Elettrodi e robotica per curare l’epilessia focale
Una nuova tecnica per la chirurgia dell’epilessia, quegli interventi volti a migliorare le condizioni di pazienti che soffrono di crisi epilettiche “focali” (per cui si ipotizza una localizzata regione cerebrale d’origine), poco o per nulla sensibili alla terapia medica, è stata implementata al Gaslini di Genova.
Nelle scorse settimane presso la Uoc Neurochirurgia dell’istituto pediatrico ligure è stato infatti realizzato il primo impianto di elettrodi intracerebrali secondo la metodologia stereotassica (Stereo-Eeg), in un bambino di nove anni con epilessia focale farmaco-resistente.
“L’intervento estremamente complesso risulta fondamentale con pazienti affetti da epilessia focale che non reagiscono alla terapia farmacologica, in quanto permette di ottenere indicazioni precise per la prosecuzione dell’iter terapeutico altrimenti non individuabili”, spiega Lino Nobili, responsabile Uoc. Neuropsichiatria del Gaslini.
“Grazie all’innovativo impianto, siamo riusciti a registrare l’origine delle crisi e così finalmente a guarire il bambino”, aggiunge Gianluca Piatelli, responsabile della Uoc. Neurochirurgia. “In diversi casi gli elettrodi vengono impiegati direttamente al fine di consentire la “coagulazione” di piccole porzioni di tessuto cerebrale, realizzando lesioni limitate e molto precise che possono portare già esse stesse alla soppressione degli episodi critici. Con questa metodologia si è potuto intervenire immediatamente sul paziente che è già stato dimesso”.
Il rapporto rischi-benefici
La Stereo-Eeg è una tecnica particolarmente complessa di diagnosi di localizzazione della cosiddetta zona epilettogena, ovvero l’area cerebrale di insorgenza degli episodi critici. Consiste nell’introdurre elettrodi attraverso la teca cranica, nelle strutture cerebrali identificate come potenziali aree di origine di crisi focali.
A differenza di tecniche non-invasive ma meno accurate, permette di registrare le modificazioni dell’attività elettrica cerebrale direttamente alla fonte, rendendosi indispensabile in tutti quei profili in cui la localizzazione risulta complessa. L’intervento permette dunque di fare la differenza nell’efficacia della terapia a cui verrà sottoposto il paziente, ottenendo indicazioni precise anche in quei casi in cui altri metodi non hanno prodotto risultati.
“La procedura di impianto è la prima tappa di un’esplorazione Stereo-Eeg – commenta Stefano Francione neurologo della Uoc – Una volta effettuato l‘impianto il paziente viene svegliato ed inizia la fase di monitoraggio clinico e neurofisiologico, che si può protrarre anche per alcuni giorni. Gli elettrodi vengono collegati a un elettrocefalografo, così da avere una registrazione diretta dell’attività dell’area e individuare il problema facilmente. Grazie all’impianto intracerebrale è inoltre possibile somministrare piccole quantità di corrente elettrica in maniera estremamente specifica e limitata, in modo da studiare sia le possibili risposte fisiologiche che patologiche. Le stimolazioni elettriche intracerebrali sono di fondamentale importanza anche per stilare un adeguato rapporto rischi/benefici di un possibile intervento chirurgico terapeutico, sia nel caso di resezione cerebrale che di termo-ablazione laser”.
L’intervento è stato svolto da un’equipe di neurochirughi, neurofisiologi, neuropsichiatri infantili, neurologi, neuroradiologi, tecnici di neurofisiopatologia, neurorianimatori, infermieri e anestesisti dell’Istituto G. Gaslini. “L’impianto necessita di uno studio angiografico e di Rm cerebrale estremamente accurato, di una ricostruzione del cervello dettagliata e dell’impiego della robotica di precisione – spiegano Domenico Tortora e Andrea Rossi responsabile della Uoc Neuroradiologia – Per questo si tratta di una metodologia che richiede un’elevata preparazione e l’utilizzo di avanzate tecniche multidisciplinari di valutazione”.