Cosa le aziende devono imparare dai dati Istat sul digital divide
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Il recente rapporto Istat Decennio digitale e capitale umano: il ritardo dell’Italia nelle competenze, che è parte dei lavori per la realizzazione dei report sullo Stato del Decennio Digitale della Commissione Europea, offre uno spaccato illuminante e sconsolante sullo stato delle competenze digitali nel nostro Paese. Sebbene alcuni indicatori stiano migliorando, per esempio la digitalizzazione di base delle PMI italiane, i dati presentati delineano una situazione che richiede attenzione da parte del mondo imprenditoriale e manageriale.
Il dato più saliente è che solo il 45,9% della popolazione italiana tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base. Questo ci pone circa 10 punti percentuali sotto la media dell’Unione Europea, evidenziando un significativo ritardo. Ancora più preoccupante è il fatto che il 36,1% della popolazione ha competenze digitali insufficienti, mentre il 5,1%, pur utilizzando internet, non possiede alcuna competenza digitale.
Nel mondo del lavoro, la situazione migliora leggermente, ma rimane problematica. Il 56,9% degli occupati in Italia raggiunge un livello di competenze digitali almeno di base, contro una media UE del 64,7%. Questo divario si accentua in determinati settori: mentre nei servizi di informazione, comunicazione e finanza circa l’80% degli occupati possiede competenze digitali di base, in settori come l’agricoltura e le costruzioni la situazione è decisamente più critica, con percentuali che scendono rispettivamente al 32,5% e al 43,8%.
Sul fronte della formazione aziendale, solo il 19,3% delle imprese italiane con almeno 10 dipendenti ha realizzato attività formative in ambito ICT nel 2022. Sebbene questo rappresenti un aumento significativo rispetto al 2017, rimaniamo ancora al di sotto della media UE del 22,4%.
Infine, il report ribadisce la cronica carenza di specialisti ICT nel nostro paese. Con 970.000 professionisti nel settore, l’Italia si posiziona al 24° posto nell’UE per incidenza di specialisti ICT sul totale degli occupati (4,1%). Inoltre, solo l’1,5% dei laureati italiani si specializza in ICT, molto al di sotto della media UE del 4,5%. E tra questi,
Ci sono quindi due ordini di problemi che chi in azienda si occupa di servizi digitali e innovazione dovrebbe tenere in considerazione: le competenze del proprio personale, e la dimestichezza della popolazione generale.
Competenze e competitività
Le aziende italiane dovrebbero essere particolarmente preoccupate per il livello di competenze digitali dei propri dipendenti. Il divario con la media europea nelle competenze di base suggerisce che molte aziende potrebbero trovarsi in una posizione di svantaggio competitivo, soprattutto in un’economia sempre più digitalizzata.
I dati però indicano che questo aspetto è sottovalutato. La bassa percentuale di imprese che offrono formazione ICT interna ai propri dipendenti è un campanello d’allarme in questo senso. In un’era in cui la tecnologia evolve rapidamente, la mancanza di aggiornamento continuo può portare a una rapida obsolescenza delle competenze, con conseguenze negative sulla produttività e sull’innovazione aziendale.
Inoltre, la carenza di specialisti ICT e la bassa percentuale di laureati in questo settore continua a creare difficoltà nel reperimento di talenti qualificati, essenziali per guidare la trasformazione digitale delle aziende.
Stimolare la formazione del personale
Per affrontare la sfida della formazione dei dipendenti, le aziende dovrebbero investire in programmi di formazione continua, implementando corsi ICT regolari e strutturati, adattati alle specifiche esigenze dei diversi ruoli aziendali. È fondamentale promuovere una cultura dell’apprendimento, incoraggiando i dipendenti a dedicare tempo all’autoapprendimento e alla sperimentazione con nuove tecnologie. La collaborazione con istituzioni educative, come università e istituti tecnici, può essere preziosa per programmi di formazione personalizzati e per attirare giovani talenti.
L’implementazione di sistemi di mentoring, utilizzando gli esperti interni per guidare e formare colleghi meno esperti in ambito digitale, può essere una strategia efficace. Per esempio, la creazione di digital champions (sebbene in Italia il termine sia inflazionato da una deludente iniziativa del passato), identificando e formando dipendenti che possano fungere da ambasciatori digitali all’interno dell’organizzazione, può contribuire a diffondere le competenze in modo capillare.
