Andrea Pitrone: la cognitive transformation è il futuro creativo della IA
Un messaggio da 300 caratteri. È questa la dimensione che dovranno avere le opinioni dei cittadini italiani che vorranno partecipare al dibattito pubblico sul documento di “Strategia nazionale sull’intelligenza artificiale” impostato dal passato governo e definito come il risultato di un intenso confronto durato oltre otto mesi e portato avanti dal gruppo di esperti coordinato dal sottosegretario Andrea Cioffi.
Fino al 13 settembre gli interessati potranno presentare direttamente online, alla specifica sezione dedicata alla consultazione, le proprie osservazioni in merito a un piano programmatico tanto importante quanto delicato, sia nella sua elaborazione, sia nella sua chiusura, che non manca di far parlare di sé anche in questa fase finale. Dalle dimensioni previste per i commenti inviabili, che dovranno essere poco più lunghi di un tweet, al recente cambio di esecutivo, in molti sono preoccupati di possibili battute d’arresto di una roadmap, tracciata quasi un anno fa ormai, che forse avrebbe bisogno di più tempo e maggiore tranquillità per non dover subire gli effetti di un’incertezza politica in grado di creare non poche difficoltà a questo progetto nei prossimi mesi.
Una discussione, quella sull’intelligenza artificiale, che abbiamo voluto approfondire meglio insieme ad Andrea Pitrone, chief customer success officer di Loop AI Labs Cognitive Computing, che, in attesa della seconda edizione di AIXA, l’evento fieristico previsto a Milano dal 5 al 7 novembre, organizzato da Business International (divisione di Fiera Milano Media – Gruppo Fiera Milano) e dedicato al mondo dell’AI e di tutte le sue applicazioni nell’universo del business, ci ha spiegato in che modo eccellenze dell’Italia digitale come la sua oggi stiano lavorando per espandere le potenzialità di un ambiente virtuale capace di offrire infinite opportunità.
Pitrone, innanzitutto, cosa significa per voi oggi intelligenza artificiale?
«L’intelligenza artificiale è un insieme di metodi che permettono a un sistema di prendere decisioni, comprendere l’ambiente circostante ed essere in grado di interagire con quest’ultimo. L’AI si suddivide, quindi, in differenti componenti che vanno dal computer vision allo speech to text fino al cognitive computing basato su modelli matematici come il machine learning che a sua volta vede nel deep learning un ulteriore segmento di specializzazione. Loop AI Labs, per esempio, ha come area d’interesse il cognitive computing, ovvero una branca dell’intelligenza artificiale che si prefigge di replicare e modellare su una macchina il processo di apprendimento e ragionamento degli esseri umani».
A che punto siete nello sviluppo della vostra tecnologia?
«Premetto che l’innovazione tecnologica e l’adozione del cognitive computing oggi, per le grandi imprese che vogliono rimanere competitive sul mercato, diventa un must have. Attualmente, possiamo dire che nel momento in cui la grande enterprise vuole confrontarsi con altri competitor, che magari hanno già intrapreso un percorso di trasformazione, grazie alla nostra tecnologia avanzata e non supervisionata avrà la possibilità di ridurre notevolmente l’effort dei dipendenti e le tempistiche necessarie per lo sviluppo dei report cognitivi, riducendo sensibilmente il time to market e l’impegno per la gestione del change confrontato rispetto ad altre piattaforme presenti sul mercato».
Quale sarà l’evoluzione della vostra offerta nei prossimi anni?
«Abbiamo considerato tre principali direttrici sotto questo punto di vista. In primis, vogliamo estendere il set di capacità cognitive a oggi disponibili sul mercato per permettere all’intelligenza artificiale di avvicinarsi sempre di più all’intelligenza umana, arrivando per esempio a interazioni di linguaggio. In secondo luogo, desideriamo poter fornire razionali seguiti a livello decisionale dei robot cognitivi, riuscendo così a spiegare il motivo delle decisioni prese dalle intelligenze artificiali. In fine, il nostro ultimo obiettivo strategico è quello di incrementare ulteriormente le capacità computazionali delle macchine, ovvero la possibilità di ridurre il peso della gestione degli algoritmi, avendo la possibilità di introdurre l’intelligenza artificiale in qualsiasi dispositivo utilizzato dall’uomo al fine di ottenere capacità cognitive diffuse, estese e interconnesse. Il risultato finale vuole essere quello di evolvere in maniera congiunta queste componenti, avendo un’AI presente ovunque non in maniera espressa o esposta, ma sempre attiva in background con un impatto molto pervasivo. In questo modo non si parlerà più di intelligenza artificiale a se stante, ma si percepirà la sua presenza in maniera evoluta sia sul lavoro sia nella vita quotidiana».
