Dopo la larga affermazione nelle elezioni presidenziali di martedì, Donald Trump rientrerà ufficialmente alla Casa Bianca a metà gennaio per il suo secondo mandato, dopo quello del 2016-2020.

Il lavoro di preparazione per le nomine della nuova amministrazione è ovviamente già iniziato, ma è presto per parlare di benefici e criticità della sua elezione per il settore ICT. Possiamo però passare velocemente in rassegna i principali fronti dell’ICT su cui le sue decisioni possono avere il maggiore impatto.

Dazi doganali

Trump è notoriamente un sostenitore dei dazi doganali: durante il suo precedente mandato, ne ha imposti su molti prodotti tecnologici importati, principalmente dalla Cina. E anche in questa campagna elettorale, il neo presidente ha minacciato di imporre tasse doganali fino al 60% per i prodotti cinesi, in particolare quelli tecnologici, e del 10-20% su quelli di tutti gli altri paesi.

Questo danneggerebbe l’Europa su due fronti: l’export diretto verso gli USA (ma qui l’impatto per l’IT sarebbe relativo, visto che il flusso commerciale in questo settore è quasi completamente da USA a UE), e la possibilità che la Cina punti di più sui mercati europei con i suoi prodotti a basso costo, aumentando la concorrenza per i produttori locali.

In ogni caso poi il rafforzamento dei dazi comporta seri rischi di maggiori difficoltà di approvvigionamento dei componenti tecnologici. In questo senso secondo molti osservatori uno dei colossi tech USA più danneggiati sarebbe Apple, che utilizza molti componenti prodotti in Cina nei suoi prodotti, e che infatti alla notizia dell’elezione di Trump ha perso terreno in Borsa.

Ma l’aumento dei dazi comporterebbe anche seri rischi di aumento dei prezzi finali per aziende utenti e consumatori, con conseguenti rialzi dell’inflazione, senza contare il rischio di un’escalation di dazi incrociati tra USA e altri paesi.

Secondo la CTA, l’associazione dei produttori USA di tecnologie, i dazi prospettati da Trump, se applicati, porterebbero a un aumento dei prezzi di tutti i principali prodotti tech per i consumatori statunitensi: in particolare del 46% per laptop e tablet, e del 26% per gli smartphone.

 

Chips Act

Collegato al discorso dei dazi è quello dei semiconduttori. La forte carenza di chip e gli enormi problemi di approvvigionamento scatenati dai lockdown hanno evidenziato a livello mondiale il problema della dipendenza dell’occidente dai chip, prodotti in larga parte nell’estremo Oriente.

La principale risposta dell’amministrazione Biden a questo problema è stata il Chips Act (quello americano, non l’omonimo provvedimento europeo), che prevede incentivi e finanziamenti per far tornare almeno una parte della produzione dei chip negli USA. Trump però durante la campagna elettorale ha criticato questo provvedimento, sostenendo che la soluzione migliore sarebbe, anche qui, di imporre dei dazi. Secondo alcuni però alla fine il neo presidente manterrà il Chips Act.

Politica antitrust

Trump potrebbe alleggerire la severa politica antitrust attualmente in atto sotto la presidenza Biden. In particolare durante la campagna elettorale il neo presidente si è detto scettico sull’opportunità di smembrare Google, attualmente protagonista di due procedimenti antitrust. Trump in effetti come presidente avrà il potere di influenzare l’atteggiamento del DOJ (Department of Justice) che sta conducendo questi procedimenti.

Inoltre Trump potrebbe rendere meno vincolanti anche le linee guida sulle fusioni e acquisizioni decise dall’attuale Chairman della FTC (Federal Trade Commission) Lina Khan, ritenute piuttosto severe sugli impatti potenziali di tali operazioni sulla libera concorrenza.

Khan, nominata da Biden, ha bloccato diverse operazioni nel settore IT (la più nota è Nvidia/ARM), e ha prolungato i tempi di numerose altre (Microsoft/Activision, Broadcom/VMware) imponendo condizioni restrittive per concedere il via libera.

Tuttavia molti esperti non si aspettano clamorosi cambiamenti nella politica antitrust, perché il numero di casi di fusione avviati durante il primo mandato Trump è stato simile a quello dei primi due anni di Biden. Inoltre esponenti Repubblicani, tra cui il vice presidente JD Vance, si sono pronunciati a favore dell’approccio di Khan.

