Il futuro della stampa 3D è l’arte dell’imperfezione
Quanto vale il mercato della manifattura additiva, e soprattutto, quanto varrà in futuro?
Sono in molti a cercare di intuire il percorso di una tecnologia che promette di ribaltare tutti i canoni della produzione industriale e artigianale, e perfino della medicina. Secondo l’ultimo Wholers Report, l’intero giro d’affari della stampa 3D vale oggi 4,1 miliardi di dollari, con una crescita annua pari al 35,2%. Ben poche altre tecnologie possono vantare simili tassi di sviluppo.
Quello che gli analisti si aspettano è però che questo trend rallenti nei prossimi 15-20 anni, a meno di salti tecnologici imprevedibili, rendendo comunque possibile arrivare a coprire il 2% del manufacturing mondiale. Non si può quindi affermare che, almeno nel medio periodo, le stampanti 3D possano sostituirsi alla produzione industriale così com’è oggi, ma si tratta pur sempre di 200 miliardi di dollari, destinati alla realizzazione di oggetti non più assemblati nelle fabbriche ma in piccoli uffici, negozi e perfino nelle case. Per questo non c’è da stupirsi che le fila dei soggetti interessati a favorire lo sviluppo di questa tecnica si ingrossino sempre più. Tra questi c’è anche Autodesk, che pur non avendo mai prodotto hardware, l’anno scorso ha annunciato un progetto interamente open source composto dalla piattaforma Spark e dalla stampante compatta e ad alta definizione Ember. Lo scopo del progetto non è tanto guadagnare con la vendita delle stampanti, quanto accelerare la diffusione di una tecnologia che potrebbe allargare di molto il numero dei designer e dei progettisti, con evidenti vantaggi per un’azienda come Autodesk.
Dalla standardizzazione alla personalizzazione
Già oggi le stampanti 3D offrono la soluzione per una straordinaria varietà di applicazioni, maneggiando un numero sempre crescente di materiali, come i polimeri caricati a legno, ad alluminio o a fibra di carbonio, oltre a compositi, fibre tessili, idrogel per applicazioni mediche e perfino alimenti. In qualche caso consentono la realizzazione di componenti che sarebbero stati impossibili da ottenere a costi sostenibili con altre tecnologie, come ha scoperto LivreaYacht, che con le stampanti 3D produce alcuni componenti personalizzati per barche di lusso.
Certo, le stampanti hanno ancora il limite delle dimensioni, anche se alcuni modelli sono in grado di lavorare pezzi lunghi anche un metro, e non sono sempre sufficientemente precise, ma stanno migliorando. Quel che conta è che costano sempre di meno e non sono più semplici strumenti per la prototipazione. Con le stampanti 3D si fanno prodotti finiti, pronti per la vendita e caratterizzati da un’elevata personalizzazione, che la produzione tradizionale in serie non potrebbe consentire.
Come impongono i nuovi business model, con le stampanti 3D si possono creare oggetti veramente su misura, coinvolgendo i clienti nel processo stesso di produzione, un po’ come avviene con il confezionamento di abiti su misura. Con la differenza che il tutto può avvenire senza che i prodotti costino più di quelli realizzati in serie.
Un esempio di successo in questo senso è la startup Normal, che in un elegante open space nel pieno centro di New York usa una batteria di stampanti 3D per realizzare auricolari su misura del vostro orecchio, la cui forma viene rilevata attraverso un’app da scaricare sullo smartphone.
Il problema del copyright
Le stampanti 3D aprono così le porte all’imperfezione artistica e all’unicità di ogni pezzo prodotto, considerati come valore aggiunto ma senza un reale aggravio dei costi, specie quando una parte del processo di progettazione è lasciato all’utente con il trucco della gamification.
In questa logica possono nascere progetti come Art Ficial, che offre modelli 3D di opere d’arte del passato, estremamente dettagliati, riproducibili con qualsiasi stampante in differenti dimensioni, senza acquisire i diritti del file del progetto.
Non si può affermare che le stampanti 3D si sostituiranno del tutto alla produzione industriale in serie, ma in pochi anni faranno girare 200 miliardi di dollari
La questione del copyright resta infatti un problema sentito per i designer che si affacciano a questa nuova era. Il timore di una diffusione incontrollata dei file sembra più che fondato, e già oggi è possibile trovare via p2p librerie di oggetti privati della protezione o semplicemente riprodotti dagli originali per mezzo di scanner 3D.
Proprio la spinta alla personalizzazione potrebbe però contenere le perdite dovute alla pirateria. La realizzazione di oggetti su misura e di progetti modellati sull’anatomia e le esigenze dei clienti, ne rende il furto meno appetibile. Inoltre la legge protegge ogni oggetto personalizzato con più forza, come conferma l’avvocato Arlo Canella, specializzato in violazioni di proprietà intellettuale. << La legge una volta proteggeva il cosiddetto speciale ornamento, che caratterizza l’opera d’arte, poi con lo stile minimal gli ornamenti sono scomparsi ed è diventato necessario individuare la cifra stilistica di un designer. Con la personalizzazione estrema ogni oggetto diventa invece unico e si può individuare un diverso speciale ornamento in ogni pezzo prodotto. >> Questo naturalmente semplifica l’attribuzione corretta del copyright e l’individuazione degli illeciti.
La promessa di Spark e il futuro di Ember
La stampa 3D oggi è solo un promettente punto di partenza, che apre la strada a scenari in gran parte inesplorati. La piattaforma Spark è un tentativo di mettere ordine nel settore, offrendo una collezione di Api e un set di servizi in cloud capaci di gestire in modo affidabile il passaggio tra disegno e stampa, garantendo la qualità dei risultati e la semplicità di implementazione per gli sviluppatori. Insomma, l’ambizione è quella di farne uno standard di riferimento, aperto e accessibile, la cui diffusione è spinta con un investimento quantificato dalla stessa Autodesk in 100 milioni di dollari da spendere per supportare le startup più interessanti.
E poi c’è Ember, la stampante compatta presentata l’anno scorso, il cui aspetto curato potrebbe portare a classificarla erroneamente come uno dei numerosi giocattoli per hobbisti capaci solo di abbozzare un coniglietto di plastica. In realtà Ember introduce la stereolitografia, tecnica più sofisticata e veloce di quella adottata dalle stampanti entry level, in un prodotto che costa meno di 6000 euro. Può costruire oggetti per la verità non molto grandi, fino a 6,4x4x13,4 centimetri ma si configura come strumento adatto anche all’uso professionale. Ember è infatti piuttosto veloce, 18mm/hr a 25µ, e molto precisa, grazie alla risoluzione da 50µm. Inoltre la logica open source si estende anche al suo hardware, per cui c’è da aspettarsi di vederne, in berve tempo, la struttura riproposta e ulteriormente sviluppata anche da altri produttori, come Hp, che con Autodesk collabora da tempo.
In questi giorni Ember comincia a essere esportata anche in Europa, e consente di lavorare con una grande varietà di materiali. Perfino la formulazione di questi polimeri è open source come il resto del progetto, quindi, se la stampante avrà la diffusione sperata, dovrebbero essere in breve disponibili ricambi di terze parti a costi convenienti.