I media spagnoli fanno causa a Meta: chiesto risarcimento da 550 milioni di euro
Un gruppo che rappresenta alcuni dei maggiori media spagnoli ha fatto causa a Meta chiedendo 550 milioni di euro come risarcimento per l’inosservanza “sistemica e massiccia” delle norme sulla privacy dell’UE da parte del colosso guidato da Mark Zuckerberg.
La causa, intentata dall’Associazione dei Media Informatici (AMI) per conto di 83 testate spagnole tra cui El Mundo ed El País, accusa Meta di aver violato il GDPR dalla sua entrata in vigore nel 2018 fino alla metà del 2023, quando Meta si è finalmente piegata alle pressioni delle autorità di regolamentazione e ha promesso che avrebbe iniziato a chiedere esplicitamente il permesso degli utenti dell’UE per la raccolta di dati per scopi pubblicitari.
Secondo l’AMI, Meta non solo “non ha rispettato il GDPR, ignorando il requisito normativo secondo cui i cittadini devono acconsentire all’uso dei loro dati per la profilazione pubblicitaria”, ma le sue pratiche scorrette hanno anche contribuito alla sua posizione dominante in ambito pubblicitario in tutta l’UE.
Il presidente dell’AMI José Joly ha inoltre dichiarato che la posizione dominante di Meta (dovuta in gran parte proprio alla mole di dati raccolti sui cittadini dell’UE) ha reso i media spagnoli incapaci di competere, aggiungendo che per questo motivo la loro sostenibilità è a rischio.
Poiché Meta non è accusata di aver violato la legge spagnola ma le norme del blocco dell’UE, cause legali simili potrebbero aprirsi anche in altri Paesi europei, come ha precisato a Reuters l’avvocato Nicolás González-Cuéllar, che rappresenta l’AMI nella sua causa.
L’azione legale spagnola è l’ultimo tentativo in ordine di tempo dei media tradizionali di combattere i giganti tecnologici nei tribunali per proteggere il loro business. In tutto il mondo infatti le organizzazioni dei media hanno lottato e stanno lottando fra cause legali e appelli alla politica per far pagare alle big tech tariffe eque per l’utilizzo e la condivisione dei loro contenuti.
Dopo aver ceduto alle norme del GDPR che la obbligano a notificare esplicitamente agli utenti che i loro dati vengono raccolti per servire annunci pubblicitari mirati, a ottobre Meta ha introdotto versioni a pagamento di Facebook e Instagram che eliminano completamente gli annunci.
Una mossa che, come abbiamo raccontato la settima scorsa, non è piaciuta a molti, compreso il gruppo di attivisti per la privacy None of Your Business (NOYB), che ha presentato un reclamo per la protezione dei dati in Austria contro Meta per il suo modello di abbonamento a pagamento, definendolo una “tassa sulla privacy” in netto contrasto con lo spirito delle normative europee sulla privacy.
“Il diritto dell’Unione Europea prevede che il consenso sia frutto della libera volontà dell’utente”, ha affermato l’avvocato Felix Mikolasch, responsabile della protezione dei dati di NOYB. “In contrasto con questa legge, Meta fa pagare una tassa sulla privacy fino a 250 euro all’anno se qualcuno osa esercitare il proprio diritto fondamentale alla protezione dei dati”.