Da quello che dice, però, il rischio di avere una sostituzione tra macchina e uomo sul posto di lavoro sembra piuttosto concreto?
«Non è così. L’obiettivo rimane sempre quello di potenziare le capacità dell’uomo e non di sostituirlo. Ciò che vogliamo è abilitare un radicale percorso di cambiamento, che sarà talmente pervasivo da modificare qualsiasi attività professionale in azienda. Lo scopo del nostro lavoro, infatti, è quella di ridurre i task ripetitivi, ottimizzandone le prestazioni e consentendo agli uomini di concentrarsi su attività creative che non potranno essere svolte dalle AI e che daranno soddisfazione alle persone».
Se però l’AI decide e l’uomo crea, come valutate voi la posizione europea che recentemente ha creato il codice etico per l’adozione dell’intelligenza artificiale?
«Sicuramente l’uomo deve essere al centro, ma deve interessarsi di tematiche più importanti. Noi crediamo molto nell’etica dell’AI perché ogni strumento molto potente deve essere gestito e controllato con il massimo dell’attenzione al fine di mantenere la centralità, la dignità e il rispetto dell’essere umano».
In che modo oggi l’intelligenza artificiale può essere utile anche per le aziende?
«Quando ha dato vita a Loop Ai Labs Cognitive Computing, il nostro Ceo e fondatore, Gianmauro Calafiore, ha avuto l’intuizione di creare qualcosa che il mercato ancora non richiedeva e lo ha fatto 10 anni prima che la richiesta iniziasse a manifestarsi. Questo ci ha dato un ottimo vantaggio rispetto al mercato in cui ci muoviamo ora. Per altro, il nostro amministratore delegato iniziò puntando sul secondo livello di questa tecnologia, ovvero quello non supervisionato che per molti ancora oggi rappresenta il futuro. Sfruttando queste caratteristiche, dunque, ciò che un ambiente digitale come questo può offrire alle aziende è direttamente la human capacity. Le imprese sanno che con i nostri prodotti possono ridurre l’effort di sviluppo e manutenzione dei cognitive robot e allo stesso tempo raggiungere rapidamente importanti obiettivi di business, che solitamente sono l’obiettivo principale degli investimenti realizzati in questo senso, come l’aumento di revenue e fatturato, la diminuzione dei costi, l’incremento dell’efficienza operativa. Questo offre un’innovazione che non viene più vista solo come un elemento di marketing, a differenza del passato, ma come un fattore di crescita perché consente di ottenere una maggiore completezza ed efficienza per un servizio erogato, portando una rinnovata soddisfazione dei clienti che vanno ad aumentare la customer base dell’impresa».
Cosa deve tenere in considerazione quindi un’azienda per pensare di approcciare la vostra tecnologia?
«Prima di tutto, ribadiamo che l’adozione dell’AI passa sempre all’inizio da una roadmap strategica e coerente di trasformazione. Quella che chiamiamo cognitive transformation diventa utile solo se è espressione di un programma strategico univoco e coerente, guidato dal top management. L’importante è identificare fin da subito l’elenco dei casi d’uso in cui è necessario utilizzarla e i benefici che potrebbero derivare da questa adozione. La nostra, per esempio, è una general purpose platform. Ciò significa che può essere utilizzata in qualsiasi industry e per differenti casi d’uso. La costante, però, è la gestione di dati non strutturati, ovvero quello che le recenti ricerche di IDC considerano come il 90% dei dati dei clienti a disposizione delle grandi imprese, vale a dire: contratti, e-mail, chat, script telefonici e così via. Tutti dati preziosi per migliorare o incrementare l’interazione con l’utente. Quello che facciamo è permettere alle imprese di monetizzare su questo patrimonio informativo già presente, ma magari non conosciuto. Si va quindi dal back office al marketing, dal chat advisor alla gestione di anomalie. Ovviamente, bisogna interpretare il tutto con una visione strategica che sia coerente e univoca al fine di permettere all’azienda di ottenere benefici importanti da questo tipo di innovazione».
