Data for Humanity: le aziende italiane usano i dati per bilanciare profitti e purpose?
Le aziende possono utilizzare i dati per affrontare questioni questioni come la crisi energetica, il cambiamento climatico, la mancanza di risorse per popolazioni in rapida crescita. E naturalmente, raggiungere i propri obiettivi di business. Secondo il report Lenovo Data for Humanity, le migliori aziende riescono a usare dati e analytics in modo collaborativo, bilanciando profitti e obiettivi più grandi. L’indagine ha coinvolto 600 aziende in cinque Paesi – Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti – in 10 diversi segmenti di mercato. I risultati di Data for Humanity sono stati presentati lo scorso dicembre, e oggi l’azienda ha condiviso ulteriori informazioni sulla situazione italiana.
Una fotografia che evidenzia la consapevolezza delle aziende italiane rispetto all’utilità dei dati per affrontare l’instabilità geopolitica a livello globale, ma anche migliorare le performance aziendali e l’ambiente di lavoro. Il grande tema che emerge è la difficoltà di reperire e mantenere i talenti e alfabetizzare la forza lavoro sull’uso dei dati. Un tema questo, su cui si distinguono i Data Leader, organizzazioni che utilizzano i dati in modo efficace in diverse aree di business, ottenendo risultati finanziari ed ESG più solidi, migliore produttività dei collaboratori e maggiore capacità di innovazione rispetto ai Data Follower. E sono più propensi ad agire contro questioni come crisi energetica, riscaldamento globale, mancanza di istruzione. In Italia le aziende Data Leader rappresentano il 15% del totale, contro il 20% della Francia e il 17% di Germania Stati Uniti.
“Dalla ricerca appare evidente che investire in tecnologie all’avanguardia sia una condizione necessaria ma non sufficiente per abilitare l’innovazione”, commenta Alessandro de Bartolo, Country General Manager & Amministratore Delegato dell’Infrastructure Solutions Group di Lenovo. “Le aziende italiane si pongono l’obiettivo di sbloccare il valore dei dati, ma per farlo è necessario migliorare la strategia, la cultura del dato e le competenze, oltre a investire nelle migliori soluzioni tecnologiche disponibili”.
Le sfide che devono affrontare le aziende
Il 66% delle aziende italiane considera la crisi energetica come la sfida più grande e prevede che avrà un impatto moderato o importante sulla propria attività nei prossimi tre anni. Il cambiamento climatico rappresenta un altro elemento di preoccupazione: il 59% lo considera una minaccia per la propria attività e il 57% una minaccia per la stabilità globale. La disoccupazione è un’altra questione chiave identificata dal 57% come una minaccia per le aziende, seguita dall’aumento della popolazione globale (55%) e dalla mancanza di cibo, acqua e servizi igienici (53%).
Di fronte a queste sfide, la maggior parte delle aziende italiane ritiene che un approccio collaborativo ai dati potrà supportarle nell’affrontare la crisi energetica, le conseguenze dello scarso livello di assistenza sanitaria e la crisi climatica.
Gli executive italiani intervistati si dicono fiduciosi sull’importanza della condivisione collaborativa nello sviluppo delle smart cities; quasi tre quarti (74%) ritiene che i dati porteranno a miglioramenti nelle reti di trasporto nei prossimi cinque anni e il 64% si aspetta un miglioramento della sicurezza, del controllo e della prevenzione del crimine da parte delle forze dell’ordine. Quasi due terzi (64%) si aspettano miglioramenti anche nell’assistenza sanitaria.
I dati per migliorare l’ambiente di lavoro
In termini di performance aziendale, le aziende italiane ritengono che l’uso dei dati avrà un significativo impatto in termini di miglioramento dell’agilità organizzativa: il 67% dei dirigenti intervistati afferma che aumenterà la capacità di rispondere alle nuove opportunità di mercato. Una percentuale analoga si aspetta che i dati riducano i costi e migliorino l’esperienza dei clienti.