L’utilizzo di piattaforme di e-learning può offrire corsi online flessibili che i dipendenti possano seguire secondo i propri ritmi. Le aziende dovrebbero anche considerare di incentivare la certificazione delle competenze, incoraggiando e supportando i dipendenti nell’ottenimento di certificazioni digitali riconosciute.
Un pubblico poco ricettivo, se non ostile
La bassa alfabetizzazione informatica nella popolazione generale rappresenta una sfida significativa per le aziende che offrono servizi digitali. Questo può tradursi in una più lenta adozione di nuovi servizi, richiedendo maggiori investimenti in marketing ed educazione dei clienti.
Anche i costi per il supporto potrebbero aumentare, poiché i clienti potrebbero richiedere assistenza più frequente e dettagliata rispetto a chi si sa muovere con dimestichezza tra menu e tutorial.
Si potrebbe quindi presentare la necessità di riprogettare interfacce e servizi, potenzialmente limitando funzionalità avanzate. Inoltre, potrebbero esserci maggiori rischi di sicurezza, dato che utenti meno esperti potrebbero essere più vulnerabili a minacce informatiche che coinvolgono il servizio.
Infine, possibili impatti negativi sulla reputazione del servizio potrebbero verificarsi se i problemi dovuti alla mancanza di competenze degli utenti vengono attribuiti a carenze del prodotto stesso. Queste sfide potrebbero rallentare l’innovazione e limitare la capacità delle aziende di implementare modelli di business più avanzati basati su un’elevata alfabetizzazione digitale.
Semplificare i servizi per facilitare l’adozione
Per migliorare l’adozione dei servizi digitali da parte dei clienti, le aziende dovrebbero concentrarsi sulla semplificazione delle interfacce utente, progettando sistemi intuitivi e facili da usare, adatti anche a utenti con competenze digitali limitate.
È importante fornire guide e tutorial dettagliati, come video esplicativi, guide passo-passo e FAQ esaustive. Offrire un supporto multicanale, attraverso telefono, chat ed email, può soddisfare le preferenze di tutti gli utenti.
L’implementazione di un onboarding graduale, che introduca i nuovi utenti alle funzionalità in modo progressivo, può evitare di sovraccaricarli con troppe informazioni all’inizio. L’utilizzo di tecniche di gamification può rendere l’apprendimento dell’uso del servizio più coinvolgente. Per i clienti B2B, organizzare workshop e webinar, offrendo sessioni di formazione online o in presenza, può essere un modo efficace per promuovere l’uso efficace dei servizi.
È anche importante personalizzare l’esperienza utente, adattando l’interfaccia e le funzionalità in base al livello di competenza digitale dell’utente.
L’implementazione di un sistema di feedback continuo, raccogliendo regolarmente opinioni dagli utenti, può aiutare a identificare aree di miglioramento e adattare il servizio di conseguenza. Infine, la creazione di comunità di utenti, facilitando lo scambio di conoscenze attraverso forum o gruppi di discussione, può favorire l’apprendimento tra pari e l’adozione dei servizi.
Lavorare sui due fronti formazione interna e cultura generale
In conclusione, il divario digitale in Italia rappresenta una sfida significativa per le aziende, ma offre anche opportunità per coloro che sapranno adattarsi e innovare.
Investire nella formazione dei dipendenti e nell’educazione dei clienti non è solo una necessità per rimanere competitivi, ma può diventare un vantaggio strategico. Le aziende che riusciranno a colmare questo divario, sia internamente che nei confronti dei propri clienti, saranno meglio posizionate per prosperare nell’economia digitale del futuro.
Certo è che il problema sistemico dell’Italia non può essere risolto solo dalle aziende. È necessario che anche il pubblico faccia investimenti sia sul fronte della formazione degli specialisti, promuovendo e incentivando i corsi di studio su discipline ICT soprattutto tra i giovani e le donne, categorie sottorappresentate tra i laureati ICT rispetto alla media europea. Abbiamo un enorme bisogno di risorse specializzate, ma una enorme fetta della popolazione non prova nemmeno ad accedere alla formazione.