Elon Musk nel governo

Elon Musk, CEO di X, xAI, Tesla e SpaceX, è stato sicuramente il leader tech più apertamente schierato a favore di Trump, e visti i risultati delle elezioni di ieri tutti si aspettano che ne trarrà beneficio. Trump stesso ha detto che gli darà addirittura un ruolo diretto nella nuova amministrazione, ed è molto probabile che questo porterà a commesse federali, incentivi e regolamentazioni più lasche e favorevoli per i settori in cui operano le aziende di Musk.

Intelligenza Artificiale

La spinta alla deregolamentazione vale in particolar modo per il settore AI, dove Trump ha già detto di voler cancellare l’AI Executive Order firmato da Biden, ma non ha spiegato come intende sostituirlo. Non è questa la sede per approfondire il tema dei rischi potenziali dell’intelligenza artificiale, che è stato largamente trattato in questi ultimi mesi.

Basti dire che l’uso dell’AI può avere radicali impatti su tutto, dalla privacy ai diritti umani, dall’informazione al lavoro, dalla sanità al cambiamento climatico, e quindi le decisioni sulla sua regolamentazione sono di fondamentale importanza.

Criptovalute

Trump si è dimostrato un sostenitore delle criptovalute, e di conseguenza gli investitori si aspettano una regolamentazione meno vincolante per il settore sotto la sua amministrazione. Il settore in effetti ha accolto con estremo favore la notizia della rielezione di Trump, con il Bitcoin che ieri ha toccato la quotazione massima della sua storia, superando i 75mila dollari.

Tuttavia, una regolamentazione troppo leggera potrebbe alimentare i rischi di volatilità e speculazione, nonché favorire truffe e utilizzi illegali (i riscatti degli attacchi ransomware per esempio sono sempre richiesti in bitcoin), mettendo oltretutto a repentaglio la stessa adozione diffusa delle criptovalute.

Questione Meta/Zuckerberg

Se Musk è il grande vincitore nel settore tech di questo risultato elettorale, il principale perdente potrebbe essere Meta, che infatti il giorno dopo le elezioni ha avuto una flessione in Borsa. Trump ha detto che Mark Zuckerberg, il fondatore e CEO di Meta, avrebbe complottato contro di lui, e che “se fa qualcos’altro di illegale passerà in galera il resto della vita”.

Senza arrivare a questo, Trump ha molti modi per rendere la vita difficile a Meta. Per esempio può ostacolare la diffusione dei modelli open source di AI Llama, può influenzare il procedimento antitrust in corso contro Meta, può spingere la legge in discussione al Congresso per limitare l’uso dei social media ai bambini fino a 13 anni, e può abolire definitivamente il veto alle attività di TikTok – uno dei principali concorrenti di Facebook – negli Stati Uniti.

Ritorsioni contro la web tax italiana

La prossima amministrazione Trump potrebbe anche doversi occupare presto del settore IT italiano. Proprio ieri Reuters ha scritto che gli Stati Uniti hanno recentemente rinnovato le richieste all’Italia di abolire la sua web tax nazionale, citando fonti a conoscenza della questione.

Washington avrebbe minacciato dazi unilaterali come ritorsioni sulle tasse digitali come quella italiana, che colpiscono aziende americane come Meta, Google e Amazon. Nonostante il suo basso gettito, gli USA la considerano una discriminazione ingiusta verso le loro società tech.

La web tax è stata introdotta in Italia nel 2019, come tassa del 3% sui ricavi delle transazioni online per le aziende digitali con vendite oltre 750 milioni e almeno 5,5 milioni in Italia. Ora come noto il governo Meloni vuole rimuovere queste condizioni minime, per aumentare il gettito di circa 50 milioni rispetto ai 400 milioni attuali.

Secondo Reuters, il governo italiano sostiene che questa estensione a tutti gli operatori digitali sarebbe la dimostrazione che la web tax non è mirata agli operatori USA. E infatti ha scatenato molte proteste da parte di operatori e associazioni di settore in Italia.

Il governo sembra quindi in una situazione di impasse. Se mantiene il proposito di estendere la web tax a tutti, scontenta gli operatori italiani. Se invece ripristina le soglie minime aumentando la percentuale di prelievo (questa è la proposta di emendamento più probabile secondo Reuters) rischia di irritare gli USA, e in particolare la prossima amministrazione Trump.

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