La normalizzazione, spiega il 18° Rapporto Crea, sembra portare con sé anche la rimozione di molte tematiche che, durante la pandemia, avevano scalato la piramide delle priorità nell’agenda politica.

“Molto poco sembra essere rimasto della retorica sull’eroismo dei professionisti sanitari come anche della necessità di recuperare le prestazioni saltate durante la pandemia per attutire gli effetti nefasti di due anni in cui la prevenzione, primaria e secondaria, è rimasta al palo; sembra essersi in larga misura dissolta persino l’importanza sociale e economica della salute, su cui sembrava essersi formata una ampia consapevolezza nella popolazione e nella politica”.

Nei documenti di finanza pubblicacommentano i curatori del Rapportosono previsti meno di due miliardi di euro per anno, quindi circa un settimo del necessario per il riallineamento; date le dimensioni dello scarto, l’unica possibilità di andare oltre il finanziamento previsto è che si registri una crescita economica nazionale sostenuta e maggiore di quella media degli altri Paesi di confronto. Se questo non avverrà, l’attuale assetto delle “garanzie” del SSN non è di fatto più sostenibile e bisognerà ridefinirlo. In altri termini – concludono – se non si determinerà una crescita adeguata o non si creeranno condizioni che fermino la perdita di risorse umane e aprano la strada all’accesso alle innovazioni, si dovrà passare a una logica di universalismo selettivo, che privilegi l’accesso dei più fragili (ma con un impatto non indifferente sull’equità del Sistema Sanitario)”.

Secondo il Rapporto, nel 2021 il finanziamento pubblico si ferma al 75,6% della spesa contro una media UE del 82,9. Poi c’è la carenza di personale per il quale l’Italia dovrebbe investire 30,5 miliardi per allinearsi agli organici dei Paesi UE di riferimento. Si parla di 40-80mila medici in più e di 30/40.000 infermieri l’anno.

Nell’analisi del Crea c’è posto anche per la sanità digitale cresciuta nel 2021. La spesa è stata pari a 1,69 miliardi di euro (1,3% della spesa sanitaria pubblica), con un aumento del 12,5% rispetto al dato 2020. “Questa crescita, seppur superiore a quella degli ultimi anni, non è ancora sufficiente a imprimere quel cambio di marcia necessario per colmare il ritardo accumulato. La tanto attesa trasformazione digitale potrebbe però finalmente arrivare grazie agli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che dedica a riforme e investimenti nel settore Salute l’intera Missione 6, allocando risorse per 15,63 milioni”.

Tra gli ambiti di investimento previsti dal Piano, le direzioni strategiche delle strutture sanitarie italiane evidenziano come sia ancora prioritario l’investimento in soluzioni aziendali per garantire la raccolta del dato di cura del paziente, come la Cartella clinica elettronica (il 64% dei Direttori ritiene l’ambito molto rilevante e il 60% delle aziende sanitarie intende investire in quest’ambito nel 2022). Anche le soluzioni che consentono l’integrazione con sistemi regionali e/o nazionali come il Fascicolo sanitario elettronico rappresentano un ambito di investimento importante (47% dei direttori) per poter attuare una corretta valorizzazione dei dati a livello sovra-aziendale.

Ulteriori ambiti di intervento ritenuti rilevanti sono i sistemi per l’integrazione ospedale-territorio per il potenziamento della sanità territoriale e, in particolare, i servizi di telemedicina (rilevanti per il 56% dei direttori e su cui il 58% delle aziende sanitarie intende investire a breve). I responsabili delle aziende sanitarie ritengono, quindi, molto rilevante l’attuazione degli interventi identificati nelle linee di indirizzo del PNRR, ma il 46% di loro denuncia come ci sia ad oggi ancora poca chiarezza su come utilizzare le risorse in gioco. L’effettiva disponibilità e l’efficace messa a terra di queste risorse, infatti, è tutt’altro che scontata. Lo sblocco di questi fondi da parte delle istituzioni europee è condizionato allo sviluppo in tempi rapidi di programmi e riforme la cui realizzazione non è semplice, soprattutto a causa della ben nota – e spesso denunciata – frammentazione della governance del pubblico.

