Tra le contromisure ai dazi americani che la UE sta considerando di adottare a fine aprile, si parla più insistentemente di colpire i servizi digitali erogati in Europa dalle multinazionali americane nei settori del cloud, intelligenza artificiale, social network, pubblicità digitale e intrattenimento.

Alcuni rappresentanti del governo francese hanno affermato che il secondo pacchetto di misure includerà probabilmente i servizi digitali americani, e il Ministro dell’Economia austriaco Wolfgang Hattmannsdorfer, conservatore, rincara la dose: “Dobbiamo colpire gli stati repubblicani e dobbiamo colpire gli amici di Donald Trump, le aziende tech, per forzarlo ad aprire un tavolo negoziale”, ha affermato in una conferenza stampa a Vienna.

Tira il freno invece l’Irlanda, la cui economia dipende dai ricavi delle multinazionali americane, che negli ultimi decenni è riuscita ad attrarre sull’Isola con trattamenti fiscali di favore. “Colpire i servizi digitali americani con potenziali contromisure commerciali non è la posizione dell’Unione Europea e sarebbe un atto molto dannoso per l’Irlanda, ha detto il Ministro del Commercio irlandese Simon Harris giovedì. L’Irlanda è riuscita ad attirare sull’Isola i quartier generali di tutte le aziende tech americane, garantendo loro un regime fiscale così favorevole da essere stato sanzionato dalla Corte di Giustizia Europea.

Perché i dazi sui servizi tech sono una pessima idea

Se è vero che la bilancia commerciale dei beni è sbilanciata a favore dell’Europa, con esportazioni negli USA che superano di gran lunga le importazioni, nel campo dei servizi digitali la situazione è completamente ribaltata, con i colossi big-tech che dominano il mercato in ogni segmento.

Detto ciò, imporre un dazio che va dai servizi cloud agli abbonamenti dello streaming non è una buona idea. Innanzi tutto, e in linea di principio, se abbiamo ragione quando diciamo che i dazi danneggiano l’economia di tutti i soggetti coinvolti e i portafogli di aziende e consumatori, perché mai dovremmo utilizzarli noi stessi?

In secondo luogo, sappiamo bene quanto gli investimenti nel campo del digitale siano un volano per la produttività e l’innovazione. Rendere più costoso l’accesso alle tecnologie non può che danneggiare la competitività delle aziende private e l’efficienza dei servizi pubblici.

Per non parlare poi del fatto imporre un dazio ai servizi digitali, che la loro natura eterea e iperconnessa viaggiano tra giurisdizioni diverse, sarebbe molto più complicato che bloccare un container di merce in dogana fino al pagamento del tributo.

Proposta 1: eliminare le scappatoie fiscali

Oltre a non considerare il disavanzo di segno opposto nel settore dei servizi, i rappresentanti del governo americano che lamentano un trattamento ingiusto delle proprie aziende da parte dell’Europa, omettono sempre di citare il fatto che le multinazionali tech americane godono in Europa di un trattamento fiscale molto più favorevole rispetto alle aziende nate nel Vecchio Continente.

È noto che, sfruttando scappatoie fiscali derivanti dai diversi regimi giuridici di Irlanda (come citato prima), Olanda e paradisi fiscali, le multinazionali riescono a sottrarre gran parte del loro fatturato alla tassazione europea.

Invece di imporre nuovi dazi o inventare nuove misure fiscali creative come correttivo (dalla famigerata Web Tax al chiedere il pagamento dell’IVA sul valore dei dati degli utenti social), l’Europa dovrebbe decidersi una buona volta ad armonizzare la fiscalità europea eliminando le ben note scappatoie.

Questo non solo consentirebbe di recuperare gettito fiscale, ma favorirebbe anche la crescita di alternative europee che oggi giocano su un terreno in salita, perché non possono godere degli stessi vantaggi.

Proposta 2: favorire le aziende europee, almeno nel pubblico

Pareggiato il campo di gioco, l’Europa dovrebbe poi abbandonare l’assolutismo del libero mercato e il tabù degli aiuti pubblici alle imprese, orientando gli investimenti – almeno quelli del settore pubblico – verso fornitori genuinamente europei.

Nel suo rapporto sulla competitività in Europa e in raccomandazioni successive, Mario Draghi suggerisce di creare una strategia europea per lo sviluppo di cloud sovrani anche attraverso una selezione dei fornitori per i servizi pubblici orientata agli operatori locali. Passare dagli aiuti di stato agli “aiuti di continente”. Ed è questo il contenuto di una lettera aperta inviata alla Commissione da più di 100 aziende ed esperti di tecnologia europei.

Non solo questo oggi non avviene, ma si fanno scelte di campo che vincolano le infrastrutture pubbliche alle architetture di specifici hyperscaler. Con il risultato che si vedono bandi pubblici per la fornitura di servizi che devono essere necessariamente erogati sul cloud di uno specifico hyperscaler.

Per carità, ci sono alcune tecnologie che sono disponibili solo sui cloud degli hyperscaler (modelli e framework IA, piattaforme dati, database e molto altro), e quelle dobbiamo continuare a usarle per rimanere competitivi. Tantissimi altri servizi di infrastruttura o piattaforme open source, come Kubernetes, i provider europei possono essere altrettanto validi. E senza un sostegno economico, almeno sotto forma di commesse pubbliche se le esigenze sono compatibili, difficilmente le aziende europee avranno le risorse per costruire un’alternativa a un fornitore che è ogni giorno meno amichevole nei nostri confronti.

Gli Stati Uniti stanno usano le maniere forti per imporre dazi e condizioni vessatorie ai mercati; la Cina foraggia le sue aziende tecnologiche con linee di credito quasi infinite e chiude le aziende internet straniere fuori dal suo Great Firewall; la Russia impone a chi opera sul suo territorio controlli e censure, e porta sul piano militare scontri che non è in grado di sostenere su quello economico.

In questa situazione geopolitica, l’Europa non può più permettersi di perseguire pedissequamente validissimi principi come il rispetto della rule of law, l’apertura dei mercati o il fair play. Non nei confronti di chi questi principi non solo non li segue, ma li dileggia.