Acer è la prima ad alzare del 10% i prezzi negli USA, in risposta ai dazi

Acer è la prima ad alzare del 10% i prezzi negli USA, in risposta ai dazi
L’imposizione dei nuovi dazi sui beni importati dalla Cina sta creando un contesto in cui i principali produttori di PC, a partire da Acer, si vedranno costretti ad aumentare i prezzi dei loro prodotti per compensare i maggiori costi di produzione.

A seguito dell’introduzione dei nuovi dazi decisi dall’amministrazione Trump sulle importazioni di hardware prodotto in Cina, Acer è diventata uno dei primi grandi produttori di PC a confermare un aumento dei prezzi dei laptop destinati al mercato statunitense. Secondo quanto dichiarato dal CEO di Acer, Jason Chen, in un’intervista rilasciata a The Telegraph, la società taiwanese è costretta a trasferire al consumatore finale l’incremento dei costi derivante da una tassa aggiuntiva del 10% applicata sui prodotti importati dalle fabbriche cinesi.

Questa tassa riguarda esclusivamente le spedizioni effettuate dopo il 4 febbraio 2025, lasciando intatto il prezzo dei prodotti già presenti sul territorio americano prima di tale data.

Chen ha spiegato che l’adeguamento dei prezzi è una risposta obbligata all’aumento dei costi di importazione e che il 10% rappresenta l’incremento “standard” legato ai dazi. Pur essendo Acer il primo produttore a rendere pubblica la decisione di trasferire il costo dei dazi sugli acquirenti, si sta purtroppo delineando un quadro più ampio.

Anche altri operatori del settore informatico, come CDW, stanno infatti valutando un rialzo dei prezzi una volta esaurito l’attuale stock, con stime che suggeriscono aumenti compresi tra il 10% e il 25% a seconda del prodotto. Su Reddit numerosi utenti hanno riportato conversazioni con rappresentanti CDW, suggerendo che persino Dell, HP, Asus, Apple e IBM potrebbero dover adeguare i propri prezzi, sebbene nessuno di questi abbia ancora confermato ufficialmente l’intenzione di farlo.

acer dazi

Questa dinamica di rialzo dei prezzi non colpisce solamente il settore consumer, ma ha impatti anche su aggiornamenti tecnologici più ampi. Ad esempio, il passaggio a Windows 11 a seguito dell’imminente fine del supporto per Windows 10 previsto per il 14 ottobre 2025, potrebbe essere ostacolato dall’incremento dei costi dell’hardware. Le aziende, infatti, dovranno decidere se rinnovare il proprio parco computer affrontando costi maggiorati a causa dei dazi o, in attesa di un momento più favorevole, optare per soluzioni temporanee, come il pagamento degli Extended Security Updates (ESU) al costo di 61 dollari per macchina all’anno.

L’aumento dei prezzi potrebbe inoltre spingere alcuni consumatori e aziende a considerare il mercato dell’usato o dei prodotti ricondizionati, nella speranza di evitare l’impatto economico dei dazi. Tuttavia, nel caso fossero richiesti pezzi di ricambio prodotti in Cina, anche i dispositivi ricondizionati potrebbero non essere completamente immuni a questo effetto.

Un’altra strategia che potrebbe emergere è quella di accelerare la delocalizzazione della produzione fuori dalla Cina. La stessa Acer sta valutando questa opzione, sebbene un trasferimento di questo tipo richieda tempo e investimenti significativi e non garantisca l’eliminazione completa dei costi aggiuntivi, che potrebbero comunque essere in parte trasferiti ai clienti finali.

Infine, esperti del settore come Steve Brazier, cofondatore di Canapii intervistato da The Register, sottolineano che l’aumento dei prezzi è una conseguenza inevitabile quando vengono applicati dei dazi. Diverse aziende produttrici stanno attivamente cercando di fare lobbying a Washington per ottenere esenzioni o ritardi nell’entrata in vigore dei dazi sui prodotti fabbricati in Cina, ma l’efficacia di tali sforzi resta incerta e, secondo Brazier, al momento non vi sono garanzie su eventuali cambiamenti di rotta a breve termine.