Rispetto alla media globale, le imprese italiane sono più propense a utilizzare i dati per migliorare parametri relativi al business. Quasi il 63% afferma che i dati hanno contribuito alla creazione di ambienti di lavoro intelligenti, mentre circa il 60% dichiara che i dati hanno migliorato la previsione dei risultati aziendali, l’esperienza clienti e i progressi verso gli obiettivi ESG.
Il problema delle competenze
La difficoltà di reperire le competenze e di definire le strategie sui dati potrebbe essere la ragione principale della carenza di Data Leader in Italia. Oltre la metà delle aziende italiane (51%) dichiara di non possedere le competenze informatiche e, più in particolare, le competenze legate ai dati necessarie per condividere i dati con partner/organizzazioni esterne, rispetto al 46% delle aziende globali prese in esame dal report. Forse a causa della carenza di competenze, la stessa percentuale afferma che la dirigenza non ha ancora messo in atto strategie per la condivisione dei dati, rispetto al 37% delle aziende globali.
Più della metà (52%) afferma che il reclutamento dei talenti giusti sarà importante per consentire alla propria organizzazione di sbloccare il valore dei propri dati nei prossimi anni.
“Da soli, i dati sono impotenti. Occorre l’intelligenza, l’ambizione, la volontà di dargli significato e finalità per accelerare la trasformazione delle aziende e rendere sempre più efficienti le pubbliche amministrazioni, e la nostra società più sicura e accessibile”, sottolinea Alessandro de Bartolo. “Più in generale, occorre favorire l’accesso a risorse digitali e lo sviluppo di competenze specifiche, e permettere alle aziende e alla PA italiana di compiere quel cambio di mentalità nei confronti della tecnologia che è fondamentale nel percorso verso la competitività e la crescita. In questa prospettiva, il PNRR rappresenta una grande opportunità per motivare le aziende a investire in tecnologia e a realizzarne il pieno potenziale”.
Gli investimenti in tecnologie per i dati e le aree da migliorare
Oltre a individuare le giuste competenze, molte aziende italiane stanno seguendo l’esempio dei Data Leader per aumentare gli investimenti in tecnologia. Oltre il 90% delle aziende prevede di investire almeno 1 milione di dollari in tecnologie e in iniziative data driven nei prossimi 12 mesi.
Nei prossimi cinque anni, il 55% delle aziende italiane prevede di aumentare la spesa per gli strumenti di archiviazione e automazione dei dati. Ma l’investimento tecnologico più richiesto dalle aziende italiane è quello in strumenti di cybersecurity (63%). Questo potrebbe essere una conseguenza della cattiva gestione dei dati: il 29% ha sperimentato rischi informatici come data breach a causa della propria incapacità di gestire e analizzare i dati.
Questo suggerisce che le aziende italiane devono migliorare il proprio livello di alfabetizzazione sui dati. E mentre il 22% dichiara di voler fare di più con i propri dati a beneficio dell’umanità, il 14% ha avuto difficoltà a registrare progressi verso i propri obiettivi ESG a causa di una cattiva gestione dei dati.
La ricerca mostra che il vantaggio principale dei Data Leader è l’uso della tecnologia:
- l’83% dei Data Leader a livello globale afferma che le proprie soluzioni per i dati sono altamente automatizzate, rispetto al 57% delle aziende italiane in generale
- l’81% utilizza piattaforme in grado di condividere facilmente i dati con i partner, rispetto al 54% delle aziende italiane
- il 78% archivia la maggior parte dei propri dati nel cloud, rispetto al 52% delle aziende italiane
- il 79% è convinto che i propri dati siano al sicuro, rispetto al 51% delle aziende italiane.
Questi problemi sono legati anche alla mancanza di allineamento tra i team IT e la leadership, e questa è un’area cruciale da migliorare. Solo il 21% delle aziende italiane può contare su dipartimenti IT in grado di fornire regolarmente consulenza alla C-suite su iniziative strategiche basate sui dati, il dato più basso di tutti i paesi presi in esame.
Tuttavia, la buona notizia è che le aziende italiane sono più propense a partecipare a partnership ed ecosistemi collaborativi sui dati: Il 59% delle aziende vi aderisce, rispetto alla media globale del 56%.