Sanità italiana, il paziente al centro del CRM: il caso CDI
Al recente Salesforce Live: Italy, l’evento digitale dedicato da Salesforce al mercato italiano, tra i “trailblazer” (i clienti più innovativi) che hanno portato la loro testimonianza c’è stato anche CDI (Centro Diagnostico Italiano), uno dei progetti più approfonditi e pervasivi di CRM nel settore sanitario italiano basati su Salesforce. Con Andrea Provini, Direttore Sistemi Informativi del CDI e Global CIO del Gruppo Bracco, abbiamo parlato del percorso di trasformazione digitale di CDI, e di come questo progetto si inserisce in tale percorso.
Cos’è CDI oggi e come si colloca nel gruppo Bracco?
Il Gruppo Bracco è una multinazionale farmaceutica, con sede in Italia ma con mercati principali all’estero: Nord America, Europa, Cina e Giappone. Al suo interno il Centro Diagnostico Italiano (CDI) è invece una realtà regionale, che opera soprattutto nella città metropolitana di Milano e in aree vicine come le province di Varese e Pavia: attivo dal 1975, oggi CDI è una struttura sanitaria ambulatoriale a servizio completo orientata alla prevenzione, diagnosi e cura in regime di day hospital. Ha sede a Milano in via Saint Bon, ha 27 centri (che presto diventeranno 30), impiega circa 1000 persone, tra medici, paramedici e staff, e serve ogni anno circa 400mila pazienti.
In che modo CDI ha affrontato la trasformazione digitale?
Siamo partiti da due elementi diversi. Uno è legato alla sanità in generale, che è alla continua ricerca di un equilibrio tra sostenibilità economica e accessibilità. Questo per chi fa innovazione e digitalizzazione è un’opportunità. Il secondo è la tradizione di eccellenza e forte innovazione di CDI, che però si è sempre concentrata sui processi, sull’attenzione al paziente, sulle tecnologie diagnostiche: i medical device per esempio hanno tempi di rinnovamento più brevi della media del settore. Occorreva quindi un passo in più per mettere la digitalizzazione al servizio di questa cultura aziendale di innovazione.
Il settore sanitario è un po’ indietro nella trasformazione digitale. È visto come una “fabbrica” con aree di produzione diversa, gestite da software molto specifici, che non sono riusciti a tenere il passo dell’evoluzione digitale.
In questo scenario è essenziale evitare la soluzione più facile, e cioè dare una “verniciata superficiale” di digitalizzazione a un back-end obsoleto. Noi abbiamo puntato prima a modernizzare le fondamenta, e poi abbiamo accelerato sulla componente digitale. È facile parlare di prenotazione online se poi qualcuno ti chiama e fissa l’appuntamento. Molto diverso è avere una app web o mobile con cui l’utente davvero prenota in modo autonomo, con un sistema che assegna automaticamente luogo, ora, specialisti e macchinari, per quanto lo permetta la complessità della prestazione.
Quindi in CDI a partire dal 2010 abbiamo iniziato a adeguare l’infrastruttura e le applicazioni, soprattutto di back-end, e conclusa questa fase, nel 2018, abbiamo iniziato a lavorare sul front-end visibile al pubblico. Abbiamo potuto così attivare in rapida sequenza tutti quegli elementi di digitalizzazione dell’esperienza del paziente che tra l’altro, sono risultati elementi fondamentali durante il periodo Covid perché perfettamente coerenti con le misure di contenimento: prenotazioni e referti online, fatturazione e pagamenti online, totem, app, videoconsulti.
Come nasce il progetto Salesforce nell’ambito di questo percorso?
Una delle principali difficoltà nella sanità è avere una visione completa del paziente. Come ho detto, ci sono tante “strutture produttive” diverse, e ciascuna vede una sfaccettatura del paziente. Oggi si può accedere ai servizi di un centro sanitario da privati, da cittadini con il SSN, da professionisti attraverso un fondo, o da dipendenti attraverso la medicina del lavoro. Il rischio è archiviare i dati dello stesso paziente in quattro “silos” diversi, e questa mancanza di una visione completa può generare disservizi, e la sensazione nel paziente di non essere seguito nel modo migliore.
Il primo obiettivo del progetto CRM è stato quindi di sviluppare un sistema che identifichi il paziente e tracci tutte le interazioni che ha avuto e ha con CDI: amministrative, diagnostiche, cliniche, ma anche con strutture di servizio, sui social, e così via. Un sistema che a regime sarà utilizzato dal personale medico, da quello che si occupa di reception e customer care, e anche dal paziente che potrà vedere tracciata tutta la sua esperienza nel CDI.
