In collaborazione con Progettare per la sanità Edra

Il PNRR tricolore in cloud, dati e Fascicolo Sanitario Elettronico

Cyber Solidariety
L’Istituto per la competitività analizza l’impiego dei fondi del PNRR anche nell’ambito della sanità digitale La ricerca si svolge su cinque principali aree della transizione digitale: connettività, digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, Intelligenza Artificiale e Industria 4.0, cybersecurity e competenze digitali.

La transizione digitale è sicuramente una priorità nelle politiche europee: dei 723,8 miliardi di euro stanziati nel mezzo della pandemia con il Recovery and Resilience Facility (RRF), almeno il 20% deve essere rivolto proprio a investimenti nelle nuove tecnologie. L’Unione Europea ha già superato tale requisito minimo prevedendo una spesa media da parte degli Stati Membri pari al 26,3% del totale, con Austria e Germania di gran lunga avanti nella classifica (con rispettivamente il 53% e il 50% dei propri fondi destinati al digitale). Stando ai dati della Commissione Europea, l’Italia riserva alla transizione quasi un terzo dei fondi del PNRR (26,7%), ma si posiziona al primo posto per investimenti in termini assoluti con 27 miliardi di euro, seguita dalla Spagna (18 miliardi).

I maggiori sforzi dei piani dei paesi Ue sono rivolti alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e delle imprese, così come alla formazione in competenze. Mancano, invece, investimenti specifici nella formazione in cybersecurity e misure per una maggiore partecipazione femminile alle discipline STERM. Il rispetto dei tempi è in ogni caso cruciale: a ottobre 2022 solo dieci paesi hanno raggiunto gli obiettivi necessari all’erogazione dei fondi. Per l’Italia è un’occasione da non perdere.

Sono questi alcuni dei temi che emergono dallo studio “Addressing the challenges of the digital transition in national Recovery and Resilience Plans”, realizzato dal team di ricerca dell’Istituto per la Competitività (I-COM) per la Commissione per i Problemi Economici e Monetari (ECON) del Parlamento Europeo. Lo studio del think tank, guidato dall’economista Stefano da Empoli, prende in esame lo stato d‘implementazione dei PNRR degli Stati Membri in riferimento agli investimenti nel digitale, analizzandone la distribuzione delle risorse, evidenziando possibili traiettorie di miglioramento e fornendo spunti di policy. La ricerca si svolge su cinque principali aree della transizione digitale: connettività, digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, Intelligenza Artificiale e Industria 4.0, cybersecurity e competenze digitali.

Il decennio digitale europeo

La maggior parte degli investimenti dei Paesi Membri sono destinati alla digitalizzazione della PA, ovvero più di un terzo delle risorse. Tutti i Piani, in particolare, prevedono misure per lo sviluppo di infrastrutture cloud per favorire la gestione dei dati e l’accesso ai servizi pubblici da parte di cittadini e aziende. L’obiettivo del “Decennio Digitale Europeo” – secondo la bussola digitale presentata dalla Commissione europea a marzo del 2021 – è di rendere disponibili online il 100% dei servizi pubblici fondamentali e di far sì che l’80% dei cittadini sia in possesso di identità digitale. La Germania dedica a quest’ambito la quota maggiore (più di 6,5 miliardi di euro) delle proprie risorse dedicate al digitale ed è impegnata nella creazione di una struttura federale di dati completamente interoperabile e altamente sicura. L’Italia riserva alla digitalizzazione dei servizi pubblici ben 11,7 miliardi di euro, quasi il doppio rispetto alla Germania e più di quattro volte le risorse messe in cantiere per la PA dalla Francia (2,6 miliardi), che pure rappresentano la quota maggiore dei propri investimenti in digitale.

Nell’ambito della PA il rapporto si occupa anche della sanità digitale ricordando l’obiettivo per i sistemi sanitari di garantire che, entro il 2030, il 100% dei cittadini abbia accesso alle cartelle cliniche. Questo obiettivo, precisa, sarà raggiunto fornendo un quadro legislativo per l’e-health che regolerà aspetti come i servizi di telemedicina, l’interoperabilità delle banche dati e un uso più saggio di tutti i dati sanitari.

