Chi guida la trasformazione in Italia, e chi la frena
Il panorama delle piccole e medie imprese italiane è complesso e variegato, ma c’è un tema che finalmente ne accomuna molte: l’interesse crescente, anche se tutt’altro che eclatante, verso la trasformazione digitale. Stiamo assistendo ad un progressivo cambio generazionale nei vertici aziendali, che è contemporaneamente causa e conseguenza della nuova percezione della digital transformation.
Abbiamo discusso di questo argomento con una persona che è a stretto contatto con chi nelle aziende sta guidando questo processo. Franco Coin è il CEO di MHT, system integrator specializzato in sistemi ERP e CRM Microsoft, nato nel trevigiano ma cresciuto fino a contare nove sedi (di cui una in Serbia), ed entrato a far parte del gruppo Engineering nel 2014.
Quel che segue è un sunto della chiacchierata, che ha toccato diversi punti interessanti riguardo ai driver di questo cambiamento, e a quelli che invece ne rappresentano un freno.
Come le aziende italiane vedono la trasformazione digitale
Nelle aziende italiane, la trasformazione digitale viene vista soprattutto come metodo per poter ampliare i propri confini e aprire nuovi mercati, siano essi in differenti geografie o su prodotti e servizi finora non trattati. Si assiste soprattutto alla trasformazione delle aziende da produttrici a fornitrici di servizi, talvolta collaterali al prodotto principale, talvolta in sua sostituzione.
Questo è fondamentale per approcciare la generazione dei “millennials”, che hanno una diversa percezione della proprietà, perché prediligono l’accesso ai beni e servizi più performanti e di ultima generazione e non sentono la necessità di possedere prodotti. Tali fenomeni non possono non incidere sul business, coinvolgendo tutti i segmenti di mercato e le figure professionali.
Anche chi si occupa di manifattura, quindi, non può più permettersi di “dimenticarsi” del cliente dopo aver consegnato un prodotto, ma deve stabilire con lui un rapporto duraturo in cui continuare a offrire valore, e non solo rispondere a una eventuale chiamata di richiesta di assistenza.
Un’attività di questo tipo però richiede da un lato strumenti software adeguati, principalmente CRM ed ERP, ma soprattutto che questi strumenti siano integrati nei processi produttivi e nell’operatività di ogni addetto. Uno dei principi che MHT applica a ogni progetto di implementazione CRM/ERP prevede che ogni persona in azienda si trovi quotidianamente a fare almeno una cosa nuova, o a farlo in modo diverso. Il software deve essere contemporaneamente lo strumento di orchestrazione e il driver del cambiamento.
Le aziende percepiscono il “valore” del digitale (ma le banche invece no)
In questo processo di cambiamento, l’infrastruttura digitale dell’azienda diventa un asset di valore fondamentale per l’azienda, da esibire in pubblico a garanzia della propria immagine. Chi si fiderebbe oggi di un fornitore che affida la gestione della produzione a un foglio Excel?
Se le aziende stanno finalmente comprendendo questa necessità, lo stesso purtroppo non avviene per il sistema bancario e finanziario. Il processo di meccanizzazione delle industrie del secolo scorso è stato possibile grazie ai finanziamenti che le banche hanno concesso per l’acquisto dei macchinari.
Ancora oggi, una banca è ben propensa a finanziare a un’azienda l’acquisto di nuove macchine per aumentare la produzione. Se però l’azienda deve fare un investimento che riguarda l’innovazione digitale, i cordoni del credito si stringono improvvisamente: chi investe nell’innovazione, oggi, deve finanziarsi di tasca propria e pagare “cash”, ed è quindi doppiamente encomiabile.
Quali figure comprendono meglio il digitale in azienda? Quali frenano?
Coin si dice fortunato di lavorare con aziende che operano in mercati complessi e avanzati, in cui i vertici percepiscono che la trasformazione digitale è parte integrante dell’evoluzione aziendale.
Certo, la spinta verso il digitale non è uniforme in tutto il management, ma non ci sono distinzioni nette tra livelli e funzioni. Spesso si sente dire che il middle management è più “digitalizzato” dei vertici, ma vediamo invece molti CEO o imprenditori, anche “over 70”, animati da voglia di fare, cambiare e che chiedono alle proprie strutture di progettare e applicare un modello evolutivo digitale. Serve una mente aperta, non necessariamente una mente giovane.
Sicuramente non è più vero che tra i “trascninatori” del digitale c’è sicuramente il reparto IT. Molto spesso sono le linee di business che richiedono innovazione all’IT, e non questa che propone.
Coin identifica scherzosamente, in ogni funzione e livello, tre diverse posizioni rispetto al digitale:
- I digital native. Lo usano in prima persona da sempre, e si aspettano che la propria azienda sia all’altezza dei servizi che amano;
- I digital immigrant. Percepiscono il valore e sono pronti ad esplorare questo territorio, anche se non lo conoscono ancora bene;
- I digital “no grazie”. Sono quelli del “abbiamo sempre fatto così”, che vedono il proprio spazio di competenza o di potere minacciato dalle tecnologie innovative.
Sicuramente, e in particolar modo nelle aziende più grandi, i tempi decisionali rimangono molto lunghi, con molte titubanze. Pesano le incertezze sulla situazione generale, e la difficoltà nell’accesso al credito per l’innovazione, ma si può e si deve essere più veloci nelle decisioni.