Valore dei dati dei clienti: ecco perché il CRM non basta più
La frase “i dati sono il petrolio di oggi”, coniata dal matematico inglese Clive Humby 15 anni fa, è ormai molto abusata nei convegni e nei comunicati stampa, ma non si può negare che sia vera. La capacità di gestire e sfruttare i dati dei clienti, per esempio, sta attribuendo netti ed evidenti vantaggi competitivi a molte aziende, sia nei mercati consumer che in quelli B2B. Ma li sta attribuendo proprio perché non è facile da conseguire.
Per concretizzare l’intero valore potenziale dei dati dei clienti occorre andare oltre i dati di interazione del cliente con l’azienda, cioè oltre il sistema CRM, e raccogliere anche i dati comportamentali, cioè le informazioni su come il cliente usa i prodotti e/o servizi dell’azienda, lungo l’intero “ciclo di vita” del cliente stesso.
Il tutto su un’unica piattaforma digitale, una Customer Data Platform, e adeguando i processi aziendali in modo da sfruttare al meglio la tanto agognata “vista unica del cliente”. Di tutto questo abbiamo parlato con Romeo Scaccabarozzi, Amministratore Delegato di Axiante.
Come si concretizza il valore dei dati del cliente lungo il suo ciclo di vita?
Il valore cresce durante tutte le quattro fasi del ciclo di vita del cliente. Nella prima fase (onboarding), in cui si “conquista” il prospect facendolo diventare cliente, i dati sono pochi, e si gioca non sulla quantità ma sulla velocità: i pochi dati a disposizione devono supportare la rapidità nel reagire ai segnali e alle richieste del prospect, altrimenti questo – pensiamo per esempio a un sito di e-commerce – si rivolge subito alla concorrenza.
Nella seconda fase, il nuovo cliente interagisce con diverse funzioni aziendali – vendite, amministrazione, logistica, produzione – e qui occorre superare la visione “a silos”: ogni funzione ha una sua visione dei dati di un certo cliente, che non coincide con le altre. La sfida è normalizzare, omogeneizzare queste diverse viste.
Questo è essenziale per raggiungere l’efficienza nei processi. Non c’è niente di più frustrante per il cliente di non riuscire a comunicare con il fornitore quando per esempio riceve una consegna o una fattura sbagliata.
Ma a che punto i dati del cliente possono dare vantaggio competitivo?
Nella terza fase, che è la più affascinante: è qui che il fornitore invece di essere solo reattivo, veloce, può cercare di essere propositivo. È una fase di espansione: richiede di essere capaci di vendere al cliente servizi in aggiunta ai prodotti, o vendere ad altre divisioni o consociate dello stesso cliente. Insomma fare upselling e cross-selling.
Per passare in questa terza fase sono necessari molti più dati. Le tipologie di dati sul cliente che un’azienda dovrebbe cercare di avere in sostanza sono quattro: identità, interazione, comportamentali, e attitudinali.
I dati di identità sono quelli per cui è nato il CRM. I dati di ingaggio sono le informazioni su come il cliente si relaziona con il mio brand: su quali canali, perché si mette in comunicazione, eccetera. Terzo tipo: i dati comportamentali, la storia di cosa e quanto ha comprato, se e quando ha abbandonato il carrello sull’e-commerce, quante volte ha rinnovato l’abbonamento, se ha disdetto e se è tornato, eccetera.
Questi tre tipi di dati sono oggettivi. Il quarto riguarda opinioni, dati attitudinali. Entriamo in un ambito meno definito. Una parte di questi dati posso raccoglierli direttamente, con sondaggi e indagini. Ma molto spesso li devo comprare da qualche banca dati specializzata, e quindi è importante avere un’idea di quanto sono affidabili. E poi occorre decidere che peso dare. Valgono di più tre clienti contenti che mettono 5 stelle, o uno solo scontento che fa un lungo post con tutti i problemi che ha avuto con la mia azienda?
Ma anche raccogliere tutti e quattro i tipi di dati non basta…
Infatti. Questi quattro tipi di dati mi danno una visione a 360 gradi del cliente, che mi permette di passare dall’approccio reattivo a quello proattivo. Ma sono poche le aziende che hanno già realizzato questo approccio. Secondo una indagine Gartner di pochi mesi fa, solo il 14% delle organizzazioni oggi è convinto di avere questo tipo di visione. Ma d’altra parte sono molte quelle interessate: l’82% delle oltre 400 aziende intervistate dice che aspira ad avere una visione a 360 gradi.
Occorre quindi un sistema che vada oltre il CRM. Il CRM non basta, sia per un problema di quantità di dati, sia per un problema di real time, nel senso che se per esempio devo reagire velocemente al cliente che ha un problema sull’e-commerce devo farlo adesso. Serve quindi una evoluzione del CRM, una Customer Data Platform (CDP) che mi permetta una visione a 360 gradi del cliente.
Come si fa a realizzare una Customer Data Platform a livello tecnologico e a livello organizzativo?
La prima cosa è coinvolgere i decisori, quelli che hanno la possibilità di investire. Un progetto Customer Data Platform costa di più e richiede più tempo di un progetto CRM. Questa consapevolezza ci deve essere in azienda. Un buon punto di partenza è il convincimento diffuso che sfruttare appieno il valore dei dati del cliente dà vantaggio competitivo.
La seconda best practice è affidarsi non a un esperto di CRM, ma a un system integrator, perché la CDP ha come sua natura la necessità di integrare dati di tipo e provenienze molto diverse: dati interni, esterni, social, e-commerce, dati da survey e iniziative di marketing, acquisti da banche dati.
Inoltre quando abbiamo dati di tipo diverso, che risiedono su sistemi diversi, interni ed esterni, persistenti e “volatili”, occorre avere una precisa data strategy.
Esistono due tipi di data strategy: una d’attacco e una di difesa. Quella di difesa in pratica dice “qui ci sono i dati essenziali, non mettete nient’altro”. Quindi una strategia fortemente limitante, che lascia per strada una serie di richieste insoddisfatte. La strategia di attacco invece permette l’interazione con funzioni diverse, accetta una maggiore esposizione al rischio: è il solito trade off tra avere una visione a 360 gradi al 99% buona, o una visione incompleta ma perfetta. Una scelta che il CIO e agli altri manager devono fare.
Da un punto di vista di tecnologia, diversi vendor ormai propongono pacchetti commerciali di CDP, si tratta solo di applicare i propri consueti criteri di software selection.
Cosa propone Axiante per affiancare le aziende in questo tipo di progetti?
Innanzitutto le competenze, che devono essere sia di natura commerciale e di marketing, sia tecnologiche. Il secondo elemento su cui puntiamo è un approccio che permette di portare risultati presto e con frequenza, diciamo ogni 3-4 mesi.
L’ottimizzazione dei dati di tutte e quattro le categorie e la costruzione della Customer Data Platform è un percorso graduale da costruire nel tempo. Per farlo dobbiamo superare il rapporto cliente-fornitore, farlo evolvere verso la partnership, guardando insieme a un obiettivo comune. La differenza tra sfruttare solo alcuni tipi di dati e sfruttarli tutti è enorme. Non ha senso porsi l’obiettivo di vendere sempre di più, senza porsi anche quello di spendere i soldi sempre meglio: sappiamo tutti quanto costi per esempio una campagna di marketing fatta nel momento sbagliato, o verso il target sbagliato.