Molti Paesi prevedono misure volte alla trasformazione digitale dei sistemi sanitari nazionali, al fine di renderli più efficienti più accessibili ed efficaci. “La maggior parte degli Stati Membri sostiene l’implementazione e l’aggiornamento dei registri nazionali per semplificare lo scambio di informazioni tra le parti interessate. L’archiviazione e la gestione dei dati sanitari ha anche l’importante vantaggio di essere utile sia per la definizione delle politiche e per la ricerca. Inoltre, gli investimenti in alcuni Paesi includono l’integrazione del sistema sanitario con l’Ia e altre tecnologie digitali”.

Riforme per il digitale

Per raggiungere questi risultati, precisa il rapporto, sono necessarie una serie di riforme che forniscano una solida base giuridica per la digitalizzazione del settore sanitario, che necessita di particolare attenzione date le informazioni e le procedure sensibili che comporta. La creazione di sistemi e piattaforme ICT, l’interoperabilità dei sistemi e un’efficace formazione digitale sono tra le principali preoccupazioni. Gli investimenti italiani riguardano in particolare misure legate all’area del cloud e dei dati che si concentrano sul Ssn e più in particolare sul potenziamento dell’infrastruttura tecnologica di ospedali e strutture sanitarie per la raccolta, l’elaborazione e la gestione dei dati. “Gli investimenti mirano a supportare il completamento e l’interoperabilità tra i sistemi regionali del fascicolo sanitario elettronico (EHR) e l’utilizzo dei dati per la gestione del sistema sanitario. In questo modo, sarà più facile sia per i cittadini che per il sistema sanitario recuperare dati importanti. Questi investimenti saranno integrati da misure di telemedicina e l’aggiornamento digitale degli ospedali e delle attrezzature diagnostiche”.

Altri Paesi si muovono in maniera differente. La Finlandia sta pianificando di investire in soluzioni digitali nel settore sanitario per accelerare la valutazione dei bisogni di assistenza e i rinvii, migliorare la diagnosi e il trattamento delle malattie da remoto oltre ai servizi di prevenzione di supporto. La Finlandia intende sostenere lo sviluppo di servizi rivolti sia ai cittadini (diagnosi, prevenzione, salute digitale e così via) sia ai professionisti (sistemi di gestione, analisi dei dati, segmentazione dei clienti).

In Francia sono previsti sportelli unici per i servizi sanitari digitali, integrando i servizi esistenti con nuove soluzioni garantendo inoltre l’interoperabilità del software (con particolare attenzione all’integrazione dei dati pubblici e privati). Inoltre, le strutture di assistenza a lungo termine saranno dotate di infrastrutture digitali.

In Slovenia si cerca di promuovere l’uso delle tecnologie digitali per comunicare con i pazienti, introdurre il monitoraggio della qualità dei dati in tempo reale, migliorare la pianificazione della gestione dei pazienti e delle strutture e dei servizi ospedalieri. Il piano del Belgio sottolinea invece l’importanza dei dati, cruciali per migliorare il processo di definizione delle politiche e della ricerca, in quanto garantiscono una visione d’insieme della situazione, garantiscono un elevato volume di dati elaborabili che possono essere utilizzati, a patto che purché siano conformi ad adeguati standard di sicurezza e di privacy.

Il rapporto ricorda anche di non dimenticare la popolazione anziana e la sua possibilità di accedere ai servizi digitali. La struttura demografica della popolazione dell’Ue e l’alta percentuale di persone di età superiore ai 65 anni, che si prevede aumenterà notevolmente nei prossimi anni, viene spesso trascurata. Dal momento che la popolazione dell’Ue sta invecchiando i progetti per la transizione verso una società digitalizzata dovrebbero comprendere misure specifiche per questa fascia di utenza.

