In Italia ci sono quasi quattrocentomila persone che nel giro di 3-5 anni andranno certamente a ingrossare le fila dei pazienti con demenza; si tratta di soggetti di fatto già malati in uno stadio iniziale (prodromica) della patologia: con l’aiuto dell’intelligenza artificiale i medici potranno scovare per tempo questi individui, prima che manifestino i sintomi irreversibili e progressivi della demenza.

Questo potrebbe cambiare il corso delle cure, permettendo un intervento mirato e precocissimo con i farmaci attualmente disponibili e sui fattori di rischio/protezione che sono già noti.

I dati italiani

È proprio con questo obiettivo che è in corso lo studio europeo su intelligenza artificiale e demenze, Ai-Mind Strumenti di intelligenza digitale per lo screening della connettività cerebrale e la stima del rischio di demenza nelle persone affette da Disturbo Cognitivo Lieve”.

Il progetto è finanziato dalla Commissione Europea con circa 14 milioni di euro, l’Italia partecipa quattro unità operative.

In Italia, rileva Paolo M. Rossini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Scienze della Riabilitazione del San Raffaele, ci sono circa 750.000 persone con declino cognitivo lieve, ovvero soggetti con un elevatissimo rischio di ammalarsi di demenza: metà di queste è di fatto già ammalata di una forma iniziale che si svilupperà in modo evidente nei successivi 3-5 anni mentre la rimanente metà rimarrà autonoma e procederà secondo le normali curve di invecchiamento fisiologico.

L’identificazione all’interno della popolazione di età superiore ai 60 anni di soggetti con ‘disturbo cognitivo lieve’ ovvero di quelle persone che – pur essendo ancora sostanzialmente sane –  hanno un elevatissimo rischio di sviluppare demenza, rappresenta una delle urgenze maggiori in tema di politiche sanitarie per la corretta allocazione delle risorse economiche per questa patologia, spiegano Camillo Marra del Dipartimento di Scienze dell’Invecchiamento, Neurologiche, Ortopediche e della Testa-Collo e Clinica della Memoria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli e Americo Cicchetti, Direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica (Altems).

Quindici partner europei

Il progetto Ai-Mind si propone come strumento decisionale di supporto per l’identificazione precoce di questi soggetti a rischio di sviluppare la demenza, attraverso l’applicazione dell’intelligenza artificiale a innovativi strumenti di indagine neurofisiologica, neuropsicologica e genetica.

Promosso dal programma di ricerca e innovazione dell’Ue per il 2021-2027 Horizon 2020; coinvolge quindici partner provenienti da otto paesi europei.

Il progetto vede coinvolti oltre cento ricercatori europei in un consorzio che include neurologi, geriatri, psichiatri, bioingegneri, statistici, bioinformatici ed esperti dell’Health Technology Assessment.

Lo studio vede anche la partecipazione di Alzheimer Europe, l’associazione che riflette a livello europeo tutte le consorelle nazionali di malati e famigliari.

Lo studio coinvolgerà mille partecipanti con lievi deficit cognitivi (MCI) di età compresa tra i 60 e gli 80 anni, che saranno reclutati in quattro paesi europei: Italia, Norvegia, Spagna e Finlandia. Per l’Italia i centri coinvolti sono l’Università Cattolica, Altems, San Raffaele e lo spin-off accademico di ricerca Neuroconnect.

“L’intelligenza umana – spiega Rossininon è in grado di estrarre in un tempo ragionevole tutte le informazioni contenute nell’esito di esami (biomarcatori) oggi eseguibili tramite test neuropsicologici avanzati, metodiche di neuroimmagini strutturale e funzionale (l’elettroencefalogramma) e test genetici”.

L’utilizzo di varie metodiche di IA quali machine learning e deep learning potrà rilevare parametri e correlazioni che il cervello umano (anche quello dell’esaminatore più attento e competente) non è in grado di rilevare e di farlo sulla base di elementi che hanno un peso diverso da paziente a paziente con un approccio personalizzato.