Un manager ribelle per la Sanità del futuro
Il vasto mondo della fragilità, una condizione di vulnerabilità latente a cui consegue un crescente rischio di disabilità, è l’oggetto del Libro bianco della Associazione Scientifica per la Sanità Digitale. Un universo che, secondo i dati del ministero della Salute, comprende oltre 14 milioni di persone in Italia che convivono con una patologia cronica e di questi 8,4 milioni sono ultra 65enni. Pazienti doppiamente fragili per età e per patologie pregresse.
“L’idea – precisa il documento – è di proporre non una soluzione verticale tout-court ma un paradigma di cambiamento che affronti alcuni temi interessanti per i contenuti metodologici che portano in sé e che possano essere di esempio per gli altri”. Il lavoro, che si avvale di numerosi contributi che spaziano dalle tecnologie per i caregiver alla telemedicina per i sordi e a molti altri aspetti, sottolinea come sia necessario dare una chiara definizione di disabilità e fragilità, “o meglio che siano ben identificabili le persone che sperimentano nella loro vita problematiche di tipo cronico o che possono sviluppare cronicità importanti mettendo in difficoltà il SSN sia sotto il profilo dei servizi che del valore, cioè dell’efficienza e disponibilità di assistenza”.
L’importanza delle startup
Dal punto di vista tecnologico la fase della progettazione è fondamentale perché le tecnologie debbono essere progettate in funzione del soggetto, al fine di evitare effetti negativi (rifiuto, complessità d’uso); fondamentale risulta essere la collaborazione con le ausilioteche – sale che raccolgono materiali e strumenti didattici per persone con disabilità – e i gruppi di ricerca sia clinici che dei bioingegneri.
Fra i tanti aspetti evidenziati dal lavoro dell’Associazione c’è anche quello dell’importanza delle startup. È attraverso la contaminazione con questo mondo che il Libro bianco ipotizza la creazione della nuova figura di manager sanitario, definito manager ribelle “che ragioni secondo approcci e tempi di risposta tipici di una startup (velocità, intuito, creatività, approccio disruptive) ma organizzati secondo schemi razionali derivati da un importante esperienza e livello culturale e professionale”. Per essere un manager ribelle è necessario possedere una visione di lungo periodo, si parla di una decina d’anni, curiosità, capacità di azione e di avere un pensiero laterale. “Questo al fine di ripensare la Sanità secondo nuovi paradigmi, trasformare i suoi processi e servizi attraverso la messa in pratica e sperimentazione di soluzioni innovative e la valorizzazione delle capacità professionali, il capitale umano”.
L’Open innovation, secondo la tesi dell’Associazione, deve entrare a fare parte del patrimonio della Sanità. I manager che potremmo definire tradizionali devono essere in grado di aprirsi al mondo degli innovatori sfruttando e valorizzando le competenze in/out, le migliori innovazioni che il mercato offre, combinando tecniche quantitative e pensiero intuitivo per migliorare e progettare la vita delle persone, dei pazienti anche in una logica di sostenibilità. Proprio durante la recente pandemia, alle startup è stato chiesto di supportare amministrazioni e sistema sanitario, per esempio, nell’intercettare chi non si era vaccinato tra i pazienti fragili e di monitorare la salute dei pazienti impossibilitati a muoversi e quindi isolati. Da qui la nascita di progetti legati allo sviluppo di applicazioni per la raccolta dei dati e loro elaborazione con algoritmi dedicati, nuove piattaforme e servizi di telemedicina, sviluppo di soluzioni e strumenti di analisi da remoto e, infine, soluzioni per l’analisi dell’accessibilità.
Il ruolo della formazione
In questo modo, durante i mesi pesanti della pandemia, il mondo delle startup e degli innovatori ha creato un nuovo concept, un nuovo modello di Sanità Digitale che cerca in modo ribelle di abbattere le barriere sociali e culturali. Il modello è basato su quattro principi:
- una salute per tutti senza esclusione (dove si vuole);
- una salute per ognuno di noi (quando si vuole);
- una salute personalizzata, secondo la propria diagnosi (come si vuole);
- una salute accessibile e preventiva (sostenibile economicamente e a basso impatto ambientale).
Per favorire un processo di questo tipo è importante però che diventi di primaria importanza il tema della formazione per lo sviluppo delle competenze digitali. Come rivelato dall’Associazione Scientifica, tra le professioni sanitarie si evidenzia che la formazione in ambito digitale è considerata alla pari della formazione di altre competenze (secondo il 50% dei rispondenti) o fortemente correlata alle esigenze individuali (34%).
Nonostante questo, formazione e aggiornamento continuo risultano ancora insufficienti sia nell’ambito universitario, sia nelle Aziende Sanitarie o IRCCS. Secondo dati raccolti da ASSD, solo il 23% dei rispondenti indica che nella propria struttura sanitaria è stato implementato un programma di formazione per alcune o per tutte le categorie professionali, mentre il 43% dichiara che non è stata messa in atto alcuna azione di formazione per lo sviluppo delle competenze digitali, neanche di tipo episodico.
“Diventa quindi urgente sviluppare un piano di formazione che tenga conto delle suddette esigenze, utilizzando le linee di finanziamento nazionale ed europeo. A integrazione, appare matura la possibilità di sviluppare più collaborazioni pubblico privato per lo sviluppo di progetti formativi nel contesto della Sanità Digitale”.