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La forza del machine learning per la medicina

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La relazione di Mihaela van der Schaar, docente di Machine Learning e Intelligenza Artificiale alla University of Cambridge, in una lettura tenuta al Policlinico Gemelli. L’obiettivo è una partnership uomo-macchina.

Mihaela van der Schaar, professoressa di Machine Learning, Intelligenza Artificiale e Medicina all’Università di Cambridge, ha tenuto al Policlinico Gemelli una lettura sull’I.A applicata alla medicina. “Se non fosse per la grande variabilità tra un individuo e l’altro, la medicina potrebbe essere benissimo una scienza e non un’arte”, sentenziava Sir William Osler a fine ‘800. E nel corso degli anni, il concetto di variabilità applicato alla medicina si è andato espandendo a dismisura, favorito dalle scienze omiche, che hanno aggiunto complessità, a un quadro già molto articolato.

Ma le diverse traiettorie di salute e malattia, pertinenti ai diversi individui sono influenzate anche dalla storia personale e dalle diverse esposizioni ambientali che fanno di ogni organismo un unicum difficilmente categorizzabile, anche all’interno delle linee guida. È per questo che anche nel terzo millennio la medicina resta un’arte che si esercita formulando giudizi e prendendo decisioni, sulla base di informazioni molto lontano dall’essere complete. Ma c’è un nuovo attore, ancora ai margini della relazione medico-paziente, che ha le potenzialità di trasformare l’arte della medicina in scienza: il machine learning.

ML e medico

Va detto subito – specifica la Professoressa Mihaela van der Schaarche il machine learning non può fare medicina, non potrà mai sostituirsi al medico insomma. La sua forza è però quella di fornire informazioni interpretabili, affidabili e actionable, cioè fruibili nella pratica clinica”. Con gli algoritmi di machine learning è possibile ad esempio creare calcolatori di rischio personalizzati, raccomandazioni di trattamento personalizzate, ipotesi generate dai dati, elaborazione di raccomandazioni affidabili, da utilizzare nella pratica clinica.

La grande promessa del machine learning in medicina è di portare la medicina di precisione al livello del singolo paziente, attraverso una migliore comprensione delle basi e delle traiettorie di salute e malattia. Il ML può fornire empowerment a medici e pazienti, migliorare i percorsi clinici, utilizzare meglio le risorse, abbattendo i costi, facilitare la scoperta di nuovi trattamenti, personalizzare le raccomandazioni cliniche, fornire strumenti di supporto operativi per la gestione degli ospedali. Implementato su larga scala potrebbe dunque avere un impatto trasformativo sulla salute della popolazione e sulle policy di public health.

Ma tutto ciò non è fattibile utilizzando gli strumenti di machine learning già disponibili, quelli off the shelf. È necessario creare una nuova generazione di strumenti ad hoc. Che è quello che la professoressa Van der Schaar sta cercando di fare, aprendo le porte del suo laboratorio alla comunità scientifica internazionale e mettendo a disposizione in open source una serie di algoritmi da lei sviluppati. “Gli ingredienti necessari per sviluppare strumenti di ML cutting-edge – spiega la Van der Schaar – sono i dati, anzi montagne di dati, la capacità di analizzarli non solo in modo statico, ma anche longitudinale (time series) e un’attenta valutazione degli esiti perché i risultati dell’applicazione di questi strumenti devono essere interpretabili e consentire di ‘quantificare’ l’incertezza”.

Democratizzare il ML

L’obiettivo è creare una vera partnership uomo-macchina, mirata non certo a esautorare la funzione del medico, che resta centrale nella cura del paziente, ma ad affinare le sue capacità, dotandolo di strumenti da terzo millennio. Ma siamo solo all’inizio e i punti da smarcare sono tanti e centrali. La conditio sine qua non, secondo Van der Schaar, per accelerare il cambiamento nell’healthcare è democratizzare il ML, rendendone gli strumenti fruibili liberamente (off patent) e rendendo il ML automatico e interpretabile. Fondamentale l’analisi dinamica dei dati e la capacità di fare previsioni (time to event) longitudinali, perché la variabile tempo è tra le più importanti da considerare (‘medicine is a time-series’). C’è poi il grande interrogativo inerente alla possibilità di personalizzare i trattamenti, che potrebbe essere affrontato dalla computistica controfattuale (il what if?, cioè il ‘e se ci fossimo comportati diversamente?…’).

