Da quando i Big Data sono emersi alla fine degli anni ’90, siamo stati affascinati dalla promessa di ottenere tantissime informazioni scavando a fondo in enormi set di dati. Tanti CIO hanno di fatto costruito le proprie carriere in questa ricerca connettendo montagne di dati, configurando complessi sistemi di analisi e consegnando al board aziendale report entusiastici.

Sullo sfondo di questo scenario così positivo c’è però un problema che si chiama condivisione dei dati. A dire il vero l’idea sarebbe anche valida. La condivisione dei dati tra i partner commerciali crea potenzialmente valore e insight e può aiutare un’azienda a crescere. Tutto a posto insomma se la sicurezza dei dati non fosse un grosso problema.

Perché direttori, amministratori delegati, CSO, CIO e gestori del rischio dovrebbero sostenere un progetto di condivisione dei dati quando questo potrebbe mettere a rischio la sicurezza dei dati dei clienti? Risposta: Non dovrebbero! Questo problema da solo è uno dei più grandi ostacoli alla crescita aziendale e alla produttività nazionale ed è destinato a diventare ancora più grave.

Si pensi solo alle implicazioni del GDPR o, in tempi più recenti, al NDB (Notifiable Data Breaches) entrato in vigore in Australia il 22 febbraio che rende obbligatorio per le aziende avvertire i clienti in caso di violazioni di sicurezza, con sanzioni civili e multe salate se non rispettano questo obbligo. Tutto ciò significa rinunciare alla condivisione dei dati a causa del fattore sicurezza?

No, almeno non se volete che la vostra azienda cresca e prosperi. Guardate ad esempio l’elenco delle 50 migliori compagnie smart presenti nella lista MIT Technology Review. Non sono arrivate lì per dominare i loro rispettivi mercati solo sulla base del semplice istinto. Le prime tre in classifica (Nvidia, SpaceX e Amazon) stanno mettendo a frutto i risultati ricavati da un vero e proprio tesoro di dati. E tutti questi dati sono sicuri? C’è da scommetterlo pensando ad esempio all’impatto che una grave violazione dei dati avrebbe sul prezzo delle azioni di Amazon.

Qual è la via da seguire allora? È semplicemente tempo di cambiare il modo in cui pensiamo di ottenere informazioni dai dati. Ci sono infatti troppi rischi quando si consegnano i preziosi dati dei clienti e approfondimenti operativi a una terza parte nel nome della collaborazione.

Il nuovo termine che deve entrare sempre più spesso nel board aziendale è collaborazione dei dati, che avviene quando un ambiente software consente a più parti di collaborare in modo sicuro senza però condividere. Ogni collaboratore mantiene il controllo dei propri dati in ogni momento. I dati non vengono memorizzati e non sono mai resi disponibili a nessuno dei partecipanti, ma vengono rivelate solo le corrispondenze e gli insight derivanti dalla collaborazione, ma solo se il proprietario dei dati consente che ciò accada.

La diffusa adozione delle tecniche di collaborazione dati sarà un punto di svolta nel consiglio di amministrazione. È ora di smettere di pensare che minare database di dati in silos isolati farà crescere il vostro business ed è ora che smettiamo di consegnare i nostri dati a terze parti “fidate”. Questo è solo un altro problema di sicurezza dei dati di cui preoccuparsi.

I vantaggi della collaborazione dei dati invitano a scoprire insight nascosti, ad arricchire il valore dei dati e a perseguire l’innovazione con la fiducia nella sicurezza dei dati. E forse la collaborazione dei dati significa che dopotutto la promessa dei Big Data non è più questo dilemma a cui è così difficile rispondere.