La manovra finanziaria 2025 che sta per arrivare alla Camera include, a sorpresa, un articolo che potrebbe colpire pesantemente il l’intero settore digitale italiano, coinvolgendo startup, editori grandi e piccoli, ecommerce e PMI che realizzano ricavi da attività online.

L’articolo 4 modifica infatti il funzionamento della Web Tax, istituita con la Legge finanziaria del 2018 per colpire in modo mirato alcuni giganti della tecnologia (Google, Meta, Amazon) che – grazie ad artifici finanziari che spostavano costi in Italia e ricavi all’estero – versavano tasse irrisorie al nostro erario. Proprio per questo, la tassa del 3 percento viene calcolata non sugli utili, ritenuti artificiosamente ribassati, ma sull’intero fatturato.

Per individuare e colpire i giganti della tecnologia, la Web Tax (rinominata poi Digital Service Tax) si applicava soltanto ad aziende dal fatturato globale di gruppo di più di 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni realizzati in Italia.

La bozza della legge finanziaria rimuove completamente questi limiti di fatturato, rendendo oggetto di tassazione qualsiasi azienda che abbia ricavi derivanti dalla pubblicità online o dalla raccolta e scambio di dati degli utenti.

Il testo dell’art 4 e, più sotto, quello della legge Finanziaria 2019 che riportava i limiti minimi di fatturato.

Il testo dell’art 4 e, più sotto, quello della legge Finanziaria 2019 che riportava i limiti minimi di fatturato.

Finanziaria 2019

Blog e forum tassati come le big-tech

Anche le piccole aziende e startup che già pagano in Italia le tasse sugli utili, si vedranno accollare una tassa sul fatturato pensata specificamente per colpire chi quelle tasse riusciva a eludere.

Ma chi si applicherebbe? Le definizioni delle aziende oggetto di tassazione indicate nella finanziaria 2019 e mantenute dalla bozza di quella 2025 sono così vaghe da includere praticamente ogni tipo di attività economica svolta nello spazio digitale. Eccole:

  1. veicolazione su un’interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia;

Comprende qualsiasi sito, applicazione mobile, webradio o tv che distribuisca della pubblicità.

  1. messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi;

Rientrano nella definizione ogni forum, social network, siti di annunci, ma anche e-commerce che ospitino commenti o recensioni e probabilmente servizi di unified communications.

  1. trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale.

Questa definizione poi è così vaga da includere praticamente qualsiasi sito che utilizzi un sistema di analytics.

Una minaccia per le imprese e un aumento di costi per gli utenti

Roberto Liscia, Presidente di Netcomm – consorzio che riunisce 480 aziende del commercio elettronico italiano – ha dichiarato che “la recente proposta del Governo di estendere la Web Tax a tutte le imprese digitali in Italia rappresenta una minaccia diretta all’innovazione e alla competitività del nostro tessuto imprenditoriale”. Netcomm esprime quindi la sua preoccupazione e invita i policy maker a riconsiderare l’approccio adottato.

Netcomm sottolinea che l’e-commerce italiano ha generato nel 2022 un valore condiviso di oltre 133,6 miliardi di euro in Italia, pari al 7% del PIL e contribuendo con la sua filiera al 9,1% delle entrate fiscali per l’anno.

Secondo Liscia, l’aumento della tassazione sull’intera filiera, includendo le imprese di marketing e comunicazione, non potrà che comportare un aumento dei prezzi per le imprese clienti e i consumatori finali, facendo perdere ulteriore competitività alle imprese italiane.

Netcomm propone una tassazione basata sui profitti e non sui ricavi, e che sia “channel neutral”, tassando allo stesso modo i ricavi generati sui canali di vendita fisici e quelli del digitale.

Abbiate il coraggio di cambiare idea

La Web Tax originaria prometteva di livellare il terreno di gioco per le nostre imprese, rimuovendo il vantaggio di cui le multinazionali godono trasferendo in modo arbitrario costi e ricavi tra paesi diversi, alcuni dei quali con un fisco molto benevolente nei loro confronti.

Rimuovendo il limite di fatturato che metteva nel mirino i soli giganti della tecnologia, il Governo colpisce le PMI italiane ancor più forte di quanto faccia con le multinazionali, perché finisce con l’applicare una doppia tassazione: sull’utile e sul fatturato. Per molte aziende, potrebbe significare la chiusura.

Non possiamo che sperare che nella discussione in Parlamento qualcuno si accorga dell’errore macroscopico commesso e abbia il coraggio di tracciare una grossa riga sul comma 1 dell’articolo 4.