Le aziende sono pronte alla trasformazione digitale?
Le strade del successo non sono più le stesse. Lo sanno le molte imprese storiche che annaspano nel tentativo di competere con idee innovative, figlie della sharing economy, della digital transformation e della fusione senza soluzione di continuità tra vita quotidiana e lavoro.
Le analisi sono drammaticamente concordi nell’intensità dirompente del cambiamento che ci aspetta, tanto che la School of Business dell’università di Washington stima che il 40% delle attuali aziende inserite nella classifica delle Fortune 500 cesserà di esistere entro 10 anni. Saranno sbriciolate da realtà giovani come Uber, Airbnb o Nest, acquisita da Google per 3,2 miliardi di dollari, travolte dal solco che l’Internet of Things e la multicanalità stanno scavando tra la società di domani e quella di appena cinque anni fa, sulla quale sono stati plasmati i vecchi modelli di business.
Per questo si riduce costantemente il tempo necessario a una nuova impresa per raggiungere le vette mondiali. Se negli anni ’50 ci volevano 75 anni di crescita perché un’azienda si unisse al gruppo delle S&P500, questo periodo si era ridotto a 25 anni ne 2003, per diventare di soli 10 anni nel 2013. Oggi possono passare anche soltanto 5 anni perché una buona idea passi da un garage ai grattacieli di una multinazionale.
Di questo tema bollente si è discusso a Milano all’evento Change the Game, promosso da Noovle, società di consulenza Ict e partner tra i più affermati di Google for Work in Italia.
Sul palco c’era Giuliano Noci, docente di marketing del Politecnico di Milano che ha ben individuato le ragioni che rallentano l’innovazione di cui le aziende hanno bisogno per inseguire i cambiamenti del mercato. Un cambiamento che impone di partire dal cliente, ormai estremamente informato e abituato alla multimedialità, al punto da rendere inutile blandirlo con gli slogan, se non facendoli seguire da soluzioni reali. Se l’analisi dei big data può aiutarci a rendere misurabili i benefici di avere processi unificati e una visione integrata degli utenti, perché allora molte aziende non sono capaci di adattarsi?
<< Diciamocelo chiaramente, il freno vero al cambiamento è la difesa degli orti di potere. Questo è il tema di fondo. Un’innovazione di questo livello scardina l’impianto classico della catena del valore e porta incertezza negli individui, che tendono naturalmente a rallentare il percorso. Per questo è necessario un forte commitment dal punto di vista strategico, con il coinvolgimento della C-suite.>>
Chi non segue questo percorso rischia di arrivare tardi. Il vantaggio digitale delle imprese che hanno saputo adattarsi è infatti imponente, quantificato nell’evento Google Amosphere 2014 con il + 9% delle revenue, il +26% di profittabilità e il +12% di market valuation.
Sul cloud lo spettro dei DDoS
Barak Regev, responsabile della Google Cloud Platform in EMEA, ha ricordato da dove sono partiti e quanto veloce sia stato il percorso che ha portato alle pietre miliari dello sviluppo dell’infrastruttura cloud di Google, dall’adozione di Hadoop alla tecnologia Mapreduce.
Oggi come allora, la tecnologia sulla quale si basano i servizi di Big G è progettata internamente, a partire dall’hardware dei data center sempre più efficienti e affidabili.
La mappa real time dei principali flussi DDoS nel mondo
Ma soprattutto, secondo Regev, la piattaforma Google è adatta più di altri a resistere a quello che è universalmente considerato il maggior pericolo per chi si affida ai servizi di cloud pubblico, l’improvvisa indisponibilità del sistema a causa di attacchi esterni. A dimostrazione di quanto attuale sia il problema Regev ha mostrato una mappa interattiva in tempo reale degli attacchi di tipo Denial of service, con un flusso costante proveniente da Cina e Sud America e concentrato sui server di Europa e Stati Uniti. Saper reggere al costante incremento di questi attacchi è la vera sfida di un’infrastruttura Cloud che garantisca la massima availability.
I digital business sono geneticamente diversi
Ma quali sono le differenze fondamentali tra un modello di business tradizionale e uno che sfrutta davvero l’innovazione tecnologica? A citarne 5 delle più importanti è Fabio Fregi, Country Manager di Google for Work. La prima è l’engagement dei clienti attraverso il web, con cui le nuove aziende fanno i conti nativamente per farsi conoscere e sviluppare i brand. La seconda è la capacità di mettere a disposizione di tutti i dipendenti l’intelligenza collettiva della società, sfruttando attivamente la partecipazione di ciascuno. La terza ha a che fare col modo di lavorare e con la rivoluzione del posto di lavoro, che garantisce processi collaborativi, in mobilità e in tempo reale. Il quarto punto riguarda l’importanza che hanno i dati nello sviluppo del business, che devono essere disponibili in formati condivisibili e strutturati. Infine, l’ultimo punto richiede che la tecnologia, anche quella a disposizione dei dipendenti, sia totalmente intuitiva, così che la gente possa lavorare secondo le stesse modalità con cui passa il suo tempo libero.