I lavori pionieristici della Van der Schaar nel campo del ML automatico hanno già portato alla realizzazione di vari strumenti come l’AutoPrognosis, che consente di mettere a punto calcolatori di rischio clinici personalizzati (è stato per ora applicato a: fibrosi cistica, malattie cardio-vascolari, cancro della prostata, complicanze dopo protesizzazione d’anca, Covid-19, cancro della mammella; discectomia e fusione cervicale). AutoPrognosis è un pacchetto di ML open-source, state of the art, interpretabile; ma soprattutto facile da usare da parte di medici e non, interessati a sviluppare nuovi score di rischio, strumenti per la diagnostica personalizzata e la prognosi.

L’interpretabilità della logica dei risultati di ML resta un punto essenziale. Montagne di dati, testi e immagini finiscono nella scatola nera della ML; ma poi è necessario interpretarne il risultato e confrontare la scatola nera del ML, con la scatola grigia dell’uomo, cioè con la mente, l’intelletto. E ancora, trasformarla in scatola bianca, utilizzando meta-modelli simbolici.

Un potenziale e importante campo di applicazione del ML sono i trial clinici controllati (ogni anno se ne avviano oltre 1.800, metà dei quali in oncologia), che nel disegno attuale presentano tanti limiti e questo costituisce un problema non da poco, visto che le linee guida e quindi le nostre decisioni cliniche, ad esempio relative ad un trattamento, si basano sui risultati dei trial clinici randomizzati (Rct). In genere questi hanno una piccola casistica (in media 100-1000 pazienti, metà dei quali fungono da controlli e con il 20% è destinato a diventare drop out); altri problemi sono rappresentati dai costi, pari in media a oltre 40.000 dollari/paziente (il range è di 4-40 milioni di euro per trial), la durata, che si aggira in genere intorno a 1-2 anni (il 30% del tempo se ne va per la fase di reclutamento e ritarda l’80% dei trial). “Il ML in questo contesto – afferma Van der Schaar – offrirebbe l’opportunità di ridurre del 20% il numero dei pazienti richiesto; di rimpiazzare i controlli e drop out; di ridurre del 20% il costo-paziente, migliorando reclutamento, monitoraggio e operazioni. Il risparmio di costi per ogni trial si può quantificare intorno a 4-12 milioni, senza contare i mesi di tempo risparmiati per ogni trial”.

Integrare la grande ricchezza di dati del nostro G-Step, con gli algoritmi di ML della professoressa Van der Schaar – commenta Evis Sala, ordinario di radiologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e di direttore del Centro Avanzato di Radiodiagnostica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli – rappresenterebbe l’inizio di un’importante partnership, ma anche una grande innovazione con un immediato e importante un impatto clinico. Noi abbiamo un prezioso data center, un gioiello, che è la base per costruire in questa direzione, quella del value based-medicine. Un altro potenziale campo di collaborazione è con il nostro Clinical trial center. Il concetto alla base di tutto – prosegue la professoressa Sala – è che più numerosi sono i dati a disposizione, maggiore la personalizzazione dell’assistenza che si può offrire al singolo paziente. Le ricadute di questo approccio sono moltissime, dalla personalizzazione delle cure, alla definizione di nuove linee guida, alla possibilità di validare i risultati di un trial su tante diverse popolazioni. La professoressa Van der Schaar è un matematico che ha lavorato nei più prestigiosi centri accademici del mondo, come nell’industria (Ibm); il bello delle sue ricerche è che cancellano i confini e la medicina a ‘compartimenti stagni’. Il suo è un esempio di ricerca applicata in molti campi, che consente di democratizzare l’healthcare, attraverso la condivisione del know how”.

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