Qual è secondo voi oggi lo stato dell’arte dell’adozione dell’AI in Italia da parte delle aziende?
«Il nostro Paese vanta numerose eccellenze sia a livello accademico, sia a livello aziendale, anche se ancora di piccole dimensioni. In generale, il fatto è che l’elemento abilitante per lo sviluppo di questo mercato a livello globale rimane la concorrenza tra grandi aziende. Realtà che hanno la possibilità di produrre significativi investimenti in questo campo, come quelli realizzati negli ultimi anni da Amazon, Apple, Google e altri. In questo momento storico, se le aziende non iniziano a investire più seriamente su questa tecnologia il rischio è quello di non rimanere al passo con i tempi. E’ chiaro che non tutti hanno la potenza economica dei brand citati sopra, ma bisogna cominciare a interessarsi e scommettere su questi ambienti innovativi. Se invece si guarda alla concorrenza tra stati, si vede come a livello globale convenga investire in intelligent automation per incrementare competitività e Pil, che secondo alcuni studi internazionali avrebbero importanti margini di crescita, pari anche al 20-25% in più, grazie all’utilizzo di questa tecnologia. Sicuramente, però, per raggiungere questi risultati bisognerà puntare sempre di più sui giovani per permettere loro di avere nuove opportunità di lavoro, fornendo a tutti anche gli strumenti e le infrastrutture necessarie per ottenerle. Se è vero, infine, che l’Italia attualmente non è posizionata perfettamente in termini di numero di startup che si occupano di questo intelligenza artificiale, è pur vero che il Governo italiano si sta impegnando molto sul tema sia in termini di investimenti, sia sotto il profilo della stesura del documento del Mise per la strategia italiana relativa all’adozione dell’intelligenza artificiale condivisa anche con l’Unione europea. Un passo importante questo per dimostrare l’interesse nazionale sull’argomento e anche il reale impegno nello sviluppo di una tecnologia che rappresenta il nostro futuro».
Dal vostro punto di vista, però, che differenza c’è oggi tra il mercato italiano dell’AI rispetto a quelli degli altri Paesi?
«Probabilmente il gap maggiore che si riscontra oggi è il fatto che l’Italia sia partita dopo rispetto agli altri e inizialmente c’è stata anche molta diffidenza da parte delle aziende sulle reali opportunità offerte da questa tecnologia. Nonostante questo, però, ora c’è molta voglia di fare e anche il pubblico è più preparato e consapevole sia dei vantaggi, sia delle possibilità proposte da questa tecnologia. In questo senso, quindi, possiamo dire che i tempi sono maturi ed è ora di scommettere su questa innovazione».
Quale sarà il ruolo che l’Italia potrà giocare in questo settore?
«Se da una parte è vero che l’Italia ha un’importante base culturale e filosofica che potrà sfruttare in questo settore, è anche vero che quello italiano è un popolo di creativi e nel campo dell’intelligenza artificiale ci vuole moltissima creatività per capire quale sia la maniera giusta di interpretare i dati da analizzare e i processi di business a essi collegati e che questi possono trasformare e migliorare. Inoltre, per esempio, guardando ai futuri obiettivi del nostro business, l’Italia potrà essere un ottimo banco di prova per poter aiutare le piccole e medie imprese ad avvicinarsi sempre di più a questa tecnologia. Se, infatti, in una prima fase della nostra attività ci siamo rivolti principalmente alle grandi enterprise, ora crediamo sia arrivato il momento di applicare questa tecnologia anche al segmento delle Pmi, che da sempre sono l’anima del business italiano».
(Articolo originariamente pubblicato su bimag.it)