Legge antipirateria: “Pene irragionevoli e obblighi assurdi”, protestano i provider
Nell’ambito dell’esame al Senato per la conversione in legge del DL n.113/2024, cd. DL Omnibus, sono stati introdotti emendamenti volti a rafforzare la lotta contro la pirateria digitale dei contenuti sportivi. Uno di questi impone a una serie di operatori del settore, come i motori di ricerca, i prestatori di servizi di accesso e i prestatori dei servizi della società dell’informazione, l’obbligo di segnalazione alle autorità giudiziarie dei reati di accesso abusivo ai sistemi informatici e di frode informatica, arrivando a prevedere fino ad un anno di reclusione per l’omessa segnalazione.
Obbligo che finora era previsto solo per pubblici ufficiali o per reati gravissimi come strage, terrorismo, attentato a cariche dello stato, sequestro di persona e poco altro. Non c’è però solo questa anomalia a preoccupare, come spiega in un comunicato Anitec-Assinform, l’Associazione Nazionale delle imprese ICT e dell’Elettronica di Consumo aderente a Confindustria.
In primo luogo, la norma appare eccessivamente sproporzionata e inefficace ai fini del contrasto ai fenomeni di pirateria online. I motori di ricerca, così come i prestatori di servizi di accesso alla rete e i fornitori di servizi della società dell’informazione, sono da considerarsi dei meri intermediari che non possono vedersi attribuita una responsabilità penale non coerente con la natura dei servizi da loro prestati.
Su un piano strettamente operativo, la norma non identifica criteri, modalità e condizioni che determinano l’effettiva condotta omissiva, a partire dall’effettiva conoscenza da parte dei soggetti intermediari della condotta di reati commessi da terze persone, il che comporterà evidenti difficoltà di applicazione della disposizione.
Questa misura è inoltre un unicum nel panorama europeo e configurerebbe addirittura una possibile violazione di principi fondamentali del diritto dell’UE a partire dal principio del cd. country of origin, il quale prevede che le imprese possano essere soggette esclusivamente alle norme del Paese in cui sono stabilite. Tale principio, infatti, ha il chiaro obiettivo di evitare che l’imposizione di norme nazionali ad aziende stabilite in altri Stati membri possa ostacolare il commercio intra-UE, intaccando la coesione economica e sociale dell’Unione.
Particolarmente critica verso questa norma è anche Assoprovider, che chiede un immediato intervento del legislatore per rimuovere la minaccia di carcerazione e rivedere complessivamente questi emendamenti: “L’introduzione del rischio di carcerazione per gli ISP è una misura draconiana e sproporzionata. Questa norma non solo mette a repentaglio la libertà personale degli operatori del settore, ma rischia di paralizzare l’intero sistema delle telecomunicazioni in Italia” ha dichiarato Giovanbattista Frontera, presidente di Assoprovider.
L’associazione sottolinea in particolare i seguenti punti critici:
- Rischio carcere ingiustificato: la minaccia di reclusione per un’attività di natura tecnica e commerciale è senza precedenti e ingiustificata
- Impossibilità pratica: gli ISP non hanno gli strumenti né le competenze per determinare quali attività siano “penalmente rilevanti”
- Sovraccarico del sistema giudiziario: il timore di sanzioni penali potrebbe portare a un eccesso di segnalazioni, intasando il sistema giudiziario
- Impatto sulla concorrenza: questa norma colpirà in modo sproporzionato i piccoli e medi operatori, che non hanno le risorse per implementare sistemi di monitoraggio complessi
- Conflitto con la privacy: l’obbligo di monitoraggio si scontra con le normative sulla protezione dei dati personali, mettendo gli ISP in una posizione legale insostenibile