(Immagine d’apertura: Dilok Klaisataporn / Shutterstock)

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L’ipotesi impossibile: Intel divisa in due tra Broadcom e TSMC

L’ipotesi impossibile: Intel divisa in due tra Broadcom e TSMC
Secondo il Wall Street Journal, il futuro di Intel potrebbe essere diviso tra la progettazione dei chip affidata a Broadcom e la produzione a TSMC.

Sono ancora incontri preliminari (e Donald Trump potrebbe bloccare tutto), ma il solo fatto che se ne parli è una cosa che sarebbe sembrata impossibile fino a poco tempo fa. Ci riferiamo ai potenziali accordi che secondo il Wall Street Journal porterebbero a una Intel divisa in due: la progettazione e commercializzazione dei chip a Broadcom, mentre quella la produzione alla taiwanese TSMC.

Broadcom, che secondo la testata americana ha esaminato attentamente il settore della progettazione e commercializzazione dei chip di Intel, avrebbe discusso una potenziale offerta con i suoi consulenti, anche se probabilmente procederà solo se troverà un partner per il settore manifatturiero. TSMC, che ricordiamo essere il più grande produttore di chip al mondo, sarebbe interessata proprio al controllo di alcuni o di tutti gli stabilimenti di chip di Intel, potenzialmente come parte di un consorzio di investitori o di un’altra struttura.

Il presidente esecutivo ad interim di Intel, Frank Yeary, avrebbe condotto le discussioni con funzionari dell’amministrazione Trump, preoccupati per il destino di un’azienda considerata fondamentale per la sicurezza nazionale. Nei giorni scorsi, un funzionario della Casa Bianca ha infatti dichiarato a Reuters che l’amministrazione in carica potrebbe non sostenere l’ipotesi di fabbriche di chip statunitensi come quelle di Intel gestite da un’entità straniera come TSMC, anche se la possibilità di una sua partecipazione in una joint venture con sede negli Stati Uniti non è stata esclusa.

(Foto: Hepha1st0s / Shutterstock.com)

(Foto: Hepha1st0s / Shutterstock.com)

L’eventuale accordo potrebbe infatti offrire una soluzione alla crisi finanziaria di Intel, con la possibile partecipazione di altri progettisti di chip statunitensi e un sostegno governativo in modo da evitare il controllo esclusivo di TSMC. E non sarebbe nemmeno esclusa la possibilità di una nuova entità gestita congiuntamente da Intel e TSMC, in cui gli ingegneri taiwanesi contribuirebbero a rendere gli impianti produttivi del colosso americano più efficienti.

Un’intesa di questo tipo richiederebbe però compromessi significativi da entrambe le parti. TSMC dovrebbe infatti adattare le operazioni di Intel ai propri standard, rivelando parte delle sue tecnologie proprietarie, mentre Intel vedrebbe trasformata la sua divisione manifatturiera in un’entità separata, avvicinando la società a un modello simile a quello di Broadcom o AMD focalizzato più sul design che non sulla produzione diretta dei chip.

A livello di sussidi governativi, Intel è stata tra i maggiori beneficiari della strategia USA guidata dall’amministrazione dell’ex presidente Joe Biden a favore della produzione interna di chip considerati critici. Non si può però negare, soprattutto con l’avvento dell’IA e il boom di NVIDIA, che Intel abbia perso moltissimo terreno negli ultimi anni (solo nel 2024 le sue azioni hanno perso circa il 60% di valore), senza dimenticare il recente allontanamento dell’ex CEO Pat Gelsinger e il taglio del 15% della forza lavoro.

Ecco perché, nonostante al momento si tratti solo di colloqui preliminari, un futuro di una Intel spezzettata in due tra Broadcom e TSMC è tutt’altro che fantascienza.

(Foto di apertura: Below the Sky / Shutterstock.com)

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