L’analisi del Crea si allarga alla telemedicina che dopo il periodo acuto della pandemia ha registrato una riduzione dei livelli di utilizzo. Un dato che va colto come “il segnale di esigenza di un’innovazione più strutturale, un passaggio a un modello nel quale questa non rappresenti più una soluzione di emergenza, ma un’opportunità per migliorare il sistema di cura. Questo richiede non solo di disporre di strumenti tecnologici professionali e coerenti in termini di compliance normativa; prevede anche di rivedere processi di cura e sviluppare competenze in una logica non più emergenziale, ma sistematica, evitando l’errore di limitarsi a introdurre tecnologie digitali all’interno dei processi di cura tradizionali. Ad oggi questo cambiamento di modello deve ancora essere concretizzato: medici e infermieri, infatti, affermano che le attività di Telemedicina spesso costituiscono un’aggiunta, in termini di tempo, alle attività tradizionali”.

Il rapporto si occupa anche dell’utilizzo delle applicazioni di messaggistica istantanea, Whatsapp in pratica, osservando che in qualche caso questi strumenti digitali “sono utilizzati in modo non appropriato e consapevole e questo rappresenta un aspetto potenzialmente critico. Oltre alle note problematiche legate alla sicurezza e privacy dei dati scambiati, l’utilizzo di questi strumenti può impattare negativamente sulle attività lavorative dei professionisti coinvolti, da cui spesso i pazienti si aspettano risposte immediate”. Nonostante questo stentano ancora a diffondersi strumenti più appropriati, sicuri e dedicati all’attività professionale: circa un professionista sanitario su tre utilizza piattaforme di comunicazione certificate, sebbene l’interesse sia elevato soprattutto tra i medici (74% degli specialisti e 72% dei Medici di Medicina Generale).

Secondo il Crea, per quanto riguarda la sanità digitale è necessario un cambio di marcia. La gestione del cambiamento dell’ecosistema salute verso un modello di Connected Care, non potrà prescindere da cinque leve fondamentali.

  • Visione strategica: il PNRR può essere certamente lo strumento guida, ma aziende sanitarie e Regioni dovranno essere in grado di sviluppare una propria visione e roadmap evolutiva, riportando nel contesto della propria organizzazione gli stimoli e le risorse previste nel Piano, affinché la loro strategia sia coerente con quella definita a livello nazionale.
  • Normative e le linee guida: come già sta avvenendo, servono documenti e provvedimenti attuativi per mettere in pratica quanto definito nella visione strategica. Ulteriori ritardi e mancanze di coordinamento, rischiano di bloccare l’intero piano e farci perdere, assieme alle risorse europee, un’occasione storica di sviluppo e la fiducia di cittadini e operatori sanitari.
  • Processi e organizzazione: l’investimento in tecnologie andrà accompagnato e, quando possibile, preparato da una revisione profonda dei modelli organizzativi e di cura, per accogliere l’innovazione e renderla parte dei normali modelli di comportamento, lavoro e interazione.
  • Persone: prima ancora che in tecnologie, occorre investire in un cambiamento a livello culturale e sviluppare nuove competenze tra tutti i diversi attori dell’ecosistema, ingaggiando professionisti sanitari, pazienti e cittadini, che vanno resi protagonisti attivi e consapevoli di un processo di trasformazione profondo e pervasivo del modo in cui prendersi cura della salute propria e di quella delle altre persone, della società e dell’ambiente.
  • Tecnologie e strumenti: il digitale può essere una leva decisiva, offrire opportunità di aumentare efficacia e sostenibilità dei servizi, permetterci di raccogliere e valorizzare dati, ma occorre superare l’approccio minimalista e superficiale, e comprendere l’importanza di utilizzare strumenti professionali, integrati e sicuri.