Come riportato da CNBC, il CEO di Shopify, Tobi Lütke, ha inviato un promemoria ai dipendenti dicendo che prima di chiedere un aumento dell’organico o delle risorse, i team devono dimostrare perché “non possono ottenere ciò che desiderano utilizzando l’IA”.

Nel promemoria di Lütke si legge anche che “l’IA ha rappresentato il cambiamento più rapido nel modo in cui viene svolto il lavoro che ho visto nella mia carriera. Usare bene l’IA è una skill che deve essere appresa con la massima attenzione e utilizzata il più possibile”.

Utilizzare l’IA in modo efficace, secondo il CEO, è “ora un’aspettativa fondamentale per tutti in Shopify, tanto che le domande sull’utilizzo dell’IA saranno aggiunte anche al nostro questionario sulle prestazioni e sulla peer review.

Quello fatto suonare da Lütke è insomma un campanello d’allarme per i lavoratori di ogni settore e soprattutto per i manager, che presto, prima di ottenere l’autorizzazione a inserire nuovo personale umano, potrebbero essere costretti su larga scala a dimostrare perché una determinata posizione non può essere svolta da una IA.

Una trasformazione profonda e inquietante del mondo del lavoro che come visto non riguarda solo i nuovi assunti, ma che potrebbe presto toccare chiunque, dai dirigenti agli impiegati operativi, passando per i professionisti del marketing e della comunicazione.

shopify ia

Il promemoria interno di Shopify sull’IA

Ciò che rende questa politica particolarmente allarmante è la sua logica interna. Se prima ci si chiedeva se un’IA potesse supportare un lavoro umano, oggi la domanda si capovolge e si chiede ai dipendenti di dimostrare perché il proprio ruolo non possa essere automatizzato. Non a caso Shopify, che ha ridotto il proprio organico da 10.000 a 8.100 dipendenti in soli due anni, ha già integrato l’uso dell’intelligenza artificiale nei criteri di valutazione delle performance dei dipendenti, con il risultato che chi non sfrutta queste tecnologie rischia di essere classificato come “sottoperformante”, un possibile primo passo verso il licenziamento.

Nel settore marketing, ad esempio, dove le IA sono sempre più in grado di generare contenuti, ottimizzare campagne pubblicitarie e analizzare i percorsi dei clienti, i Chief Marketing Officer dovranno giustificare non solo le spese, ma anche la necessità di mantenere team composti da persone. C’è poi il caso eclatante del fornitore di servizi finanziari Klarna, che ha sostituito 700 operatori di call center con un’IA in grado di svolgere lo stesso lavoro in meno del 20% del tempo, mantenendo livelli di soddisfazione clienti simili. Il risparmio previsto? Circa 40 milioni di dollari.

Un risparmio troppo allettante per essere ignorato da molte altre aziende, comprese quelle che considerano i dipendenti come un elemento fondamentale e che oggi sono sempre più sottoposte a pressioni da parte di investitori e azionisti, intenzionati a ridurre i costi senza sacrificare le prestazioni.

In questo scenario i lavoratori si troveranno sempre più spesso di fronte a un bivio: diventare esperti nell’uso dell’intelligenza artificiale o valorizzare al massimo ciò che l’IA non sa (ancora) fare (o entrambe le cose). Lo stesso Lütke osserva che i dipendenti più efficaci sono quelli che, grazie all’IA, riescono a realizzare “compiti impensabili” e a moltiplicare la propria produttività fino a 100 volte.

Le competenze umane che l’intelligenza artificiale fatica a replicare rimangono comunque importanti se pensiamo a skill come empatia, creatività, costruzione di relazioni, pensiero etico e capacità di cogliere le sfumature culturali. I marketer del futuro saranno quindi quelli in grado di stabilire connessioni emozionali vere con il pubblico, un ambito dove le macchine non sono ancora all’altezza.