I danni dell’ictus si combattono con la corrente
Università Cattolica, campus di Roma–Fondazione Agostino Gemelli e San Raffaele, hanno scoperto la possibilità di favorire il recupero dell’arto paralizzato a seguito di un ictus e potenzialmente ridurre la disabilità associata all’evento cerebrovascolare, applicando una piccola corrente indolore mediante un dispositivo non invasivo, semplicemente applicato sul capo, ma in grado di raggiungere attraverso il cranio le strutture cerebrali sottostanti e di modificarne l’eccitabilità.
Lo studio, su modelli animali di ictus ischemico, si deve a una collaborazione tra il team di Claudio Grassi, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’Università Cattolica Campus di Roma, con il gruppo di Paolo Maria Rossini direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Scienze della Riabilitazione del San Raffaele. Pubblicato sulla rivista Stroke, lo studio apre alla possibilità di iniziare le sperimentazioni su pazienti reduci da ictus.
Stimolazione transcranica
“Il lavoro mette in luce, in un modello sperimentale animale, l’efficacia di una stimolazione non invasiva del cervello denominata stimolazione transcranica a corrente diretta nell’accelerare il recupero della funzione motoria a seguito di un ictus ischemico – sottolinea Grassi -. Inoltre evidenzia le basi molecolari di tale recupero e gli effetti indotti dalla stimolazione sulla connettività cerebrale”.
“La stimolazione transcranica a corrente diretta – spiega Maria Vittoria Podda del dipartimento di Neuroscienze dell’Ucsc di Roma e corresponding author del paper –, è una tecnica di stimolazione non invasiva ampiamente utilizzata nella ricerca clinica con risultati promettenti nell’ambito della riabilitazione motoria e cognitiva. Tuttavia i meccanismi alla base della sua efficacia non sono ancora ben noti e la ricerca pre-clinica può offrire un importante contributo in questo ambito”.
La riparazione del danno ischemico
Grazie allo studio emerge che intervenendo nella fase sub-acuta, tre giorni dopo l’evento ischemico, con un trattamento che consiste in sessioni singole di stimolazione della durata di venti minuti per tre giorni consecutivi, si ottengono evidenze tangibili di “riparazione” del danno ischemico nel cervello di topolini.
“Nel tessuto vicino alla lesione – spiega – abbiamo osservato (solo negli animali sottoposti a stimolazione ‘vera’, non in quelli sottoposti a stimolazione ‘placebo’) diverse modifiche sia a livello strutturale, sia molecolare”, segno dell’effetto della stimolazione.
Tali modifiche si correlano anche con un recupero migliore e più rapido dei soggetti stimolati rispetto a quelli con stimolazione placebo. I segni molecolari di ripresa indotti dalla stimolazione sono la produzione di molecole importanti per il cervello come fattori di crescita; in particolare “abbiamo visto un aumento dei livelli della neurotrofina Bdnf”, spiega l’esperta.
“Nei neuroni della corteccia motoria nella zona prossima alla lesione, inoltre, osserviamo un aumento del numero delle spine dendritiche, strutture essenziali per la comunicazione tra neuroni. Questo potrebbe essere alla base dell’aumentata connettività neurale misurata nello studio, mediante registrazioni simili all’elettroencefalogramma”.
L’ictus ischemico, una lesione acuta del cervello legata a un problema vascolare o di tipo ischemico o emorragico; l’ictus rappresenta ancora oggi la prima causa di disabilità permanente in tutti i Paesi più avanzati in cui l’età media della popolazione si è allungata, e rappresenta l’80% di tutti gli ictus. Si verifica quando un’arteria che irrora l’encefalo viene improvvisamente ostruita e quindi – nel corso dei minuti/ore successivi, portando alla morte delle cellule nervose da essa nutrite.
In Italia l’ictus è la terza causa di morte, dopo le malattie oncologiche e quelle cardio-vascolari, è responsabile del 9-10% di tutti i decessi e rappresenta la prima causa di invalidità. Ogni anno si registrano nel nostro Paese circa 200.000 ricoveri dovuti all’ictus cerebrale, di cui il 20% sono recidive. Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti a un ictus guarisce completamente, il 75% sopravvive con una qualche forma di disabilità, e di questi la metà è portatore di un deficit così grave da perdere l’autosufficienza per il resto della loro vita.
L’ictus è più frequente dopo i 55 anni, la sua prevalenza raddoppia successivamente a ogni decade; il 75% degli ictus si verifica nelle persone con più di 65 anni. La prevalenza di ictus nelle persone di età 65-84 anni è del 6,5% (negli uomini 7,4%, nelle donne 5,9%).