con digitalizzazione di base: sono 7 su 10
Ci sono buone notizie per la digitalizzazione delle imprese in Italia, e in particolare delle PMI, le imprese tra 10 e 249 addetti, storicamente sempre indietro in questo campo rispetto a quelle grandi. La percentuale di PMI italiane con livello di digitalizzazione di base infatti è arrivata a sfiorare il 70%: in un solo anno è salita di quasi 10 punti, dal 60,3% del 2021 al 69,9% del 2022.
Sono dati di Istat, che qualche settimana fa ha emesso il report “Imprese e ICT”, aggiornato al 2022. Report molto significativo – si basa sulle risposte di 16mila aziende con almeno 10 addetti, quasi l’8% del totale in questa fascia in Italia – e che come vedremo evidenzia progressi come quello appena visto. Ma anche ritardi in alcune aree delle PMI rispetto alle grandi aziende, e delle imprese italiane rispetto alla media europea.
Digital Intensity Index (DII) 2023: in grande evidenza la sicurezza ICT
Cominciamo con il capire cosa significa “livello di digitalizzazione di base”. Significa avere ottenuto almeno 4 obiettivi di uso delle tecnologie sui 12 del Digital Intensity Index (DII), che a sua volta è una delle componenti – quella dedicata alle imprese – del famoso DESI con cui l’Unione Europea misura lo stato di digitalizzazione dei suoi paesi membri.
La composizione del DII cambia ogni anno per aggiornarsi ai trend del momento: per questo il confronto tra livello di digitalizzazione di base delle PMI del 2021 e del 2022 citato all’inizio non è omogeneo. I 12 obiettivi del DII 2022, che riportiamo qui sopra (tabella 1, cliccare per ingrandire), sono notevolmente orientati alla sicurezza ICT, a scapito di alcuni obiettivi del DII 2021, di cui avevamo parlato qui (per esempio uso di sistemi ERP, di sistemi CRM, di servizi cloud sofisticati), che forse sarebbero altrettanto importanti per definire il livello di digitalizzazione delle imprese.
Detto questo, le PMI italiane registrano il progresso più significativo sul parametro dell’accesso a internet degli addetti per scopi lavorativi, che tra il 2019 e il 2022 è cresciuto di 9 punti (dal 40% al 49%). E anche sull’uso dei sistemi aziendali da remoto (73%), di almeno 3 misure di sicurezza ICT (74%), e sull’accesso alla banda larga (83%) mostrano numeri confortanti.
PMI, le aree di ritardo rispetto alle grandi imprese
Le PMI mostrano invece notevoli ritardi rispetto alle grandi imprese nella presenza di specialisti ICT, negli investimenti in formazione ICT, nell’uso di riunioni online e di documentazione sulla policy aziendale di sicurezza ICT. Ampio anche il divario nell’utilizzo di robot e nella vendita online di almeno l’1% del fatturato.
Anche nel livello di digitalizzazione complessivo, poi, la situazione delle PMI rimane di ritardo. È vero che come abbiamo visto il 69,9% è a un livello base, in linea con la media europea: un buon viatico a fronte del “digital compass” della UE, che prevede di raggiungere entro il 2030 un livello base nel 90% delle PMI europee. Ma è anche vero che solo il 26,8% delle PMI italiane raggiunge un livello alto (da 7 a 9 obiettivi del DII), mentre tra le grandi imprese il 97% è almeno al livello base e l’82% è a livello alto.
Il report Imprese e ICT di Istat approfondisce poi l’analisi rispetto ad alcune dimensioni: e-commerce, sicurezza ICT, impatto ambientale dell’ICT, e livello di digitalizzazione per settori.
E-commerce delle PMI, il tallone d’Achille dell’Italia digitale
Per quanto riguarda l’e-commerce c’è una piccola premessa da fare. Nel DESI 2022, basato sui dati rilevati nel 2021 (ne abbiamo parlato qui), l’Italia per la digitalizzazione delle imprese (cioè l’indice DII) si colloca in ottava posizione. Rispetto al 12° posto del 2017 la situazione è migliorata soprattutto per le alte percentuali d’uso di servizi cloud e fatturazione elettronica. Per il resto le imprese italiane brillano su alcuni aspetti (per esempio l’8,7% usa robot, contro una media UE del 6,3%) e sono indietro su altri (solo il 13,4% impiega specialisti ICT, contro una media UE del 21%), ma l’elemento più limitante rimane proprio il basso utilizzo dell’e-commerce da parte delle PMI.
I dati 2022 per le vendite online delle PMI non rilevano miglioramenti nella quota di imprese coinvolte, ma solo nei valori scambiati: il 13% delle PMI ha effettuato vendite online per almeno l’1% del fatturato totale (in stallo rispetto al 12,7% nel 2021) contro il 17,9% delle PMI europee. Ma tra le PMI italiane che fanno e-commerce si è alzata la percentuale di fatturato realizzato online rispetto al totale: dal 9,4% dell’anno scorso al 13,4%.
