Per Red Hat, anche la virtualizzazione passa dai container
A fronte della domanda “nel mondo IT, quali sono i temi del momento?” la prima risposta che viene spontaneo dare è sicuramente l’intelligenza artificiale. “Oggi tutti parlano di intelligenza artificiale, anche se non è una grande novità, sono parecchi anni che la usa, precisa Rodolfo Falcone, country manager di Red Hat per l’Italia. Un altro tema è la blockchain, però a differenza dell’AI, di blockchain si parla tanto, ma a usarla sono davvero in pochi, più che altro le banche. Temi caldi sono anche l’Internet of Things e la cybersecurity. Tutti argomenti molto importanti, che però, a ben guardare, ruotano attorno a un unico vero grande tema: il cloud”.
A riprova delle sua affermazione, Falcone ha mostrato i dati dell’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, che indicano come il valore composito del mercato cloud è previsto sia cresciuto del 19% nel 2023 raggiungendo i 5,51 miliardi di euro, con una netta prevalenza dell’hybrid cloud (3,729 miliardi di euro, +24%) sul private cloud (1,034 miliardi di euro, +9%). Importante anche l’aumento dell’automazione del data center: + 10% per un giro d’affari di 748 milioni di euro. “I data center oggi sono una spesa ingente – sottolinea Falcone – stanno perciò diventando un costo da eliminare”.
Un radicale cambiamento
Tuttavia, l’aspetto su cui ha voluto mettere l’accento il country manager di Red Hat è la fruizione delle applicazioni. Per farlo cita un’affermazione dell’Osservatorio del Politecnico: “La nuvola è ormai pervasiva nelle grandi imprese, dove mediamente oltre la metà delle applicazioni aziendali (51%) oggi risiede nel cloud. Tuttavia, le sfide principali per una reale trasformazione delle modalità con cui le aziende fruiscono la tecnologia non sono certo terminate”.
Falcone precisa che questo trend è ben lontano dall’essersi esaurito. Però sta subendo un radicale cambiamento, in parte favorito anche dalla tribolata acquisizione di VMware da parte di Bradcom.
Infatti, dopo aver per lungo tempo puntato sulle macchine virtuali per far girare le proprie applicazioni, le aziende puntano ora invece sui container e quindi sul cloud native.
I dati parlano chiaro: secondo le stime presentate da Falcone nel periodo dal 2022 al 2027 il mercato della virtualizzazione è previsto cresca a un tasso di +1,3% annuo passando così da 4.184 miliardi di dollari a 4.469 miliardi. Invece, nello stesso periodo il giro d’affari generato dai container dovrebbe crescere da 1.948 miliardi di dollari a 5.568 miliardi, con un tasso annuo di +23,4%.
“Oggi si può virtualizzare direttamente nei container per cui tutti gli operatori, le aziende e i partner che intendono investire dovrebbero puntare maggiormente su una tecnologia innovativa più che più sulle pure virtualizzazioni. Secondo una nostra indagine nell’area EMEA la modernizzazione delle applicazioni raggiunge il 55% e nelle Americhe il 51%. Evidentemente la modernizzazione delle applicazioni verso il cloud è il nuovo trend setter”. E Red Hat favorisce tale trend attraverso la sua piattaforma applicativa OpenShift. “Dal sistema operativo all’infrastruttura fino alla migrazione verso il cloud, copriamo tutte le fasi della trasformazione digitale. Usano le nostre soluzioni aziende come Banca Intesa, Snam, Bper e il ministero della giustizia o le Poste italiane. Applicazioni come Spid, Immuni e Io e i siti sui vaccini sono tutti realizzati su piattaforme Red Hat”.
Container e virtualizzazione hanno le stesse basi?
Alle parole di Rodolfo Falcone fanno eco quelle di Rinaldo Bergamini, OpenShift platform leader di Red Hat Italy, il quale ricorda come l’azienda abbia un po’ anticipato i trend con le sue scelte strategiche in termini di piattaforma di virtualizzazione e di containerizzazione questo ha portato OpenShift a essere oggi “sicuramente la piattaforma di containerizzazione più utilizzata”.
