Ricette per pianificare le HR nella fase 2 della crisi pandemica
Mai come la situazione degli ultimi mesi ha costretto le aziende a cambiare radicalmente i propri piani con una deadline perentoria: adesso. Che abbiano dovuto interrompere le attività in presenza, o al contrario riuscire comunque a portarle avanti perché impegnate in produzione o servizi essenziali al Paese, hanno dovuto operare in condizioni di lavoro completamente trasformate dai protocolli di sicurezza, riarrangiando in modo agile la propria organizzazione. Poterlo fare comunque in base a dati realistici e previsioni solide, farà la differenza tra chi riuscirà ad accusare meglio il colpo, se non addirittura a prosperare, e chi invece dovrà convivere con una situazione problematica a lungo.
Ovviamente, più vasta e complessa è l’organizzazione, e maggiori sono le difficoltà nel progettare, pianificare e adottare nuove pratiche.
Sono questi alcuni dei temi che si sono affrontati nel corso di una conferenza stampa virtuale organizzata da Workday, azienda che propone una piattaforma “as a service” per la gestione delle risorse umane e della pianificazione finanziaria e che ha visto la testimonianza di Laura Bruno, HR Head di Sanofi Italia, e l’intervento di Alberto Navarra, Career Serices Leader di Mercer Italy, che ha presentato una ricerca sulla employee experience dei mesi scorsi.
Sanofi: garantire servizi essenziali nella nuova era
Sanofi è una delle aziende che in questo periodo non ha potuto fermarsi né rallentare, visto che produce farmaci essenziali (tra i quali anche alcuni impiegati fuori indicazione terapeutica in alcune cure sperimentali per il Covid). L’azienda partiva da una situazione di vantaggio: aveva già abilitato lo smart working, in misura di due giorni la settimana, e quindi i dipendenti avevano già tutti gli strumenti per operare da remoto. Malgrado ciò, ha dovuto gestire una transizione complessa sia per quanti hanno cominciato da un giorno all’altro al lavorare al 100% da remoto, sia per quanti hanno dovuto comunque garantire produzione, vendita e distribuzione dei farmaci.
“Abbiamo attivato immediatamente un comitato di crisi con diverse linee di indirizzo, dice Laura Bruno, per garantire la continuità nei siti produttivi e la sicurezza dei dipendenti. Siamo riusciti in tempo rapidissimo riusciti a gestire dpi, turni di lavoro e definizione dei nuovi protocolli di sicurezza, che vanno dalla misurazione della temperatura alla sanificazione periodica, alle policy per il personale viaggiante. Il tutto, cercando di garantire il più possibile flessibilità ai dipendenti, per permettere loro di seguire i figli a casa da scuola”.
Sanofi ha anche chiuso un accordo sindacale per garantire ai lavoratori un supporto per le spese relative alla postazione di lavoro (rete, monitor, sedia ergonomica), e ha persino organizzato per i dipendenti attività extra lavorative, come corsi remoti di pilates, training sulla resilienza e campus per bambini.
Una quantità di cambiamenti che già in periodo normale sarebbe stata impegnativa per una divisione HR, ma che è stata realizzata in tempi brevissimi, in modalità a distanza e con l’aggiunta degli impegni richiesti dai comitati di crisi. “Tutto ciò è stato possibile perché, dietro alla gestione delle risorse umane, c’è la tecnologia che permette di prendere decisioni e cambiare rapidamente la pianficiazione. Avere tutti gli strumenti di selezione e onboadding informatizzati ha permesso anche di proseguire l’attività HR, anche con l’inserimento di nuove risorse persino in questo periodo”, afferma Laura Bruno, che conclude: “La Covid ha accelerato tutti i processi digitali, e siamo riusciti perché eravamo già pronti e indirizzati su questa strada. Sul piano umano, invece, il successo è dovuto al giusto mix tra regole e responsabilità individuale, con delega e fiducia nelle persone”.
Per Sanofi, la fase due non sarà molto diversa: i risultati dell’esperienza in smart working sono stati così buoni che non vi è motivo di tornare alla situazione precedente. Ai manager è stato chiesto di continuare a usare il più possibile il lavoro da remoto, limitando al 20% il tempo che il proprio staff dovrà trascorrere in ufficio.