Quindi nella prima fase abbiamo unificato tutti i sistemi interni, consolidandoli con un database unico, e mettendoli in grado di parlare tra loro in tempo reale. Ora stiamo iniziando ad aggregare al paziente tutte le sue interazioni, e pensiamo entro fine anno di avere finalmente a sistema una sua visione davvero completa. Questa fase è durata abbastanza poco, circa 8 mesi, e oltretutto proprio durante il lockdown, grazie al lavoro di backend precedente di cui dicevo prima.
Quali sono le prime applicazioni che partiranno sulla base di questa visione unica del cliente?
Lavoreremo sull’ottimizzazione di tutta la customer experience, dalla prenotazione al ritiro del referto. Gli utenti più interessati in questo momento sono il customer care e il marketing.
Il customer care può finalmente trattare il paziente con tutte le informazioni aggiornate a disposizione, comprese eventuali problematiche ancora aperte. Il marketing può pensare a una serie di journey, cioè di “percorsi esperienziali” per esempio per “coccolare” i clienti già acquisiti, o ingaggiare chi non lo è ancora: magari l’accompagnatore di un nostro paziente che si collega al wifi mentre è in una nostra struttura, e che possiamo ingaggiare proponendogli la nostra newsletter. L’obiettivo finale è creare dei journey il più possibile personalizzati, in parallelo con la tendenza della sanità a definire dei trattamenti di cura delle patologie sempre più personalizzati.
Insomma una personalizzazione non solo clinica, ma anche di customer care. Per questo le prossime fasi del progetto prevedono lo studio con un CRM sempre più analitico di tutti i dati che i pazienti ci autorizzeranno a trattare, integrati con altri dati esterni socio-economici e logistici, per capire i comportamenti e definire esperienze sempre più personalizzate. Per esempio se il paziente frequentava un nostro centro perché vicino a dove lavora, e poi si mette a lavorare in smart working, potremmo proporgli un altro centro vicino a dove vive. O, se è un runner, un check-up con i controlli più indicati per chi corre spesso.
Come si integra il CRM con il resto dei sistemi di CDI?
Al momento abbiamo ancora integrazioni di tipo tradizionale con alcuni sistemi non ancora modernizzati. Per gli altri la scelta è stata di connetterli al CRM attraverso un middleware avanzato, l’API Ecosystem di MuleSoft (società acquisita da Salesforce nel 2018, ndr), anche per facilitare l’integrazione con tutti gli ecosistemi API che sono disponibili anche per informazioni non sanitarie. Per esempio in alcuni journey che abbiamo ipotizzato il paziente può conoscere le condizioni del traffico e la disponibilità di parcheggi intorno ai nostri centri, o prenotare taxi, o la prescrizione dei nostri specialisti può attivare la prenotazione dei corrispondenti farmaci nella farmacia preferita dal paziente. Per alcune di queste cose siamo facilitati dal fatto che il Gruppo Bracco conosce e utilizza da tempo Salesforce.
Siete stati aiutati da qualche system integrator in questo progetto?
Sì, Techedge. È entrato da poco nel mondo Salesforce, e l’abbiamo scelto per la disponibilità a sperimentare applicazioni in ambito sanitario, che in Italia ha forti specificità e non offre molti riferimenti in termini di progetti Salesforce. Invece per la parte MuleSoft – che è una tecnologia di frontiera, poco diffusa in Italia – abbiamo come integratore una piccola realtà padovana, Thread Solutions, che è specializzata su questi sistemi di API. E poi abbiamo chiesto a Salesforce di accompagnare con una presenza di indirizzo il nostro progetto, appunto perché la sanità italiana non offre molte esperienze in questo campo.
Che ruolo ha avuto l’IT interno in questo progetto?
Nel mondo IT chi fa vera innovazione si è sempre dovuto confrontare con chi “vende” innovazione. In questo momento abbiamo molti esempi di “facile digitalizzazione”, in cui con un’app si pensa di risolvere tutto. In realtà è tutto il lavoro “poco appariscente” che sta dietro l’app che risolve i problemi, l’app è solo un canale di comunicazione, anche se è ciò che l’utente vede. Questo è sempre stato difficile da rendere percepibile, ma la recente emergenza sanitaria ci ha dato l’opportunità di dimostrare che tanto lavoro sui fondamentali serve per farsi trovare pronti al momento del bisogno. E che certi investimenti che non danno riscontri immediatamente percepibili sono in realtà la base necessaria per agire con successo a una situazione imprevista.
Rispetto ad altre realtà, CDI è stata in grado di attivare con rapidità e in assoluta sicurezza molte cose che già pronte non erano in cima alle priorità aziendali. Prima del Covid la digitalizzazione non era il primo interesse neanche per il paziente stesso. Poi improvvisamente è diventato importante poter andare il meno possibile in un luogo ritenuto a rischio, poterci andare in piena sicurezza se necessario, ricevere da remoto la stessa attenzione che si riceve quando si va fisicamente in un nostro centro. Ma per noi non è stato un problema: l’abbiamo vissuto come un momento di esecuzione, non di emergenza.