Licenze software aziendali e Shadow IT: quanto costa l’inefficienza?
In un mondo sempre più governato dalla tecnologia è il software il vero motore dell’economia. Insieme ai dati, le applicazioni rappresentano infatti uno degli asset più importanti per le aziende moderne, indispensabili per favorire la crescita, cogliere gli obiettivi di business, migliorare la collaborazione tra gli utenti e incrementare la produttività generale.
Negli ultimi anni il perimetro delle infrastrutture aziendali è diventato sempre più ampio, articolato e composito a causa di molteplici fattori, con il risultato di rendere sempre più complessa la governance degli asset IT e quindi sempre più difficile la gestione del software e la comprensione del reale costo delle applicazioni.
Si pensi per esempio alla virtualizzazione delle infrastrutture, oppure alla trasformazione dei perimetri organizzativi in seguito ad acquisizioni e cambiamenti aziendali. Processi che innescano nuove applicazioni con il rischio di sovrapposizioni o ridondanze e che spingono nel contempo i meccanismi delle licenze software a diventare più complessi e articolati, basati su nuove metriche di consumo e di risultato.
Si pensi, ancora, all’impatto della consumerizzazione e della digitalizzazione sui processi aziendali, con la proliferazione di nuove applicazioni, soprattutto cloud, che aggirano lo scrutinio dell’IT (il cosiddetto Shadow IT). Alla luce di tutto ciò conoscere le prestazioni delle infrastrutture digitali, sia in termini di impiego interno che di costi, non soltanto è un requisito indispensabile per la contabilità analitica, ma è un prerequisito per competere efficacemente su qualsiasi terreno.
IDC calcola che la complessità legata alla gestione del software possa costare alle aziende fino al 25% del loro budget in licenze software. Secondo un’indagine condotta sempre da IDC, il 36% delle aziende italiane sopra i 50 addetti posiziona al primo posto tra le criticità legate al controllo e al governo degli asset software la gestione delle licenze in ambienti cloud ibridi, mentre lo Shadow It preoccupa quasi il 30% delle imprese italiane.
A tali fattori si aggiunge il GDPR. I numerosi impegni da completare porteranno molte aziende a intraprendere un percorso per la minimizzazione dei costi necessari per raggiungere un adeguato livello di conformità alla nuova normativa, ma tale obiettivo resterà una chimera senza una chiara comprensione del portafoglio software e dell’impatto che la sua gestione, in ottemperanza del regolamento, potrebbe comportare sulla struttura dei costi dell’impresa.
“Il viaggio verso la digitalizzazione è impensabile senza dotarsi di adeguati strumenti per il controllo dei propri asset” ha dichiarato Giancarlo Vercellino, research and consulting manager di IDC Italia. “Nel momento in cui una buona parte dello stato patrimoniale di alcune imprese si dematerializza completamente, occorre che le aziende italiane maturino un approccio sempre più “industriale” nella gestione dei propri software, esattamente come farebbero con qualsiasi altro strumento di produzione. E dai dati che abbiamo raccolto in Italia molte imprese, soprattutto quelle che stanno cercando di fare cose nuove, hanno una chiara consapevolezza della necessità del Software Asset Management per raggiungere i propri obiettivi”.