Dallo smart working al “new way of working”
“Lo smart working è una fake news: non esiste”, afferma Alberto Navarra, nell’introdurre i risultati preliminari della ricerca sulla employee experience effettuata da Mercer su 6000 persone di 2000 aziende e che ha riguardato nove aspetti del lavoro durante il lockdown. “Quel che esiste, e che durerà a lungo, è la nascita di un nuovo modo di lavorare – spiega Navarra – Il 98 percento delle persone intervistate ritiene che, da ora in poi, il lavoro sarà diverso, e che anche passata la crisi si userà l’ufficio in modo differente, come spazio di contatto con i colleghi e clienti (75%)”.
Due persone su tre si sentono più produttive, con tre distinzioni importanti. Il miglioramento è percepito meno dai millennials, forse perché già abituati al digitale, o forse perché a loro si chiede di replicare a casa quel che facevano in ufficio. Un modello che forse è da reinventare. Si sentono mediamente più produttivi i baby boomers, che si sono trovati a usare alcuni strumenti per la prima volta (il l 75% ha affermato che non sapeva di avere tutte le risorse per continuare a lavorare anche in remoto).
Solo un terzo dei top manager, tuttavia, si sente efficace nello smart working “forse perché mette in discussione il modello command and control, molto praticato in italia”, commenta Navarra, secondo il quale probabilmente verranno rivisti in futuro i modelli di leadership.
Essere smart è una condizione della persone, non degli strumenti o dell’organizzazione, che deve essere sempre più human centric, con una proposta di valore che passi anche per il digitale e la tecnologia che permette di acquisire informazioni per fornire alla forza lavoro una employee experience che sia davvero personalizzata, in contrasto a quella attuale che è strutturata per categorie (operai, impiegati, dirigenti, donne, giovani…). Il patrimonio informativo sul dipendente è un elemento forte di Workday, che tiene tutte le informazioni HR in un unico repository dal quale è possibile analizzare caratteristiche e necessità per poter creare pacchetti personalizzati. Un tema importante sarà definire i limiti e i consensi al trattamento dei dati personali, per ottenere in cambio quei servizi.
Guardare al futuro post-pandemico
“Dopo questa crisi ci sarà un lungo periodo di transizione che richiederà continui aggiustamenti da parte di dipendenti, leader e dell’azienda stessa, e che va strutturato in tre fasi: recover, respond, thrive”, commenta Pierre Gousset, Vice-President Presales EMEA di Workday.
La prima fase è quella di ripristino o mantenimento delle attività durante la crisi. Questa avrebbe dovuto prevedere una strategia, ma è stato così solo parzialmente. Oltre il 50 percento delle aziende non aveva un continuity plan, e questo si è rivelato uno svantaggio soprattutto per le aziende con infrastrutture e servizi on-premises, in cui quello che finora è stato un vantaggio dell’avere infrastrutture “in casa” (la bassa latenza e scarso consumo di banda esterna per chi lavora in ufficio), si è tramutato in un problema quando la forza lavoro è stata costretta a lavorare fuori dalle mura, con una connessione della rete aziendale non dimensionata per quel carico di traffico esterno. “Il public cloud è il fondamento della business continuity in questa situazione”, afferma Gousset.
La seconda fase è quella della risposta e ripresa, che deve passare dall’analisi delle debolezze che la crisi coronavirus ha messo in luce:
- Assenza di una Data strategy
- Sistemi informativi non resilienti e non efficienti, che comportano rallentamenti non più tollerabili nell’estrazione e analisi dei dasti
- Abilitare agilità e continuità operativa
- Offrire la stessa esperienza e possibilità di dare il propio contribuito a tutti i dipendenti, non solo ad alcuni
Solo mettendo mano a quelle questioni, sarà possibile per Gousset affrontare la terza fase, quella della prosperità, in cui i dati possono essere analizzati facilmente, anche dalla IA, eliminando i compiti ripetitivi e permettere allo staff HR di occuparsi finalmente delle persone, prendendo decisioni e fornendo soluzioni in brevissimo tempo. Nella fase 2 sarà un fattore ancora più strategico perché sarà indispensabile riuscire a individuare competenze particolari, che oggi sono diventate strategiche, identificando le figure che devono lavorare on-site, con quali modalità e con quali strumenti.