In collaborazione con Progettare per la sanità Edra

Niente tracciabilità per i dispositivi medici

Niente tracciabilità per i dispositivi medici
Una tesi di laurea rivela che molte strutture non hanno un modello evoluto per controllare la loro dotazione

Una tesi di laurea sui sistemi di tracciabilità dei dispositivi medici permette di approfondire un tema poco conosciuto. Merito di Andrea Paparelli e Tommaso Toia, due laureati Liuc in Ingegneria gestionale che hanno seguito il percorso in Gestione integrata delle aziende e dei servizi in sanità e hanno dedicato al tema la loro tesi. Oggi i due ex studenti lavorano in strutture sanitarie, l’idea è nata dal contatto con Ingesan, l’Associazione italiana degli ingegneri in Sanità, che ci ha segnalato la necessità di approfondire il tema, finora molto trattato a livello scientifico ma poco o per nulla mappato, per quanto estremamente “caldo” sia in Italia che a livello europeo. Nel contesto sanitario, infatti, è fondamentale monitorare, gestire e controllare non solo i farmaci, ma anche i dispositivi medici. Lo scopo è di ridurre al minimo, o ancora meglio, di azzerare le ripercussioni negative sulla salute pubblica”.

Il cartaceo resiste

Con il supporto dell’Healthcare datascience Lab della Liuc – Università Cattaneo e di Ingesan è stato approfondito in particolare  l’impatto economico dei dispositivi medici sulle diverse realtà, anche in relazione al numero di pazienti delle stesse. Inoltre, abbiamo sondato le modalità di organizzazione e gestione dei dispositivi e i sistemi software alla base della gestione dei materiali. Per la ricerca Paparelli e Toia si sono rivolti ad alcune specifiche aree delle strutture, direzioni operative, farmacie, controllo di gestione, ingegneria clinica. Su oltre trecento strutture interpellate, sono arrivate una trentina di risposte.

Seppur parziale l’indagine ha accertato una pesante situazione di arretratezza. “Siamo purtroppo al punto zero. Nessuna delle strutture che hanno risposto, infatti, ha dichiarato di avere adottato un modello evoluto per la tracciabilità. Anche le realtà più attive hanno infatti scelto sistemi molto basici, di semplice utilizzo, anche per integrarli al meglio con i sistemi aziendali. Di fatto, solamente il 50% delle strutture rispondenti utilizza un software integrato”. Uno dei maggiori problemi riguarda il fatto che il 39% delle strutture non ha mai introdotto un sistema di tracciabilità e non ha mai pensato di introdurlo. Il 14% dei rispondenti persiste nell’utilizzo del cartaceo, con l’archiviazione, per i singoli prodotti, delle bolle di carico e delle etichette. “È una questione legata soprattutto alla cultura aziendale, ma anche al budget. I vantaggi collegati all’adozione di questi sistemi, però, sono evidenti e vanno dalla sensibile riduzione dell’errore umano a una migliore gestione della rendicontazione, soprattutto per le strutture pubbliche”.

Tra i casi virtuosi rilevati dalla ricerca c’è quello del Policlinico Universitario Fondazione Agostino Gemelli di Roma, che ha adottato con successo la tecnologia Rfid per la tracciabilità dei dispositivi, con conseguente miglioramento della sicurezza clinica (+85%) e risparmio monetario sulla gestione delle scorte (-2 milioni di euro). La ricerca offre anche un’occasione di riflessione sull’importanza di figure professionali che possano fare la differenza all’interno delle strutture: “Il tema della tracciabilità dei dispositivi – concludono i due laureati Liuc – è uno dei tanti temi chiave di cui si può occupare un ingegnere gestionale all’interno di un’azienda sanitaria: il nostro ruolo, infatti, è sinonimo di innovazione ma anche di una necessaria sinergia tra gli aspetti economici e quelli sanitari”.

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Allo IEO di Milano i primo intervento al mondo di chirurgia robotica con tecnica mininvasiva

Allo IEO di Milano i primo intervento al mondo di chirurgia robotica con tecnica mininvasiva
Per la prima volta al mondo l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano sperimenta una nuova tecnica con l’utilizzo del robot da Vinci con supporto ECMO

Lorenzo Spaggiari, Direttore del Programma Polmone, con la sua Équipe di Chirurgia Toracica, ha effettuato la prima operazione di resezione della trachea per tumore primitivo con tecnica mininvasiva utilizzando il robot da Vinci con supporto ECMO (Extracorporeal Membrane Oxigenation), quindi senza aprire il torace e senza ricorrere all’intubazione intraoperatoria. La paziente, di trent’ anni, ha avuto una rapidissima ripresa e oggi, a distanza di due mesi, è in ottime condizioni di salute.

Siamo orgogliosi di avere per la prima volta applicato l’approccio mininvasivo robotico anche per la resezione tracheale, perché significa che abbiamo definitivamente infranto il grande tabù della chirurgia toracica oncologica: essere invasivi per essere efficaci – dichiara Spaggiari – Oggi non è più così per il più  diffuso tumore polmonare, ma neppure per il carcinoma adenoido-cistico della trachea, un tumore molto raro e complesso da operare, che fino a ieri ha sempre richiesto interventi lunghi e invasivi con grandi aperture toracotomiche del torace, che richiedevano impegnative riabilitazioni, spesso con dolore post-operatorio. La nostra paziente è stata dimessa dopo pochi giorni dall’intervento e presenta solo quattro piccole cicatrici centimetriche sul fianco”.

Osato ma non rischiato

Il robot permette di arrivare alla sede da trattare tramite sottili bracci robotici azionati a distanza dal chirurgo, con una precisione e una rapidità irraggiungibili dal movimento umano; mentre la tecnologia ECMO, un sistema avanzato di circolazione extracorporea a cuore battente, sostiene la funzione polmonare ossigenando il sangue, senza richiedere l’intubazione intraoperatoria della trachea necessaria normalmente in questi interventi.

La tecnologia è la base imprescindibile della mininvasività ma ovviamente da sola non basta per sperimentare nuove frontiere, come abbiamo fatto in Ieo con la giovane paziente. Noi ci siamo sentiti forti della nostra esperienza nella chirurgia toracica tradizionale sulle neoplasie tracheali, nella robotica, dove abbiamo raggiunto la cifra record di 1500 interventi e nell’utilizzo dell’Ecmo negli interventi sulla carena tracheale, come ampiamente dimostrato dalle nostre pubblicazioni internazionali. Abbiamo osato, ma non abbiamo rischiato. La nostra soddisfazione più grande è ora vedere la nostra paziente riprendere la propria vita in pieno. A scopo precauzionale, verrà sottoposta a terapia adiuvante con protoni nel centro di Pavia. La protonterapia è il trattamento più indicato ed avanzato per questi casi ed entro l’anno sarà disponibile anche da noi con l’apertura dello Ieo Proton Center” conclude Spaggiari.

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