Telemedicina: i pazienti cronici, le terapie e la tecnologia
Se c’è un target di pazienti particolarmente adatto all’utilizzo della telemedicina è quello dei pazienti cronici. Sfortunatamente legati a una patologia, in qualche caso anche da giovani, più di altri hanno l’esigenza di tenere la situazione sotto controllo, mantenersi in contatto costante con il medico e anche risparmiare tempo nella gestione della propria salute perché tutto questo incida il meno possibile sulla propria vita. “Si tratta di un mondo molto variegato – spiega Gianmarco Troia, Amministratore Delegato di Qwince, società specializzata in tecnologie e servizi per la sanità digitale – che In Italia conta 24 di persone di cui circa il 50% ha due o più patologie”.
Per indagare questo universo, l’azienda palermitana ha realizzato in collaborazione Doxa Pharma un’indagine “Sfide e opportunità nell’aderenza terapeutica dei pazienti cronici: l’apporto della tecnologia” che ha fornito utili indicazioni anche per orientarne le scelte relativamente alla propria piattaforma.
Non seguire la terapia costa
“Ci siamo focalizzati sui cronici perché da tempo lavoriamo sull’aderenza alla terapia, un tema poco attenzionato anche dal personale medico che si basa sulla relazione sulla capacità del medico di coinvolgere le persone nel percorso di cura”, aggiunge Troia. I dati dicono che la mancata aderenza costa in Europa 125 miliardi l’anno e quasi 200mila morti e che esiste un problema di comunicazione medico-paziente. Gli over 75, per fare un esempio, nel 50% dei casi abbandonano la terapia senza avvertire il medico creando le condizioni per una ulteriore acutizzazione della malattia.
L’utilizzo della tecnologia è fondamentale e trova riscontro presso i pazienti. L’80% degli intervistati valuta positivamente l’idea di una piattaforma digitale e il 75% la ritiene adatta alle proprie necessità di gestione della patologia di cui soffre. Oltre sei soggetti su dieci si dichiarano propensi a utilizzarla e sempre sei su dieci ritengono il servizio particolarmente utile a favorire l’assunzione corretta dei farmaci. Gli strumenti non mancano visto che i pazienti possiedono mediamente quattro device a testa con smartphone e pc in testa alle preferenze. L’indagine rivela che anche nelle fasce d’età più alte è diffuso l’utilizzo del digitale e dei dispositivi medici. Un portato del Covid, sottolinea l’AD di Qwince, e comunque stiamo parlando di generazioni che hanno fatto in tempo a incrociare lo sviluppo dei pc durante la loro vita lavorativa. Anche per questo l’utilizzo dell’app non si rivela come il metodo migliore di comunicazione.
“I dati dicono che le persone sono abituate a utilizzare mail chat, pc strumenti più semplici e adatti anche per le età più avanzate”. Importanti sono anche le differenti esigenze in relazione alle diverse fasce d’età. Se per i pazienti più anziani il tema è quello dell’accompagnamento nel percorso di cura, per i più giovani c’è il problema dell’accesso e sono proprio loro a essere più favorevoli alle visite di persona. Tra i pazienti che hanno effettuato un consulto medico negli ultimi sei mesi, ovvero il 59% del campione, solo il 19% si è avvalso anche di canali digitali. Una buona quota degli intervistati, però, ha dichiarato di non averne talvolta fruito perché il servizio non era disponibile online o perché non era a conoscenza della disponibilità del servizio. E in quanto al ritiro dei referti emerge anche un problema di privacy.
Psicologia della cronicità
L’indagine mette in risalto anche il risvolto psicologico della cronicità. Sono i giovani (63% dei 30-40enni), a vivere più negativamente la malattia cronica (contro il 45% dei 61-70enni). Questo stato d’animo si riflette sulla salute mentale: il 68% degli intervistati tra i 30 e i 40 anni (rispetto al 37% del campione) ammette di aver avuto o di avere la necessità di un sostegno psicologico per far fronte a problemi di depressione e ansia causati delle patologie croniche. Nella maggior parte dei casi (32% dei 30-40enni) si richiede il supporto da parte di figure professionali che operano nell’ambito della relazione d’aiuto, come psicologi o psicoterapeuti, o dei familiari (27% dei 30-40enni). È quindi importante, sottolinea Qwince, creare un circolo di cura soprattutto per i pazienti più giovani, che possa dare rassicurazioni, aumentare la consapevolezza e trasmettere al paziente un senso di protezione.
L’aderenza alla terapia vede i giovani pazienti più a rischio. Probabilmente a causa di uno stile di vita più impegnato o per la storia con la patologia più breve, sono i giovani ad aderire meno alla terapia (82%). Nonostante oltre due terzi di loro abbia una strategia per ricordarsi di assumere il farmaco e circa un terzo usi strumenti digitali come promemoria sul telefono o sul computer, i pazienti tra i 30-40 anni sono coloro che più facilmente se ne dimenticano.
Per questo, osserva l’indagine, un’interazione costante e costruttiva con gli operatori sanitari può favorire l’aderenza alla terapia. “La tecnologia può venire aiuto agevolando il monitoraggio regolare delle condizioni di salute anche a distanza e facilitando la comunicazione tra pazienti, professionisti della sanità e medici. Un segnale importante lo danno proprio i pazienti intervistati, che mostrano interesse verso l’utilizzo di una piattaforma e servizi dedicati in grado di aiutare a gestire la terapia nei tempi e nei modi corretti e promuovere il contatto con il medico o con altre figure coinvolte nel processo di cura. L’82% dei soggetti coinvolti nel sondaggio ritiene un servizio digitale di questo tipo utile per migliorare la qualità della propria vita”.
Il vero problema è quello della comunicazione e la tecnologia in questo caso è solo uno strumento che deve essere ottimizzato e calibrato sulle esigenze degli utenti. “Ci vuole un approccio olistico”, sottolinea Troia. Il paziente deve essere accompagnato nel suo percorso di cura ed emerge anche la necessità, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto psicologico, di figure diverse dal solo medico curante.
Gli aspetti relativi alla privacy e alla sicurezza devono essere messi in risalto, un’indicazione importante anche per partner tecnologico come Qwince. Troia invoca il cambio di paradigma perché i partner non devono limitarsi a fornire la tecnologia, ma essere capaci di conoscere i processi della struttura e supportarla con nuovi servizi. È ciò che si appresta a fare la società palermitana che spinge l’acceleratore su design e data analysis della propria piattaforma rispetto allo sviluppo.
“Ma l’indagine – spiega l’AD – è servita soprattutto per rafforzare la nostra convinzione che dobbiamo associare dei servizi e dall’altra parte ha orientato in maniera significativa l’utilizzo dei canali di comunicazione se spingere o meno su determinate aree”. In più si sta ragionando con potenziali partner per lavorare su business continuity e disaster recovery dopo avere scelto di utilizzare dispositivi medici che trasferiscono i dati direttamente a Qwince senza passare da terzi. “Una scelta determinante”. A settembre poi sarà presentata la seconda parte dell’indagine che riguarda i caregiver “per noi degli interlocutori principali”.
E in contemporanea il primo nucleo di un nuovo servizio che si affianca alla nostra tecnologia e che ha l’obiettivo di accompagnare il paziente, sgravare la struttura sanitaria di operazioni fondamentali però per accompagnare il paziente.