Una class action USA minaccia STMicroelectronics: accuse di insider trading e false comunicazioni

class action STMicroelectronics
A rendere difficile l'attuale situazione di STMicroelectronics non è solo il calo del 28% nelle entrate del primo trimestre 2025, ma anche le conseguenze che potrebbe portare una class action avviata il mese scorso negli USA.

Momento a dir poco delicato per STMicroelectronics, la società di semiconduttori controllata dal ministero dell’Economia italiano e dalla banca statale francese Bpifrance impegnata su due fronti a dir poco caldi. Non solo il calo del 28% nelle entrate del primo trimestre 2025, con investimenti ridotti e possibili chiusure di stabilimenti e licenziamenti anche in Italia, ma anche le conseguenze che potrebbe portare una class action avviata il mese scorso negli USA per dichiarazioni fuorvianti sui risultati finanziari, che rischia di arrecare un danno enorme a una delle poche grandi aziende di semiconduttori europee.

La causa, depositata presso la corte del distretto meridionale di New York, accusa STMicroelectronics di aver nascosto il peggioramento del mercato dei semiconduttori tra il 14 marzo 2023 e il 30 ottobre 2024. Secondo i querelanti, il CEO Jean-Marc Chery avrebbe assicurato agli investitori una crescita del settore automotive nel 2024, mentre altri produttori erano più trasparenti sul calo della domanda.

Già nell’agosto 2024, lo studio legale Levi & Korsinsky aveva intentato una causa simile, evidenziando lo squilibrio tra le previsioni iniziali e i successivi aggiornamenti finanziari e lo stesso aveva fatto lo studio Robbins Geller Rudman & Dowd, criticando la mancanza di visibilità dell’azienda e ritenendo che le sue previsioni sui ricavi non fossero basate su dati solidi.

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Nella recente class action, sono state incluse testimonianze anonime di ex dirigenti di STMicroelectronics tra cui il testimone “CW1” (probabilmente Marco Monti, ex presidente della divisione Automotive & Discrete), secondo cui Chery era stato avvertito della necessità di rivedere le previsioni in base all’andamento del mercato. Avvertimenti che però il CEO, convinto che l’azienda fosse immune dal declino del settore, avrebbe deliberatamente ignorato.

Un’altra accusa, che secondo i querelanti avrebbe favorito la riconferma di Chery come CEO nel marzo 2024, riguarda l’uso di sconti eccessivi nel 2023 per gonfiare artificialmente i risultati finanziari a breve termine, provocando un accumulo di scorte che ha penalizzato la domanda futura. 

Infine, Chery e il CFO Lorenzo Grandi sono accusati di insider trading per aver venduto azioni per un valore complessivo di 8 milioni di dollari approfittando dell’aumento artificiale del prezzo dei titoli, con il guadagno di Chery da queste vendite che avrebbe superato di gran lunga il suo stipendio annuale.

L’eco della class action ha interessato nel frattempo lo sciopero di ieri indetto da Fim CISL, Fiom CGIL e Fismic davanti ai cancelli della sede di STMicroelectronics di Agrate. Spaventati dai recenti risultati finanziari e dall’azione legale americana, gli operai chiedono chiarezza e vogliono saper quale sarà il futuro dell’azienda. Anche perché in altre sedi mondiali dell’azienda, come a Catania, sono già partiti gli ammortizzatori sociali per più di 2500 lavoratori.

(Foto d’apertura: Michael Vi / Shutterstock)

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L’ipotesi impossibile: Intel divisa in due tra Broadcom e TSMC

L’ipotesi impossibile: Intel divisa in due tra Broadcom e TSMC
Secondo il Wall Street Journal, il futuro di Intel potrebbe essere diviso tra la progettazione dei chip affidata a Broadcom e la produzione a TSMC.

Sono ancora incontri preliminari (e Donald Trump potrebbe bloccare tutto), ma il solo fatto che se ne parli è una cosa che sarebbe sembrata impossibile fino a poco tempo fa. Ci riferiamo ai potenziali accordi che secondo il Wall Street Journal porterebbero a una Intel divisa in due: la progettazione e commercializzazione dei chip a Broadcom, mentre quella la produzione alla taiwanese TSMC.

Broadcom, che secondo la testata americana ha esaminato attentamente il settore della progettazione e commercializzazione dei chip di Intel, avrebbe discusso una potenziale offerta con i suoi consulenti, anche se probabilmente procederà solo se troverà un partner per il settore manifatturiero. TSMC, che ricordiamo essere il più grande produttore di chip al mondo, sarebbe interessata proprio al controllo di alcuni o di tutti gli stabilimenti di chip di Intel, potenzialmente come parte di un consorzio di investitori o di un’altra struttura.

Il presidente esecutivo ad interim di Intel, Frank Yeary, avrebbe condotto le discussioni con funzionari dell’amministrazione Trump, preoccupati per il destino di un’azienda considerata fondamentale per la sicurezza nazionale. Nei giorni scorsi, un funzionario della Casa Bianca ha infatti dichiarato a Reuters che l’amministrazione in carica potrebbe non sostenere l’ipotesi di fabbriche di chip statunitensi come quelle di Intel gestite da un’entità straniera come TSMC, anche se la possibilità di una sua partecipazione in una joint venture con sede negli Stati Uniti non è stata esclusa.

(Foto: Hepha1st0s / Shutterstock.com)

(Foto: Hepha1st0s / Shutterstock.com)

L’eventuale accordo potrebbe infatti offrire una soluzione alla crisi finanziaria di Intel, con la possibile partecipazione di altri progettisti di chip statunitensi e un sostegno governativo in modo da evitare il controllo esclusivo di TSMC. E non sarebbe nemmeno esclusa la possibilità di una nuova entità gestita congiuntamente da Intel e TSMC, in cui gli ingegneri taiwanesi contribuirebbero a rendere gli impianti produttivi del colosso americano più efficienti.

Un’intesa di questo tipo richiederebbe però compromessi significativi da entrambe le parti. TSMC dovrebbe infatti adattare le operazioni di Intel ai propri standard, rivelando parte delle sue tecnologie proprietarie, mentre Intel vedrebbe trasformata la sua divisione manifatturiera in un’entità separata, avvicinando la società a un modello simile a quello di Broadcom o AMD focalizzato più sul design che non sulla produzione diretta dei chip.

A livello di sussidi governativi, Intel è stata tra i maggiori beneficiari della strategia USA guidata dall’amministrazione dell’ex presidente Joe Biden a favore della produzione interna di chip considerati critici. Non si può però negare, soprattutto con l’avvento dell’IA e il boom di NVIDIA, che Intel abbia perso moltissimo terreno negli ultimi anni (solo nel 2024 le sue azioni hanno perso circa il 60% di valore), senza dimenticare il recente allontanamento dell’ex CEO Pat Gelsinger e il taglio del 15% della forza lavoro.

Ecco perché, nonostante al momento si tratti solo di colloqui preliminari, un futuro di una Intel spezzettata in due tra Broadcom e TSMC è tutt’altro che fantascienza.

(Foto di apertura: Below the Sky / Shutterstock.com)

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