Diciamocelo, la nuvola cucinata in casa, per chi può permettersela, ha tutto un altro sapore.
Del resto non è un caso che in un mercato del cloud che in Italia è stimato poter raggiungere i 2191 milioni di euro nel 2017 (fonte NetConsulting Cube), la componente del private cloud propriamente detto resti quella preponderante, con 1355 milioni di euro che saranno spesi per piattaforme di gestione e servizi di trasformazione dei data center.
Ma in cosa consiste esattamente questa soluzione, apparentemente più tradizionale, nelle sue diverse sfaccettature? E soprattutto, cosa spinge le aziende a sceglierla, visto che rappresenta un impegno ben diverso dall’appoggiarsi ai molti ‘as a service’ pubblici offerti dai soliti grandi nomi d’oltre oceano?

Alla vecchia maniera ma non del tutto

In realtà è ancora impensabile chiedere a una grande o media impresa di rinunciare ad avere un data center, o almeno uno spazio privato all’interno di una struttura condivisa. Anche perché, a meno che non sia nata ieri, già lo possiede e vi ha anche destinato risorse importanti. Da qui la necessità di rendere al passo con i tempi gli investimenti fatti, permettendo a tutti i reparti di avere software e servizi à la carte senza dover necessariamente guardare oltre l’IT aziendale. Proprio la necessità di arginare questa pratica diffusa, assai dannosa per la sicurezza e la condivisione delle risorse in azienda, è una delle ragioni che spingono molti Cio a intraprendere la strada della trasformazione in logica cloud dei servizi IT interni.
Private cloud non significa necessariamente ‘on premise’, ma indica più che altro un sistema cloud ad uso esclusivo dell’azienda, in cui si è certi di non avere risorse condivise con altre entità. Ci si può così assicurare una gestione completa e su misura di ogni aspetto, a partire dalla sicurezza. Anche il processo di gestione non deve necessariamente svolgersi internamente, bensì può essere affidato a terzi, così come può essere esterno l’hosting, senza che questo porti a perdere la definizione di private cloud. L’unico requisito è che l’azienda, e solo lei, mantenga il controllo sull’intera infrastruttura, sviluppata per distribuire tutti e soli i servizi e le applicazioni necessari al suo business.

Il virtual private cloud

Un’alternativa, in discreta crescita, per ottenere l’indipendenza del private cloud senza dover sostenere i costi di manutenzione di un data center, è il VPC, acronimo di virtual private cloud.
In pratica il provider mette a disposizione una porzione della sua rete, costituita da una classe di IP, dedicata a un solo cliente, che vi si connetterà in esclusiva tramite Vpn. I servizi forniti sono generalmente quelli di una PaaS (platform as a service), ovvero comprendono gli strumenti per creare il proprio ambiente applicativo, sviluppando e testando applicazioni, senza doversi preoccupare dell’hardware e dello storage sottostanti e della loro onerosa manutenzione.

mercato cloud
In Italia nel 2017, sempre secondo NetConsulting Cube, il mercato dei VPC varrà 484 milioni di euro, contro i 438 del 2016 e i 396 del 2015. Un trend interessante dovuto anche allo sforzo dei vendor per offrire soluzioni sempre più complete e gestibili. Vendor che generalmente sono gli stessi dei servizi globali di cloud pubblico, tra cui Amazon, Google e Microsoft, ai quali si aggiungono multinazionali generalmente votate alle necessità delle aziende più grandi, come Hpe, con la sua piattaforma Helion, e Oracle.
Nei VPC, rispetto al private cloud propriamente detto, c’è poi il grande vantaggio della scalabilità delle risorse di storage e di elaborazione, proprio come avviene sottoscrivendo un contratto di cloud pubblico, che garantisce un’infrastruttura più flessibile di quanto sarebbe possibile con risorse interne.

Perché privato è meglio che pubblico

Il primo vantaggio è la customizzazione. Per un’azienda grande e complessa, con le sue unicità, è fondamentale avere risorse IT tagliate sulle esigenze del proprio business. Esigenze che riguardano tanto le prestazioni della rete, quanto quelle di hardware e software. Queste caratteristiche sono soddisfatte pienamente solo dal private cloud.
Anche la compliance, ovvero la sicurezza di aderire a standard rigorosi e norme specifiche, può essere assicurata solo da un sistema completamente sotto controllo e asservito a un solo cliente.
Ed è proprio l’indipendenza da altri utenti a favorire quello che è il più importante vantaggio del private cloud, ovvero il pieno controllo della sicurezza. Essendo l’intera rete, lo storage e l’hardware nelle mani dell’azienda, ci si garantisce che nessun altro potrà accedervi, anche se ospitato presso lo stesso data center. Questo fatto, insieme alla possibilità di definire ogni aspetto dei sistemi di controllo e autorizzazione, rende il private cloud la soluzione ideale in tutti quei contesti in cui la difesa della proprietà intellettuale e dell’integrità dei dati sia prioritaria su qualsiasi considerazione economica.

Perché privato è peggio che pubblico

Ogni medaglia ha un rovescio. Così tutti i vantaggi del private cloud si trasformano in problemi se visti da una prospettiva differente. La possibilità di progettare e personalizzare il sistema impone competenze molto elevate e uno staff IT ben dimensionato. Inoltre ogni variazione successiva all’implementazione iniziale comporta nuovi costi, oltre quelli già importanti sostenuti per partire o trasformare in ottica cloud l’hardware e il software preesistente.
Quanto alla sicurezza, averne il totale controllo è un vantaggio solo se ogni livello di progettazione dell’infrastruttura è protetto con la massima attenzione. Come dimostra la cronaca recente, i cloud privati sono presi di mira da criminali molto esperti, e le conseguenze anche di piccole ingenuità si pagano care.

La strada della nuova industria

Per certi versi il concetto di private cloud può apparire in contrasto con le logiche stesse che hanno portato al successo delle nuvola informatica. Leggerezza e scalabilità, costi contenuti e semplicità cedono il passo al ritorno alla manutenzione dell’hardware, ai costi di gestione e possesso e ai rischi di obsolescenza, anche se quest’ultima è oggi meno veloce di quanto non lo fosse dieci anni fa.
Ciò nonostante sono in molti a chiedere e proporre soluzioni di questo tipo, e non è un caso che perfino Microsoft si stia accingendo a lanciare Azure Stack, ovvero la versione privata della sua nuvola. La ragione è il cambiamento in atto nei business model che, inseguendo le logiche dell’Industry 4.0 mettono l’IT, e il cloud in particolare, al centro delle attività dell’azienda. Un ruolo così importante, da abilitatore, fa venire voglia di non condividere con nessuno risorse che rappresentano il motore insostituibile del business, dalla cui efficienza e sicurezza dipende, oggi più che mai, la competitività delle grandi imprese. Anche perché la maggiore complessità del private cloud è un problema che riguarda solo il personale IT, mentre per tutto il resto dell’organizzazione potrebbero non esserci praticamente differenze rispetto a una soluzione pubblica.