Cosa fa un Chief Digital Transformation Officer e come lo si diventa: l’esperienza Pure Storage
Tra i vari ruoli che definiscono i leader tecnologici in azienda, quello del Chief Digital Transformation Officer, in qualche azienda chiamato anche Chief Digital Officer, è di istituzione piuttosto recente e questa figura non è presente in tutte le aziende.
La funzione in qualche caso è affidata al CEO o al Chief Technology Officer – ma parliamo in genere di aziende che il digitale ce l’hanno nel DNA – o distribuita in comitati che vedono rappresentate diverse funzioni aziendali (forse per non far sentire nessuno escluso da questo processo).
Ma cosa fa in pratica un Digital Transformation Officer (da qui in poi, CDTO)? Quali sono le sue priorità e il suo raggio di azione? Quali devono essere le sue competenze e qualità, e quale la formazione necessaria?
Abbiamo avuto modo di discutere di questi temi con uno dei pochi rappresentanti di questa community ancora ristretta e tra i pochissimi italiani che ricoprono questo ruolo in una multinazionale, il CDTO di Pure Storage Paolo Juvara.
Funzione e obiettivi del Chief Digital Transformation Officer
Con il settore dei dati – e quindi dello storage – in crescita esponenziale, e forti elementi di discontinuità come la transizione al cloud e hybrid cloud che stanno attraversando tutte le aziende, per il settore ICT questo è un momento d’oro per cavalcare onde di discontinuità. Opportunità che, come altri vendor ICT, Pure Storage sta cogliendo per trasformare il suo modello di business da costruttore hardware a fornitore di servizi con un modello di pagamento a consumo, per esempio con la soluzione Pure as-a-Service.
“Questo non è solo un cambio di politica commerciale, ma un cambiamento nell’erogazione del servizio completo, in cui ci assumiamo la responsabilità contrattuale della gestione dello storage. Il cloud ha creato un’aspettativa di immediatezza, agilità e scalabilità che non può essere soddisfatta con un semplice cambiamento del modello di pagamento”, commenta Juvara, che poi elenca gli gli obiettivi che il CDTO si è posto per accompagnare l’azienda in questo percorso:
- Ottimizzazione di tutti i processi interni (HR, Finance, Supply Chain) con particolare attenzione alla employee experience e al time management, aspetti molto importanti nella fase di transizione al lavoro ibrido;
- Semplificazione dei sistemi di go-to market, creando integrazioni sempre maggiori tra il marketing e i partner di canale, semplificando anche i sistemi contrattuali per offrire un’esperienza unificata;
- La creazione di una data platform in cui raccogliere i dati di telemetria sull’utilizzo dei prodotti, relazionandoli con i dati di business per avere insight e sviluppare nuovi modelli o servizi.
- Rendere fluida l’esperienza che i clienti hanno quando utilizzano il prodotto, all’interno del prodotto quando lo utilizzano, in particolare per quanto riguarda Pure as a Service a consumo. Al momento, le transazioni commerciali per rinnovi, espansione o modifica dei servizi richiedono ancora processi manuali che vogliamo eliminare per offrire un’esperienza integrata all’interno del prodotto.
La digital transformation in ogni azienda
Per cultura, competenze e crescita esponenziale del mercato le aziende tech sono probabilmente favorite nei percorsi di trasformazione digitale, ma secondo Juvara “ogni azienda deve sviluppare la propria ambizione digitale” per far fronte a una sfida che attraversa ogni settore. In questo, è essenziale che il CDTO comprenda profondamente il modello di business e sviluppi un piano con ambizioni digitali adeguate.
“Aziende più tradizionali potrebbero concentrarsi inizialmente più sull’ottimizzazione dei processi che sul cambiamento dei modelli di business, per poi creare successivamente nuovi canali di revenue digitali”, afferma.
Comprendere il business significa conoscerne le dinamiche, evitare di farsi prendere la mano con la discontinuità e andare ad alterare rapporti delicati. Con l’enfasi sul rapporto diretto con il cliente e la creazione di canali digitali diretti, qualcuno – anche nel settore ICT e dello storage – potrebbe essere tentato dal voler disintermediare i partner. “Pensiamo che questo sia un errore e un’opportunità per noi. Il nostro commitment verso il canale ci permetterà di avere una forza commerciale molto forte, e pensiamo di poter trarre vantaggio da operazioni di disintermediazione tentate dalla nostra concorrenza”, dice Juvara.
Anche il ruolo dei partner di canale però deve essere trasformato, a partire dagli incentivi dei venditori che devono uscire dall’ottica della singola transazione per focalizzarsi invece sul costruire una relazione di lungo periodo con il cliente, che farà probabilmente acquisti più contenuti in una fase iniziale per espandersi poi nel tempo. Riuscire ad assistere il cliente nella sua crescita dell’investimento sarà una cosa fondamentale. Meno ricerca di nuovi lead, e più utilizzo di strumenti CRM quindi.
“Dal punto di vista dell’infrastruttura, questo richiede investimenti più forti da parte di Pure nei servizi che offriamo ai partner, per costruire canali di integrazione molto più forti, perché non devono semplicemente ricevere e passare un ordine, ma lavorare durante tutto il ciclo di vita del cliente”.
È essenziale anche saper guardare avanti, alla prossima disruption, che per il settore dello storage (ma non solo) sarà rappresentata dall’automazione sempre più spinta, anche assistita dall’intelligenza artificiale per fare manutenzione preventiva o predire le criticità prima che si manifestino.
Qualità e curriculum del CDTO
Cosa dovrebbe cercare un’azienda in un CDTO? E quale tipo di formazione dovrebbe affrontare chi desidera ricoprire questo ruolo, che coniuga tecnologia e business management? “Senz’altro una formazione tecnologica di base è fondamentale, partendo dall’ingegneria, l’IT e lo sviluppo dei prodotti, ma mi sono reso conto subito nella mia carriera che le persone che hanno più successo sono quelle che hanno capacità tecniche e funzionali, che riescono a capire come il business funziona. L’iper specializzazione, la conoscenza di tecnologie specifiche e le certificazioni senz’altro offrono una ricompensa immediata, ma essere dei generalisti continua ad avere dei vantaggi nel lungo periodo”.
Anche perché con la velocità con cui le tecnologie si evolvono le certificazioni durano sempre meno tempo, mentre con la semplificazione della tecnologia e l’avvento del cloud le competenze tecnologiche non sono più sufficienti, perché possono essere facilmente trasferite al fornitore.
“Da un lato questo riduce il valore dell’IT, perché diventa una commodity, ma dall’altro crea l’opportunità di spostare il focus dal lato esecutivo a quello strategico. Capire quale sia il modello di business e le ambizioni digitali dell’azienda e sviluppare una visione di quali siano i processi e le tecnologie necessari a supportare questa ambizione digitale”, conclude Juvara.