Secondo Bergamini, il motivo di questa ampia diffusione sta nel fatto che nel tempo si è capito che le stesse tecnologie fondanti i progetti open source di virtualizzazione e di containerizzazione avevano requisiti comuni. “Che lo si vada a istanziare su una macchina virtuale o su un container, un workload ha sempre bisogno di un’orchestrazione, di un accesso al network, di uno storage, di una vista unificata e di una API. Allora perché per gestire i container e le macchine virtuali dobbiamo avere due piattaforme distinte?”.
La virtualizzazione moderna di Red Hat
Questo risultato si può ottenere con quella che Bergamini definisce una virtualizzazione moderna. “Moderna perché porta una serie di vantaggi rispetto a quella tradizionale”. Pensiamo per esempio alla scalabilità che consente un’infrastruttura basata sui container trasportata nell’ambito della virtualizzazione. Con l’infrastructure as a code un team di persone può definire script che identificano come è strutturata l’architettura e questa struttura è applicata in modo automatizzato. Così, nel caso fosse apportata una modifica, attraverso il codice del modello definito viene immediatamente trasferita sia alle macchine virtuali sia ai container, in modo unificato.
Poter definire dei repository in cui gli sviluppatori e i sistemisti memorizzano tutte le configurazioni (mantenendo tutte le eventuali versioni) che poi applicano in modo armonizzato ai sistemi consente di lavorare insieme in modo migliore limitando l’errore umano e di automatizzare il più possibile le attività riducendo i costi operativi.
“Queste pratiche sono nate nelle piattaforme di containerizzazione, ma con OpenShift portiamo questi benefici all’interno della virtualizzazione”. A riguardo va precisato che Red Hat offre due soluzioni per avere una moderna virtualizzazione: OpenShit Containerization e OpenShit Virtualization. La prima si indirizza a chi intende migrare in modo massiccio le applicazioni virtualizzate verso il mondo container, la seconda (che è l’evoluzione di Red Hat Virtualization, ora in phase out) permette un passaggio più graduale all’ambiente container, partendo magari dalle applicazioni più semplici da migrare.
Perché passare dalla virtualizzazione ai container
Bergamini afferma che il primo motivo per cui i clienti chiedono a Red Hat di aiutarli a muoversi verso una moderna virtualizzazione è “perché hanno una piattaforma tradizionale e vogliono aggiungere un altro vendor con lo scopo di ridurre il lock-in e di diversificare rispetto ai fornitori”. Il riferimento a VMware è al futuro delle sue soluzioni non è esplicito, ma non si fa fatica a intuirlo.
Il secondo tema citato da Bergamini è la riduzione dei costi. Un’unica piattaforma è in grado di intercettare il tema dei container e delle macchine virtuali consentendo di utilizzare un unico team. “Il risparmio sui costi si può ottenere anche a livello di risorse: riuscendo a unificare, si eliminano i silo dedicati e si trasportano tutte le applicazioni dentro un’unica piattaforma. Inoltre, dal punto di vista dello sviluppo, è possibile gestire all’interno delle pipeline tutto il flusso legato alle macchine virtuali e ai container, senza avere due sistemi per portare in produzione le applicazioni, uno legato ai container e uno alla virtualizzazione”.
Un terzo tema deriva dal fatto che il trend per le nuove applicazioni è di andare sui container, “quelle legacy le portiamo all’interno. Si facilita così l’integrazione mantenendo però uno stack software che è ancora quello virtualizzato tradizionale. Le applicazioni che non si possono trasformare direttamente nel container sono trasportate come macchine virtuali”. Il caso tipico è quello dei workload Windows, molti dei quali sono difficilmente trasformabili in applicazioni cloud native. Si possono trasportare con OpenShift all’interno dei container e avere una vista unificata. Questo, per esempio, facilita la comunicazione perché non si deve più uscire da una piattaforma e andare su un’altra.
“Alle aziende non interessa sapere se il workload è su una macchina virtuale o su un container, vogliono solo che sia eseguito nel modo migliore possibile. E con OpenShift possiamo aiutarle a raggiungere questo risultato”, conclude Bergamini.