VMware e IBM insieme per la Cloud Fondation “as a service”
Tra le novità più interessanti che VMware ha presentato lo scorso agosto nel corso dell’evento WMWorld, ci sono sicuramente la nuova VMware Cloud Foundation, che consente di creare Software Defined Data Center (SDDC) con architettura in cloud ibrido con un singolo installer e un unico strumento di gestione.
Il tutto avviene creando un layer di networking virtuale con VMware NSX che integra le macchine on premises con il cloud, creando insieme a vSphere e Virtual SAN una infrastruttura scalabile e gestibile da un unico punto di controllo.
La partnership con IBM, il cui rafforzamento è stato annunciato sempre al VMworld 2016, si concretizza in un ulteriore sviluppo di questa offerta . La piattaforma cloud IBM è al momento la prima a offrire l’intera piattaforma VMware Cloud Foundation in modalità as-a-service.
L’integrazione in questo caso è completa, e con un unico strumento, chiamato SDDC Manager, è possibile allestire e modificare in tempi rapidi un SDDC erogato come servizio, con i consueti benefici di scalabilità, affidabilità e spostamento degli investimenti sui costi operativi e non in conto capitale. L’alternativa è sempre possibile, acquistando un server iperconvergente certificato ed equipaggiato con Cloud Foundation, ed estendendone poi la capacità computazionale o di storage trasferendo carichi di lavoro nel cloud.
Attraverso i nuovi Cross-Cloud Service è anche possibile integrare cloud su piattaforme diverse da quella VMware: da AWS al cloud di Google, a Microsoft Azure.
Tra le altre novità degne di nota del VMworld 2016 di Las Vegas sono da ricordare l’integrazione diretta tra le soluzioni VMware e i container Docker, una maggiore integrazione con OpenStack e il supporto di Windows 10 per gli ambienti VDI. Ulteriori novità sono previste per l’edizione europea del VMworld, che si terrà a Barcellona.
VMware, IBM e il panorama italiano
Le novità e la partnership tra VMware e IBM, sono stati oggetto di un approfondimento con la stampa, durante il quale abbiamo avuto modo di parlare delle novità e del loro impatto sul mercato italiano con Alberto Bullani, Regional Manager, VMware Italia e con Maurizio Ragusa, Director Cloud di IBM Italia.
Per Bullani, la partnership con IBM era già ben avviata e il nuovo accordo si inserisce in un meccanismo già rodato, tanto che l’Italia ha fornito la prima referenza al mondo di un progetto congiunto in questo ambito. Con l’offerta di SDDC si passa però a una vera alleanza industriale, con investimenti importanti e di lungo respiro.
Come ricorda Maurizio Ragusa, infatti, IBM sta investendo moltissimo nella formazione di ben 4.000 specialisti che potranno offrire e progettare infrastrutture ibride basate su Cloud Foundation ed erogate attraverso la rete dei 48 data center “gemelli” SoftLayer distribuiti in tutto il mondo. “Il cloud ibrido e il costo a consumo, sono una soluzione ideale per le esigenze delle aziende italiane, ma anche ideale a superare alcune delle loro resistenze.
Nota Ragusa che chi ha investito in un data center proprietario non deve necessariamente abbandonare quella risorsa, ma può estenderne la capacità solo laddove sia necessario, per esempio per assorbire dei picchi stagionali nel carico di lavoro.
Bullani mette l’accento su un’altra questione. Già adesso, alcune linee di business stanno ricorrendo a servizi di cloud pubblico in modo indipendente dal reparto IT dell’azienda, e talvolta addirittura a sua insaputa. Questo spesso accade in quelle aziende in cui viene allestito un “dipartimento digital” indipendente dall’IT.
“Abbiamo passato gli ultimi anni a cercare di integrare i cosiddetti ‘silos’ di dati legati ai diversi applicativi, e ora rischiamo di ritrovarci con ‘silos di cloud'”, afferma Bullani. La possibilità di far convergere cloud differenti sotto un unico strumento di amministrazione è un modo per riportare queste attività sotto l’ombrello e la tutela dei sistemi informativi aziendali, consentendo comunque agli utenti e ai manager diversi gradi di autonomia.