In generale, il 18,3% delle imprese italiane con almeno 10 addetti ha effettuato vendite online (media europea: 22,8%), che incidono in media per il 17,8% sul fatturato totale, in linea con la media europea.
In termini di settori merceologici, l’incidenza delle vendite online sul fatturato è più alta nel commercio (35,6%), mentre nel manifatturiero e nell’energetico è intorno al 28%. In termini dimensionali, il 60% del valore online proviene da vendite delle grandi imprese e il 40% dalle PMI. Quanto al numero di imprese che vendono online, più di un terzo (35%) fa capo ai settori ristorazione e alloggi, e di queste il 95% è PMI.
Infine le imprese italiane che vendono via web sono ancora tra le prime utilizzatrici in Europa di piattaforme online intermediarie con il 62,1% contro una media Ue27 del 44,4%.
Sicurezza ICT, crescono del 50% le imprese colpite da indisponibilità di servizi e perdite di dati
Il 74,4% delle imprese italiane con almeno 10 addetti utilizza almeno tre misure di sicurezza ICT (Figura 2), in linea con la media europea (74%). Le misure più basiche sono le più diffuse, perché sono le preferite delle PMI: autenticazione con password forte (84%) e back-up dei dati (80%).
Più basse le quote di imprese che adottano misure di sicurezza avanzate, come la conservazione dei file di registro (45%) per l’analisi degli incidenti di sicurezza, le pratiche di valutazione del rischio (35%) e l’esecuzione periodica di test di sicurezza dei sistemi (32%). Ancora limitata la diffusione delle misure più sofisticate, come l’uso della crittografia per dati, documenti o e-mail (22%) e di metodi biometrici per l’identificazione e autenticazione dell’utente (8%).
Tutti questi numeri risultano molto simili a quelli dell’anno scorso, mentre sono in forte aumento i problemi di indisponibilità dei servizi, e distruzione o corruzione o divulgazione di dati riservati, a causa della forte crescita degli accessi da remoto dei dipendenti innescata dai lockdown. Nel 2022 sono infatti aumentate di circa il 50% rispetto a prima della pandemia le imprese con almeno 10 addetti che hanno subito questi problemi (dal 10,1% del 2019 al 15,7% del 2022). La percentuale sale al 33,1% (una su tre) tra le grandi imprese: nel 2019 erano il 21,7%.
In forte aumento anche la percentuale (48%, era il 34% nel 2019) delle imprese dotate di documentazione su misure e procedure di sicurezza ICT (formazione degli addetti sull’uso sicuro degli strumenti, policy di sicurezza e relative valutazioni, ecc.). Di queste imprese quasi l’86% ha definito o aggiornato tali documenti negli ultimi due anni. Infine, il 16,4% delle imprese con almeno 10 addetti dichiarano di essersi assicurate contro incidenti connessi alla sicurezza ICT (13% nel 2019).
Impatto ambientale dell’ICT: le imprese italiane sono tra le più attente
Nell’edizione 2022 del report “Imprese e ICT”, per la prima volta Istat ha indagato l’adozione di alcune semplici misure dell’impatto dell’uso dell’ICT sull’ambiente, come il controllo del consumo di carta (68%) o del consumo di energia delle apparecchiature ICT (52%).
L’Italia, preceduta solo dal Portogallo, è in vetta alla classifica europea su due fronti. Tre imprese su 4 (74,9%) scelgono le soluzioni tecnologiche valutandone anche l’impatto ambientale, e quando si tratta di dismetterle, l’87% le destina alla raccolta differenziata dei rifiuti elettronici, il 49% le conserva per utilizzare le parti di ricambio o evitare la divulgazione di informazioni sensibili, il 25% le rivende, le restituisce se in leasing, o le dona.
La variabilità dei comportamenti dipende più dall’attività economica che dalla classe dimensionale e, in generale, le più attente all’ambiente sono quelle attive nei servizi.
Digitalizzazione per settori: spiccano energia e informazione/comunicazione
Infine due parole sullo stato di digitalizzazione per settori. Per la maggior parte degli indicatori di connessione, sicurezza e formazione ICT del DII, le migliori performance sono delle imprese di fornitura di energia, settore in cui l’86,4% delle imprese ha almeno il 50% degli addetti che accedono a Internet (la media è 49,3%), il 93,3% ha attivato almeno tre misure di sicurezza ICT (circa 20 punti percentuali più della media) e il 38,3% ha fornito formazione ICT ai propri addetti (il doppio della media italiana).
Analoghe le performance dei settori delle professioni tecniche e dei servizi di informazione e comunicazione. Questi ultimi si distinguono per la presenza di specialisti ICT (60% verso una media del 13%) e la formazione di competenze ICT (52% verso 19%). Infine le attività manifatturiere emergono per l’utilizzo della robotica (19% a fronte di una media del 9%) mentre come già accennato quelle di alloggio e ristorazione sono le prime sulle vendite online.