Google Cloud cancella i costi della migrazione verso altri cloud: una mossa anti-Microsoft?
Google ha annunciato che rinuncerà alle tariffe di migrazione dei dati per coloro che abbandonano il suo cloud pubblico. Tradizionalmente, lo spostamento dei dati all’interno della rete di un provider di cloud pubblico ha un costo minimo o nullo, mentre la migrazione verso altri cloud ha di solito un costo maggiore.
Google sostiene che i clienti non dovrebbero essere tenuti in “ostaggio” dalle tariffe di migrazione, soprattutto se sono già insoddisfatti dei servizi forniti. A dire il vero Google Cloud Platform (GCP) non rinuncia completamente alle tariffe di uscita. Tranne che in casi particolari, questo nuovo programma è destinato solo a coloro che abbandonano definitivamente GCP e prevede addirittura la chiusura dell’account al termine della migrazione. Tutto questo, ovviamente, presuppone l’approvazione del team di supporto di Google.
Il funzionamento del processo descritto da Google è piuttosto semplice. I clienti che desiderano lasciare GCP devono innanzitutto contattare il membro del team dell’account Google a loro assegnato, se ne hanno uno, prima di compilare il modulo per il trasferimento gratuito dei dati. Spetta poi all’assistenza Google esaminare il caso e stabilire se si è in possesso dei requisiti. Una volta completata la migrazione, i clienti devono chiudere il proprio account. Se tutto va secondo i piani, nella fattura finale dovrebbe comparire un credito a copertura delle spese di uscita. Bisogna inoltre precisare che il servizio di migrazione si applica solo ai dati archiviati in uno dei seguenti servizi: BigQuery, Cloud Bigtable, Cloud SQL, Cloud Storage, Datastore, Filestore, Spanner e Persistent Disk.
Sebbene Google si rivolga con questa novità ai clienti che desiderano abbandonare completamente GCP, nelle FAQ si fa anche cenno a una migrazione parziale dei servizi gestita caso per caso. Se quindi volete migrare definitivamente i vostri dati da Cloud Storage a Backblaze B2 o AWS S3, ma intendete mantenere i vostri servizi in esecuzione in macchine virtuali ospitate da Google, potreste ancora avere diritto alla migrazione gratuita dei dati.
Ma esattamente perché Google sta rendendo più facile l’abbandono da parte dei clienti? La spiegazione ufficiale è che le tariffe di uscita non sono un ostacolo così grande come si potrebbe pensare. “L’eliminazione delle tariffe di trasferimento dei dati per il cambio di cloud provider non risolve il problema fondamentale che impedisce a molti clienti di lavorare con il loro cloud provider preferito” ha dichiarato Amit Zavery, responsabile della piattaforma di Google Cloud. “Il problema fondamentale è che i fornitori di cloud rivali la stanno facendo franca con pratiche di licenza restrittive e sleali a scapito dei clienti”.
Google non fa nomi, ma sostiene che “alcuni fornitori tradizionali traggono un vantaggio sleale dai monopoli del software per creare giardini recintati nel cloud”. Zavery fa chiaramente riferimento a un articolo di The Register di agosto in cui si parla di Microsoft che impedisce a Google e Alibaba Cloud di eseguire le applicazioni di Office 365. “Queste regole inique sulle licenze software e altre restrizioni non hanno alcuna base tecnica e possono imporre ai clienti un aumento dei costi del 300%. Al contrario, il costo per i clienti di migrare i dati da un provider cloud è minimo”, continua Zavery.
Resta da vedere se Microsoft o Amazon seguiranno l’esempio di Google e concederanno ai clienti scontenti un’agevolazione per l’uscita dalle loro piattaforme. Sembra che Google voglia esercitare pressioni su queste due aziende e al tempo stesso fare il possibile, anche modificando le proprie politiche, per convincere il mondo che Microsoft e altri sono irragionevoli con le regole di licenza e le tariffe di uscita che bloccano gli utenti all’interno di particolari cloud. La decisione di Google arriva mentre il settore del cloud pubblico deve affrontare l’esame di diversi organi di controllo della concorrenza (Autorità per i mercati della concorrenza del Regno Unito, Federal Trade Commission) alimentato anche dalle denunce ufficiali presentate da Google, AWS e altri contro Microsoft.