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Anche Apple starebbe facendo dei licenziamenti, ma si tratterebbe di un ridotto numero di persone impiegate nei suoi team di corporate retail: lo riporta Bloomberg, citando persone informate dei fatti che hanno chiesto di rimanere anonime. Alla richiesta di un commento, l’azienda di Cupertino non ha confermato né smentito la notizia.
Più precisamente i provvedimenti riguarderebbero i team che si occupano della costruzione e della manutenzione degli Apple Store e di altre facility immobiliari in tutto il mondo, oltre ad alcuni manager che però, almeno in parte, potrebbero secondo la fonte continuare a lavorare per Apple come liberi professionisti.
Se confermati, questi sarebbero i primi esuberi di questo periodo di cui si abbia notizia per Apple, dopo quelli precedenti alla pandemia in cui ha tagliato circa 200 persone nel suo team dedicato alle auto a guida autonoma.
Ma come ripetiamo il numero di posizioni interessato non è noto, ed è probabilmente molto basso, a fronte delle migliaia, e a volte decine di migliaia di licenziamenti annunciati da altri colossi delle tecnologie digitali in questi ultimi mesi.
Alla fine del suo più recente anno fiscale, a settembre, Apple aveva 164mila dipendenti. Durante la pandemia non ha assunto così tanto come altre big tech, per cui in tempi incerti come questi non ha bisogno di ricorrere a licenziamenti di massa.
A quanto viene riportato, Apple non lo considererebbe neanche un provvedimento di licenziamenti, ma solo una componente del piano di riduzione di costi che ha in atto da tempo, e di cui abbiamo parlato qui. Secondo la fonte di Bloomberg, lo avrebbe comunicato ai dipendenti come un cambiamento pensato per migliorare la gestione globale degli Apple Store, ha suggerito agli interessati di proporsi per posizioni aperte simili alle loro, promettendo fino a 4 mesi di stipendio a quelli che non riusciranno a essere ricollocati.
Lenovo mira sempre più al mercato storage, partendo dalla fascia bassa
Intervista a Marco Pozzoni, Director EMEA Storage Sales di Lenovo ISG, sulla strategia per aggredire il mercato storage partendo dal primo posto nel segmento sotto i 25.000 dollari
Editor del network DigitalWorld ItaliaGiornalista professionista con una formazione tecnico-scientifica, dal 1995 ha lavorato per alcune delle più importanti testate di informatic... Leggi tutto
Lenovo sta guadagnando terreno sul mercato dello storage, sempre più affamato di capacità e prestazioni. Nel suo report Worldwide Quarterly Enterprise Storage Systems Tracker 4Q22, IDC indica che Lenovo ha raggiunto il primo posto come fornitore di dispositivi di archiviazione nella fascia al di sotto dei 25.000 dollari, posizione che in Europa detiene per il secondo trimestre consecutivo. Se si considerano tutti i segmenti complessivamente, Lenovo occupa il quinto posto come fornitore di storage.
Marco Pozzoni, Director EMEA Storage Sales di Lenovo ISG
Per Marco Pozzoni, Director EMEA Storage Sales di Lenovo ISG intervistato da Computerworld, si tratta di un traguardo importante, perché “fa capire al mercato – ai clienti e ai partner – che Lenovo negli ultimi anni ha scalato la parte storage, dopo un periodo di strategie poco comunicate o seguite. Da 3 anni e mezzo a questa parte, grazie anche a partnership come quella con NetApp, sta crescendo in modo forte, grazie anche alla possibilità di fare leva sulla presenza nelle aziende con le sue soluzioni server, dove detiene la prima posizione in Italia, in Europa e a livello globale”.
Secondo Pozzoni, questo però è solo il primo passo verso uno spostamento verso il mercato più importante come opportunità, che è quello mid-range, dove attualmente Lenovo ha il 2% di market share.
Per farlo Lenovo punta su diversi fattori:
soluzioni tecnologiche per affrontare i nuovi carichi di lavoro nel campo del cloud, della data analytics e dell’intelligenza artificiale (Lenovo sta anche ampliando la struttura di specialisti IA, tra cui una nuova posizione EMEA ma basata in Italia);
una riorganizzazione delle partnership, che punta sulle soluzioni più richieste dal mercato (NetApp e Weka per Ia e cloud ibrido, Nutanix, Microsoft e VMware per le soluzioni iperconvergenti e Software Defined Infrastructure ThinkAgile);
il modello di storage a consumo TruScale, che consente ai clienti di dosare gli investimenti in modo variabile nel tempo;
attenzione alla sostenibilità, con particolare riguardo ai consumi energetici ma che coinvolge anche la densità di archiviazione e l’utilizzo dei materiali;
L’unificazione dei due rami Infrastructure Solutions Group e Intelligent Device Group in un unico programma di canale per garantire ai partner l’intero catalogo e uno schema di incentivi unificato.
Nuovi prodotti storage
Lenovo ha recentemente annunciato la soluzione storage ThinkSystem D4390, un array per Software Defined Storage Jbod ad alta densità che consente di risparmiare fino al 62% dell’energia e del 60% dello spazio nel data center, mantenendo prestazioni elevate grazie alla connettività SAS 24G.
Ha inoltre rilasciato la versione 9.2 del software dei sistemi ThinkSystem DM introducendo una nuova protezione automatizzata dal ransomware, con snapthot e registrazioni immutabili che non possono essere modificate dal malware, una protezione contro file dannosi, autenticazione multi fattore avanzata, architettura Zero Trust per la difesa anche dalle minacce insider e un miglioramento delle procedure di audit.
TruScale, il modello a consumo per l’infrastruttura
“In EMEA, l’approccio TruScale per lo storage – che permette di avere infrastrutture fisiche con un modello a consumo e costi ricorrenti – è stato tra i motori della crescita di Lenovo, soprattutto negli ambienti IT dei clienti più grandi, come multinazionali in campo finanziario e assicurativo. Spesso anche in aziende dove Lenovo non era già presente”, afferma Pozzoni, che sottolinea che il modello TruScale non è disponibile solo per gli apparati storage ma anche computing, VDI, Backup-as-a-Service e ogni esigenza infrastrutturale.
Ma quanto è diffusa oggi l’infrastruttura IT a consumo?
“Non tutti i clienti sono pronti a passare a un modello solo a consumo, ma cominciano a predisporne l’attivazione in previsione di un rinnovo dell’hardware, o come alternativa al cloud pubblico per la gestione di aumenti di richieste imprevisti, con l’aumento dei costi del cloud che rappresenta la spinta principale al ritorno dei carichi di lavoro su infrastruttura on-prem o data center”, conclude.